31dicembre 2000 – SANTA FAMIGLIA

1 Sam 1,20-22.24 –28 / 1Gv 3,1-2.21-24 / Lc 2,41-52

 

Siamo realmente figli di Dio (1 Gv 3,1)

 

Con quanta forza S. Giovanni afferma che siamo realmente figli di Dio!

Siamo talmente abituati a ripetere Padre nostro e a dire siamo figli di Dio, che non avvertiamo la grandiosità e la profondità di tali espressioni!

La maggior parte degli uomini pensa e vive il rapporto con Dio come quello di un servo col padrone. È la logica che ha dato origine al comunismo e al capitalismo. Logica estranea al Vangelo. Gesù ha cambiato totalmente questo rapporto proclamando che Dio è Padre e noi siamo suoi figli e, perché tali, apparteniamo alla Sua famiglia. La nostra vita futura, quella eterna, sarà vivere sempre nella Sua famiglia; ma Egli ci chiama a vivere già sulla terra quello stile di famiglia che Lui ha vissuto per trent’anni con Maria e Giuseppe.

Paolo VI visitando Nazareth definì “la Sacra Famiglia come la Scuola del Vangelo, dove si impara ad osservare, ascoltare, meditare ed imitare. E, mediante il silenzio, si coltiva lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera. Si impara pure la legge severa ma redentrice del lavoro”.

Soltanto chi avrà imparato a “costruire famiglia” sulla terra potrà fare parte ed arricchire eternamente la famiglia del Cielo.

 

 

Un fatto che ha sconvolto gli Italiani durante il Giubileo dei Giovani, nell’agosto scorso. Una famiglia di Genova, profondamente cristiana, viene distrutta per un raptus di follia del padre. Nella tragedia vengono uccisi la moglie, il figlio maggiore prossimo al matrimonio e una vicina di casa, Vittoria, con il figlio Luciano, handicappato, che quell’uomo aveva servito con tanto amore; infine l’omicida sparò a se stesso. Si salvò soltanto il figlio minore, Alessandro, che si trovava a Roma come volontario al Giubileo dei Giovani. Egli ritornò a casa, addolorato ma non distrutto, in lacrime ma non disperato e tanto meno spinto da sentimenti di odio verso il padre, e raccontò che durante il viaggio sulle sue labbra affioravano le parole di un salmo che Gesù stesso ripeté sulla croce e che Alessandro aveva imparato in famiglia: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e aggiunse che “non era capace di accettare la morte senza credere che è una parte di un disegno più grande di Dio”.

Al funerale recitò la seguente preghiera scritta da lui stesso: “Durante il Giubileo dei Giovani taluni hanno osservato che pochissimi sarebbero i giovani veramente determinati a portare avanti i valori della famiglia e della vita. Io ho appena perso una famiglia stupenda e mi sembra un’assurdità che ci sia chi si rallegra se si sgretola il senso dei legami più profondi. Dio, insegnaci ad imparare che cosa conta veramente”. E del padre aggiunse che “conservava il rimpianto per le tante parole non dette, per i ‘grazie’, i ‘ti voglio bene’, i ‘non ti preoccupare’ che in tante occasioni avrebbe potuto dire”.

Il Papa aveva chiesto ai giovani “siate le sentinelle del nuovo millennio”. Quando una famiglia vive lo stile della Sacra Famiglia, quando il Vangelo entra in un cuore come quello di Alessandro, anche le tragedie più grandi diventano un annuncio pasquale.

da “Avvenire”

 

 

1 gennaio 2001 – MARIA SS. MADRE DI DIO

Nm 6,22-27 / Gal 4,4-7 / Lc 2,16-21

 

GIORNATA PER LA PACE

“Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace”

 

6-7 gennaio 2001 – EPIFANIA E BATTESIMO DI GESU’

Is 60,1-6 / Ef 3,2-3.5-6 / Mt 2,1-12

Is 40,1-5.9-11 / Tt 2,11-14; 3,4-7 / Lc 3,15-16.21-22

 

Dio dice: Ti ho stabilito come alleanza (Is 42,6)

 

Quest’anno le celebrazioni dell’Epifania e del Battesimo di Gesù cadono in due giorni successivi, sabato 6 e domenica 7 gennaio.

Per di più, nel giorno dell’Epifania si conclude il Giubileo. Perciò facciamo una riflessione sulla espressione “Ti ho stabilito come alleanza” che può unificare bene queste tre celebrazioni. Si trova nella prima lettura della liturgia del Battesimo di Gesù (anno A) ed è tratta dal secondo Canto del Servo di Dio. Durante l’anno trascorso molte volte abbiamo ascoltato il brano che Gesù ha letto nella sinagoga di Cafarnao e che la Chiesa considera come testo base del Giubileo (Is 61,1-2). È bello chiudere questo tempo straordinario con queste altre parole del profeta (Is 42,1-7). Qui non si parla di un anno di grazia, ma di una missione che continua, fatta non di forza e di imprese sensazionali, ma caratterizzata dall’umiltà, dalla interiorità, dal cuore, dall’amore:

“Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio” (con queste parole il Padre presenta suo Figlio all’umanità) “Non griderà, nè alzerà il tono, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta... Io ti ho chiamato  e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”. Non è quindi un Messia imperatore, quale poteva essere  il persiano Ciro o qualche altro condottiero, ma viene presentato Dio stesso che come un inerme bambino si manifesta a favore di tutta l’umanità, rappresentata dai Magi.

Questo messaggio è espresso ancor più chiaramente nel Battesimo, dove Gesù risale dalle acque, quasi ricoperto dei peccati che gli uomini vi depongono, e il Padre proclama: “Ecco il mio Figlio prediletto”, mentre il Battista lo indica: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Perciò l’Epifania ed il Battesimo sono il preludio del Venerdì Santo, vera manifestazione dell’amore di Dio.

È “l’alleanza nel mio sangue versato per tutti” che ogni giorno celebriamo nell’Eucaristia, è “la luce per tutte le genti”! È il Giubileo che continua, anche se la porta santa viene chiusa.

Il cristiano, a cui è concesso di intuire l’abisso dell’amore di Dio, non può che sperimentare un senso di brivido o di commozione fino alle lacrime, come spesso si è verificato nei santi, e ripetere senza fine: “grazie”!

Non solo, ma un cristiano e una comunità sentono rivolte a sè le parole “Ti ho stabilito come alleanza”, perché hanno la chiamata e la grazia di creare nel proprio ambiente relazioni nuove che superano tutte le barriere che gli uomini costruiscono tra loro.

G. B.

 

Piero Gheddo, noto giornalista, visitò in Cina alcune comunità cristiane, spuntate quasi dal nulla dopo il periodo di persecuzione ai tempi di Mao. Oggi c’è un minimo di libertà e le comunità cristiane vanno ricostituendosi. Scrive: «In una cittadina vicino a Canton, ho incontrato un vescovo e un sacerdote che avevano fatto rispettivamente venticinque e trentuno anni di carcere. Mi dicevano che sono numerose le richieste di ricevere l’istruzione religiosa ed entrare a far parte della comunità cristiana. Purtroppo non ci sono libri, non ci sono rosari e segni sacri, mancano le possibilità per una adeguata formazione cristiana dei fedeli, occupati tutto il giorno nel duro lavoro. Ho chiesto come mai ci sono queste richieste di conversione, quando la Chiesa non predica in pubblico, non può stampare libri né giornali, non usa radio né televisione, non ha scuole di formazione né centri culturali.

Il Vescovo mi risponde: “Noi non predichiamo, ma la nostra vita e la vita dei cristiani annunzia il Vangelo e una società alternativa a quella presente. Tutti sanno chi sono i cristiani: ci hanno visti nei lunghi decenni in cui siamo stati perseguitati, processati e condannati ingiustamente; non abbiamo mai maledetto nessuno, abbiamo sopportato con pazienza le nostre croci; anche in carcere e nei campi di lavoro forzato la testimonianza dei cristiani ha convertito molti al Vangelo. E ora che siamo tornati alle nostre case, non cerchiamo vendette, non ci lamentiamo per quanto abbiamo ingiustamente patito, aiutiamo tutti quelli che sono bisognosi.  Io credo che da qui vengono le molte richieste di istruzione religiosa e le molte conversioni”.»

Il Cardinale Martini, ad un giornalista che chiedeva come fosse possibile far penetrare il Vangelo nella società d’oggi, così rispondeva: “Il Signore ci chiede non di riuscire, ma di essere. Prima di tutto ci chiama ad essere Vangelo, ad esprimere nella nostra vita, come persone e come comunità cristiane, quei valori che sono luce nelle tenebre. Quindi domandiamoci non in che maniera illuminiamo, ma in che modo siamo luce nelle tenebre del nostro tempo”.

 

 

LA SETTIMANA ECUMENICA DI PREGHIERA (18-25 genn.)

 

Si sa che per ecumenismo si intende l’insieme di preghiere, iniziative e atteggiamenti nuovi orientati a superare le divisioni esistenti tra Confessioni e Chiese cristiane.

Avendo operato alcuni anni in Germania come cappellano dei nostri emigranti, ha suscitato in me grande entusiasmo l’essermi presto imbattuto con la realtà dell’ecumenismo. Al mio primo Natale ho notato due candele molto belle sull’altare della chiesa dove celebravo. Ho saputo che erano dono della locale parrocchia evangelica. Mi sono detto: “In Italia non ho mai pensato di fare un dono simile alla parrocchia cattolica vicina”. Comunità cattoliche ed evangeliche nel corso dell’anno organizzano insieme incontri e iniziative di vario genere.

E pensare che, come mi disse qualcuno dell’una e dell’altra ‘sponda’, “fino a non molto tempo fa andavamo apposta a lavorare nei campi nei giorni festivi dei cattolici” (per es. il Corpus Domini) e, rispettivamente, “degli evangelici” (ad es. nella loro festa detta “Preghiera e Penitenza”)!

Oggi è in crescendo il dispiacere di trovarsi divisi.

Un giorno, di fronte alle difficoltà che incontravo nel promuovere l’unità tra gli italiani, ne ho parlato con un parroco tedesco concludendo: “Che sia questo un segno che devo dedicarmi all’ecumenismo?”. L’ho visto sorridere: “Secondo me, il tuo ecumenismo è il rapporto tra italiani e tedeschi”. Mi sono sentito ributtato ad affrontare i problemi in casa e proprio per dare basi più vere all’ecumenismo. E mi sono reso conto che espressioni come guerre di religione sono una copertura del fatto che non andiamo d’accordo per ben altri motivi, dal momento che avvengono anche quando apparteniamo alla stessa confessione o religione.

Uno dei principi ecumenici è: evidenziare il molto che ci unisce e non ciò che ci divide. Ma questo non lo pratichiamo spesso nemmeno tra cattolici: quando, ad es., non vogliamo lavorare insieme perchè quello non mi va giù; quando nella stessa parrocchia i gruppi si ignorano e si ritengono ciascuno migliore degli altri o si scambiano giudizi; quando nelle stesse famiglie si cominciano a vedere solo i difetti dell’altro, per cui non ci si capisce più e si pensa perfino di dividersi; quando in nome degli affari sono affari facciamo saltare i rapporti non solo tra commercianti e politici, ma pure tra parenti e familiari...

Con gli anni ho constatato che laddove gli italiani, anche in piccoli gruppi, si sforzavano di unirsi in nome del Vangelo, erano portati ad aprirsi anche col loro parroco tedesco, prima ignorato, e con tutta la comunità tedesca. Da qui il passo di contatti promettenti con evangelici e metodisti è stato nella logica delle cose di Dio: se impari appena un po’ ad amare come Lui - e questo fa ecumenismo - le divisioni prima o poi si sciolgono una dopo l’altra.

Nereo F.

 

14 gennaio 2001 – 2a domenica t.o.

Is 62,1-5 / 1 Cor 12,4-11 / Gv 2,1-12

 

Fate quello che Egli vi dirà (Gv 2,5)

 

A Cana si manifesta il primo dei sette segni che il Vangelo di Giovanni descrive.

Segno è il termine con cui il quarto evangelista definisce i miracoli di Gesù, i quali indicano sempre realtà ed eventi assai più grandi.

Durante il banchetto nuziale succede un incidente: “La madre disse a Gesù: non hanno più vino. Ed Egli rispose: che ho a che fare con te, donna? Non è ancora giunta la mia ora! La madre dice ai servi: fate quello che egli vi dirà”.

A questo punto ecco davanti agli occhi stupiti di tutti il grande segno: sei giare di pietra di circa 100 litri di acqua si trasformano in un vino prelibato.

Il segno vuole esprimere che è arrivato il vino buono, Gesù, l’uomo nuovo. E Maria, la nuova Eva, piena di fiducia che qualcosa sarebbe accaduto per quella umanità, ne avvia la missione ed indica a tutti il segreto per partecipare a questo banchetto di vita e di festa: “Fate quello che Egli vi dirà”. Quando facciamo quello che Egli ci dice, prolunghiamo la sua presenza, la sua incarnazione in noi e nel mondo. Il segno di Canaan diventa realtà.

Luciano M.

 

Oggi volevo vivere la Parola di Dio e perciò ho cercato di amare tutti:

- desideravo guardare la partita alla televisione, ma, ricordandomi che devo mettere Dio al primo posto, ho rinunciato e sono stato felicissimo di andare invece al catechismo.

- Ho detto a mia sorella di non apparecchiare la tavola, perchè volevo essere io a fare un favore alla mamma.

- Ho riempito d’acqua gli evaporatori per evitare che lo dovesse fare papà.

- Sentendomi felice nell’aiutare gli altri, ho anche stirato.

In tutte queste esperienze ho sperimentato la gioia che si prova quando si fa quello che ci dice Gesù.

Riccardo, 11 anni

 

Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6)

 

Queste sono le parole proposte quest’anno alla riflessione dei cristiani nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra dal 18 al 25 gennaio.

Esse sono una sintesi della identità e della missione di Gesù. Gesù è la via essendo per noi la verità. “Io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Ma Gesù è la via anche essendo per noi vita. “Io sono venuto perchè abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

Ma quale via ha intrapreso Gesù, quale verità ha rivelato, quale vita ha comunicato? Si può dire che la via percorsa da Gesù ha un solo nome: amore. E che noi, per seguirlo, dobbiamo camminare per questa via: la via dell’amore.

Ma l’amore che Gesù ha vissuto e portato è un amore speciale, unico. Non è filantropia, né semplicemente solidarietà o benevolenza; neanche pura amicizia o affetto; e non è nemmeno solo non-violenza. È qualcosa di eccezionale, di divino: è l’amore stesso che arde in Dio. Amore divino, acceso in noi col battesimo e alimentato con gli altri sacramenti; dono di Dio, che domanda però tutta la nostra corrispondenza.

Dobbiamo far fruttare questo amore. In che modo? Amando. Amando, seguiremo Gesù-Via e saremo, come Lui, vita per tanti nostri fratelli e sorelle.

E saremo più veri e più convincenti se questo comandamento dell’amore che Gesù ci ha dato lo vivremo insieme.

Nonostante non ci sia ancora la piena unità fra noi seguaci di Gesù, possiamo dimostrare con la vita l’amore reciproco. Con ciò abbiamo la possibilità di vedere verificarsi una promessa di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome - che alcuni Padri della Chiesa interpretano nel mio amore - io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).

Questo dono della presenza di Gesù lo possiamo già godere anche fra un cattolico ed un anglicano, fra una ortodossa e una metodista, fra un valdese ed un armeno. Gesù in mezzo ai suoi! E sarà Egli a dire al mondo che non lo conosce: “Io sono la via, la verità e la vita”.

E poiché l’unità dei cristiani è un dono, facciamo calcolo della preghiera fatta insieme, perchè Gesù ha detto: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà” (Mt 18,19).

 

stralci da una commento di Chiara Lubich

Un giorno sono stato in ospedale per un piccolo intervento e ho letto un libro che la mia fidanzata mi aveva dato. Erano fatti di Vangelo vissuto, bellissimi, ma, dicevo tra me, è impossibile vivere davvero così!

Poi lei mi ha fatto conoscere qualcuna di queste persone e, parlando con loro, ho capito e ho visto che invece si poteva. Da lì si aprì per noi una nuova vita. Ci siamo sposati per fare una famiglia aperta verso gli altri. Prima io non ero religioso. poi abbiamo cominciato a frequentare la chiesa di Anna che è cattolica; io sono della chiesa evangelica. Cominciammo a riflettere su questa cosa. Sentivo che dovevo amare la mia chiesa e cercare di portare lì la mia testimonianza. Così ho fatto. Ho allacciato dei bei rapporti ed ora faccio parte del consiglio parrocchiale. Vogliamo mostrare ai nostri figli e a tutti, con la vita, la bellezza del cristianesimo. Vorremmo che la nostra famiglia fosse davvero un seme di unità.

 

21 gennaio 2001 – 3a domenica t.o.

Ne 8,2-4.5-6.8-10 / 1 Cor 12,12-31 / Lc 1,1-4; 4,14-21

 

Lo Spirito mi ha mandato ad annunciare il Vangelo (Lc 4,18)

 

Era un sabato e davanti alla folla che si accalcava nella sinagoga di Nazareth si levò un paesano di cui si parlava tanto in quei giorni.

Lesse una pagina di Isaia, un annunzio di speranza e di liberazione.

Il silenzio e gli occhi fissi dell’uditorio attendevano la spiegazione. Gesù pronunciò questa frase: “Oggi si compiono queste parole: lo Spirito del Signore è su di me; mi ha mandato ad annunziare il Vangelo”.

E oggi, dopo 2000 anni, lo stesso Gesù entra nelle nostre chiese con la sua Parola proclamata spiegata vissuta. E lo Spirito del Signore è sulla assemblea, avvolge Gesù presente nelle sue membra. La Parola diventa evento. Ci coinvolge. Ci trasforma. Si incarna in noi. E lo Spirito ci manda ad annunziarla. Quello che è avvenuto in noi va comunicato, perchè altre persone e altre situazioni siano contagiate, trasformate.

Lasciamoci prendere da questa avventura.

L. M.

 

Nella mia classe era difficile vivere da autentica cristiana. Quasi tutti i ragazzi fumavano sigarette drogate, leggevano giornali pornografici, le loro conversazioni erano sempre immorali.

Ma volevo che Dio regnasse anche nella mia classe, così ho cominciato ad amare per prima e a distribuire a tutti un brano della Parola di Dio. Pian piano la classe ha cominciato a cambiare: alcune ragazze, durante l’intervallo, non si univano più alla conversazione generale ma venivano attorno al mio banco e ci raccontavamo le prime esperienze che avevamo fatto vivendo la parola di Dio. Una ragazza, che non aveva mai letto il Vangelo, mi ha chiesto come si fa a viverlo. Così molte volte, durante l’intervallo, lo leggevamo insieme. Con la mia compagna di banco era più difficile costruire un rapporto vero: spesso mi criticava prendendomi in giro davanti a tutti.

Un giorno mi aveva detto che si drogava perchè trovava nella droga una certa felicità. Le avevo risposto che io non avevo bisogno di rifugiarmi nella droga, perché ho trovato un ideale che mi dà tutto, ma lei era convinta che la religione non ha senso, è sorpassata. L’avevo ascoltata cercando di volerle bene e tornando a casa sono andata in una chiesa per chiedere a Gesù di entrare anche nel suo cuore. Il mattino seguente mi è venuta incontro e mi ha detto: “Ho ripensato a tutto quello che mi hai detto ieri e mi sono accorta che tu sei molto più felice e serena di me. Non voglio più drogarmi e voglio cominciare a vivere come vivi tu”.

Barbara

 

 

28 gennaio 2001 – 4a domenica t.o.

Ger 1,2-5.17-19 / 1 Cor 12,31 – 13,13 / Lc 4,21-30

 

Io, il Signore, ti ho stabilito profeta (Ger 1,5)

 

Profeta è chi parla in nome di Dio; è chi sta in nome di Dio davanti al mondo, per trasmettere ad esso le parole e i giudizi di Dio. Elemento costitutivo dell’esperienza profetica è l’essere scelti, presi e mandati da Dio stesso.

Il profeta sa di essere una sentinella, un servitore di Dio e del popolo.

I veri profeti annunziano Colui che sarà totalmente docile allo Spirito di Dio, il profeta per eccellenza, Gesù di Nazareth.

La Chiesa fondata da Gesù è nutrita dal suo Spirito.

Anche noi nel battesimo siamo costituiti profeti, persone aperte all’azione dello Spirito Santo in noi e attorno a noi.

Io, dice il Signore ad ogni battezzato, ti ho stabilito profeta! Diventiamo ciò che siamo! Si è profeti quando si ha uno sguardo rivolto a Dio, tutti presi dalla Sua Parola, e uno sguardo rivolto all’umanità per cogliervi i segni dei tempi: si è e ci si sente strumenti di Dio che interviene nella storia.

L. M.

 

Una ragazza di un paese dell’Europa dell’Est scrive che nella sua terra è difficile trovare chi testimoni apertamente le proprie convinzioni, in modo particolare tra i giovani; in molti si nota una contraddizione tra fede e vita.

Un giorno, racconta, l’insegnante di polacco ci ha chiesto un commento ad un’opera satirica contro la Chiesa. Pur riconoscendone il valore letterario, ho scritto liberamente che la mia opinione era diversa e che per me quella satira non era allegra. Il mio lavoro ha ricevuto il voto più basso, con una nota: “Il giudizio riguarda non lo stile ma le idee”. L’insegnante mi ha proposto di riscriverlo, modificandone i contenuti.

Mi sono confrontata con le mie compagne che condividono lo stesso impegno cristiano, e ho deciso che l’avrei sì riscritto, ma approfondendo ancora di più le mie motivazioni. Alla consegna, la professoressa mi ha detto che non poteva darmi il voto migliore (per non contraddirsi), ma che avrei dovuto leggerlo davanti a tutta la classe. Me le aspettavo tutte, pensavo mi avrebbero derisa; avevo un po’ di timore. Forte però dell’unità delle mie amiche, ho iniziato a leggerlo a voce alta.

Si è fatto silenzio e, alla fine, una compagna ha detto alla professoressa che la pensava come me, ma che non aveva avuto il coraggio di sostenere le sue idee.

Dopo qualche settimana, ancora un altro compito: dovevamo immedesimarci con un personaggio della letteratura che bestemmiava contro Dio. Mi sono rifiutata e ho chiesto un’alternativa. E questa volta eravamo in due. L’insegnante, visibilmente contrariata, non ci ha dato retta. Poi ha chiesto ad un altro compagno di leggere il suo compito, ma questi, dopo le prime battute, arrossendo, si è bloccato. A quel punto la professoressa si è fermata e ha chiesto scusa a tutta la classe per aver ferito le nostre convinzioni.