20 giugno 2004 - 12a domenica t. ord.

Zc 12,10-11 / Gal 3,26-29 / Lc 9,18-24

Chi perderà la vita per me, la salverà

(Lc 9,24)

“Se qualcuno vuol venire dietro a me…” Gesù lascia ad ognuno di noi la libertà e la gioia di essere suoi discepoli, suoi veri amici. Questa scelta però comporta il saper ogni giorno prendere la propria croce e seguirlo. Come gli apostoli anche noi facciamo fatica a scoprire nella croce quotidiana quel modo particolare che il Signore ha scelto per vivere in pienezza. Un tempo era di voga una canzone che tra l’altro diceva: “la vita è bella e me la voglio goder…”. È questa la mentalità corrente che si scontra col progetto di Dio. Gesù ci fa comprendere che la vita sarà bella e vissuta in pienezza solo se la “sappiamo donar”.

Quante persone infatti, in ogni angolo della terra, nelle famiglie, negli ospedali, tra gli emarginati… stanno sacrificando la propria vita fino al dono supremo e diventano fonte di serenità, di bontà, di vera gioia, dando a molti la forza di rinascere a vita nuova o a ricominciare dopo esperienze di fallimento.

Oltre che portare una luce nuova a questa  umanità e dare pienezza di senso al proprio vivere, chi sa spendere così la propria vita per Gesù, ha la sicurezza che nulla andrà perduto, ma tutto ciò che è stato fatto nell’amore e nel dono di sé durerà per sempre.

 

 

Kizito è un piccolo pastorello. Caterina e Giuseppe, i suoi genitori, lavorano entrambi in missione. Un giorno, poco prima dell’imbrunire, mentre stava rientrando dal pascolo con le pecore, Kizito nota qualcosa di strano vicino ad un cespuglio. Con cautela si avvicina e scopre un altro bambino: infreddolito, spaventato cercava un rifugio per la notte. Kizito non ha dubbi: quel ragazzino che si è perso mentre pascolavano le sue capre, appartiene al gruppo etnico accusato di aver ucciso i tre piccoli amici del suo villaggio. Ma la notte africana non ha pietà con il freddo e le bestie feroci… Chiamare i capi del villaggio? Ma avrebbero decretato la sua morte per compensare in parte l’uccisione dei propri ragazzi. Kizito decide di informare solo la mamma e di affidarle il suo piccolo disperso. Caterina capisce la gravità della situazione e vuole salvare il bambino, senza compromettere la sicurezza della sua famiglia: sarebbe stata accusata di tradimento e punita se l’avessero scoperta. Così di nascosto, in piena notte, viene a bussare alla missione e ce lo affida, perché attraverso la polizia locale possa essere riportato ai genitori…

Mentre lo abbraccia teneramente ci confida: “Ho cinque figli, uno suo coetaneo. Se lo avessi lasciato morire o avessi permesso a qualcuno di fargli del male, è come se lo avessi fatto ai miei figli”. Quel giorno Kizito e la sua mamma avevano sconfitto la morte, l’odio, la violenza con l’amore e il perdono. Nei cuori semplici di un bimbo e di una mamma si realizzava la missione che il Signore ha affidato ad ogni persona: trasformare l’umanità, attraverso l’amore, nell’unica famiglia di Dio.

da “Il ponte d’oro”