21 maggio 2006 - 6a di Pasqua

At 10,25-27.34-35.44-48 / 1Gv 4,7-10 / Gv 15,9-17

 

Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme

e pratica la giustizia (At 10,34-35)

 

I

 primi cristiani di Gerusalemme coscienti di essere il popolo eletto, avevano difficoltà ad entrare in un rapporto di autentica fratellanza con membri di altri popoli. Ed erano rimasti scandalizzati quando avevano saputo che Pietro, a Cesarea Marittima, era entrato nella casa di Cornelio, un ufficiale romano, uno straniero. Nessuna comunanza con gli stranieri!

Ma per Dio nessuno è straniero. Lui “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. Dio ama tutti, senza distinzione. Con un Dio che non fa distinzione di persone come non mettersi in cuore la fratellanza universale? Figli dello stesso Padre possiamo scoprirci fratelli e sorelle di ogni uomo e donna che avviciniamo.

Se dunque siamo tutti fratelli e sorelle, dobbiamo amare tutti, cominciando da chi ci è accanto, senza fermarsi. Il nostro non sarà allora un amore platonico, astratto, ma concreto, fatto di servizio. Un amore capace di andare incontro all’altro. Di avviare un dialogo, di immedesimarsi nelle sue situazioni di disagio, di assumerne i pesi, le preoccupazioni. Al punto che l’altro si senta capito e accolto nella sua diversità e libero di esprimere tutta la ricchezza che porta in sé.

Un amore che sostiene rapporti vivi e attivi fra le persone delle più varie convinzioni, basati sulla “regola d’oro”: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, presente in tutti i libri sacri e iscritta nelle coscienze.

Un amore che muove i cuori fino alla comunione dei beni, che ama la patria altrui come la propria, che costruisce strutture nuove, nella speranza che è possibile far retrocedere guerre, terrorismi, lotte, fame, e i mille mali del mondo.

 

Una giovane del Guatemala, Moira, indigena cattolica, discendente dei maya Kacjchichel, prima di 11 fratelli, aveva un forte complesso di inferiorità nei confronti dei meticci e soprattutto dei bianchi.

Ecco come Moira racconta il suo incontro con Fiore, che “non aveva preferenze”, parlava al cuore della gente, facendo cadere ogni barriera: «Non dimenticherò mai l’accoglienza festosa di Fiore. Il suo amore verso di me era un riflesso dell’amore di Dio.

La mia cultura indigena e l’educazione familiare mi avevano abituata ad atteggiamenti piuttosto chiusi e duri, tanto da allontanare chi stava accanto a me. Fiore mi è stata maestra, guida, modello… e mi ha aiutato a uscire da me stessa per andare con fiducia verso gli altri.

KMi ha anche proposto di riprendere gli studi e mi ha sostenuta e incoraggiata, quando, per le difficoltà di cultura e di metodo, ero tentata di lasciare tutto. Ho potuto conseguire il diploma di segretaria d’azienda.

Soprattutto mi ha trasmesso la consapevolezza della mia dignità umana. Mi ha fatto superare quel senso di inferiorità che, da indigena, mi portavo dentro come un marchio. Fin da ragazzina sognavo di fare una battaglia per riscattare la mia gente, ma da Fiore ho capito che dovevo cominciare da me stessa. Essere io “nuova” se volevo che nascesse unpopolo nuovo’.”