II DOMENICA DI QUARESIMA/B

2 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro 3 e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4 E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. 5 Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia! ”. 6 Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. 7 Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo! ”. 8 E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. 9 Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. 10 Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

[Mc 9, 2-10]

La Quaresima è un cammino di conversione, cioè di fede. Tale fede brilla in modo commovente nel comportamento di Abramo (Gn. 22: I lettura, racconto abbreviato). Dio gli chiede di sacrificargli l’unico figlio. Una richiesta strana, incomprensibile, che getta  quest’uomo nel buio più atroce. Ma Abramo non esita. Obbedisce. Dio è talmente importante per lui che è pronto a donargli quanto gli chiede, senza calcolo. Per il suo Dio è pronto a perdere anche la persona umana più cara. E si fida di Dio. E’ sicuro che Egli realizzerà la promessa di donargli una discendenza numerosa, anche se ora sembra smentirla e apparentemente la rende impossibile. Abramo non dubita dell’amore e della fedeltà di Dio, che sembrano ora contraddetti in modo evidente e clamoroso. E Dio è felice di un uomo così: “Non mi hai rifiutato il tuo figlio, il tuo unico figlio”. Per questo gli rinnova la promessa di una benedizione sovrabbondante.

La fede si fonda sull’amore infinito che Dio ci ha manifestato: Egli merita una fiducia illimitata, dal momento che “non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8, 32: II lettura). L’allusione è al testo della Genesi: si ha il medesimo verbo attribuito ad Abramo che “non ha rifiutato” (=non ha risparmiato) il proprio figlio Isacco. Dio, però, mentre gradiva il sacrificio interiore di Abramo, non ha permesso che uccidesse il figlio. Lui però, il Padre, realmente non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato (= lo ha consegnato alla morte) per tutti noi.

L’episodio evangelico di oggi intende consolidare questa fede nei discepoli in vista della terribile prova che sarà la Passione di Gesù. La Trasfigurazione è un’esperienza senza dubbio straordinaria, unica, per Gesù anzitutto, e per i suoi tre discepoli. “Si trasfigurò davanti a loro”. Letteralmente: “fu trasfigurato”. Da Dio: è Lui che opera tale prodigio, tale meraviglia nell’umanità di Gesù. Un Gesù incredibilmente nuovo. L’evangelista sottolinea la sua luminosità: “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”. Il bianco luminoso simboleggia il mondo divino, il mondo della risurrezione. Bianca sarà appunto anche la veste dell’angelo che annunzierà la risurrezione di Gesù (Mc 16,5). E’ la “gloria” di Dio, cioè la pienezza traboccante della vita di Dio, che rifulge su tutta la persona di Gesù. E’ la “gloria” segreta di Gesù, quella vitalità infinita, quel fascino, quello splendore divino, che abitualmente si nascondeva sotto un’umanità comune, e che ora trapela, anzi esplode all’esterno, seppure per un attimo. I discepoli rimangono letteralmente “inchiodati”, estasiati da tanta bellezza. Ma prima ancora, Gesù stesso è sopraffatto dallo stupore, è inondato e sommerso dalla gioia di Dio. In questo modo il Padre fa sperimentare a Gesù e fa intravedere ai tre discepoli un “assaggio” di quella gloria che, risorgendo dai morti, possederà per sempre dal mattino di Pasqua. Il Gesù trasfigurato è già in qualche modo e per anticipo il Signore risorto.

Quest’esperienza vuole infondere in Gesù e nei discepoli coraggio e fiducia di fronte alla prospettiva della sofferenza e della morte. Ecco dove conduce il cammino verso Gerusalemme. Qui Gesù sarà ucciso: fallimento totale della sua opera e dispersione dei discepoli. Ma non è questo lo sbocco ultimo e definitivo. Il traguardo finale è la vita nuova vittoriosa sulla morte, è la luce della risurrezione.

A noi cristiani, impegnati nell’itinerario quaresimale di conversione, impegnati ogni giorno a seguire Cristo con fedeltà tenace, anche se sofferta, la trasfigurazione di Gesù ricorda che questo cammino ci porta a gioire a Pasqua col Signore risorto, ma ci conduce pure immancabilmente alla nostra futura “trasfigurazione”. E’ un annuncio, quindi, del nostro vero destino, un rilancio di quella speranza senza complessi, che resiste a ogni sfida, anche a quella della morte. Una speranza che, specialmente nei cristiani più fervorosi, diventa quasi nostalgia, impazienza, desiderio struggente di essere come Lui e con Lui, il Signore “trasfigurato”, il Signore risorto.

Tale attesa, però, non può distogliere dal cammino concreto nella storia, non può distogliere dall’impegno di servizio all’uomo, che è la via percorsa da Gesù. Pietro, inebriato dalla gioia di questa esperienza, propone di restare lì sul monte. Vorrebbe “fissare” quel momento di beatitudine. Perché salire a Gerusalemme, dove un tragico destino attende Gesù? In realtà Pietro pensa solo a sé e ai due compagni, dimenticando gli altri, dimenticando soprattutto che la “trasfigurazione” sarà il traguardo di un cammino di dolore. L’estasi è, appunto, di breve durata e i discepoli si ritrovano col Gesù di tutti i giorni, in viaggio verso Gerusalemme. Allo stesso modo i cristiani non possono dimorare stabilmente su nessun “Tabor”. Il Signore ogni tanto può regalarci nelle forme più diverse momenti di particolare luce o gioia, che assomigliano sia pure lontanamente all’esperienza dei discepoli sul monte. Tuttavia il cammino ordinario è quello di una fede che va avanti, spesso con fatica, nella quotidianità, nella ferialità, in compagnia di un Gesù che non ci incanta col suo fascino. Questa fede, che ha un modello stupendo in Abramo, ci consente di riconoscere nel Gesù che ci parla nella Scrittura e nella Chiesa, nel Gesù che si nasconde nei fratelli ed è presente soprattutto nell’Eucaristia, il Gesù “trasfigurato”, il Signore risorto, che ci catturerebbe irresistibilmente se si mostrasse nella sua realtà visibile. Non lo fa, perché è geloso della nostra libertà.

Questa fede ci aiuta a riconoscere la voce del Padre, mentre avvolge i discepoli con la sua presenza (cfr. la “nube”): “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”. E’ il culmine di tutta la scena. La dichiarazione che nel Battesimo aveva rivolto esclusivamente a Gesù (“Tu sei il mio Figlio prediletto”)  il Padre ora la ripete ai tre discepoli e - tramite loro -, a tutti noi: “Questo Gesù è mio Figlio, il mio unico tesoro, il mio tutto”. Questa relazione con Dio è il vero segreto della persona di Gesù: in tale segreto il Padre introduce i discepoli, anzi li rende partecipi di tale rapporto di Gesù con Lui. All’indicativo si aggiunge l’imperativo: “Ascoltatelo!cioè accogliete la sua parola. Fate quello che vi dice. Accettate Gesù così com’è e non come vorreste voi: accettatelo cioè come il Messia sofferente, che arriva alla gloria attraverso il servizio ostinato agli uomini fino alla morte. Seguitelo sulla stessa strada.

Le parole del Padre sono confermate anche dalla presenza di Mosè e di Elia, che rappresentano la Legge e i profeti, indicando che tutta la rivelazione dell’A.T. trova il suo compimento in Gesù. Se finora i fedeli di Israele hanno ascoltato Mosè ed Elia, ora devono ascoltare Gesù. E’ Lui l’unico Maestro degli uomini. Il racconto aggiunge pure che i discepoli, dopo aver udito la voce del Padre, vedono Gesù soltanto: non hanno bisogno di nessun altro. Hanno con loro Colui che porta la rivelazione definitiva di Dio. Solo Gesù deve bastare.

La “trasfigurazione” non è soltanto un avvenimento futuro che il credente aspetta nella speranza. Ma nella sua vita è già in corso una misteriosa “trasfigurazione” del suo essere, un rapporto di progressiva assimilazione a Cristo attraverso l’amore. Una “trasfigurazione” che in certi cristiani più maturi non di rado traspare anche all’esterno. Quando per es. visito malati che mi accolgono col sorriso e accettano con serenità la loro sofferenza, quando trovo ragazzi e giovani che sanno andare controcorrente e si mantengono puri in un ambiente inquinato e inquinante; quando incontro persone di ogni età che sono capaci di perdonare; persone che hanno deciso di giocare la loro vita su Dio soltanto, rinunciando all’idolo del denaro, del successo, del potere, del sesso...in tutti questi casi penso a tale “trasfigurazione” in atto.

 

Lungo la nostra giornata quanti gesti forse scivolano via, vuoti d’amore, e ci lasciano insoddisfatti! Non potresti provare a “trasfigurare” ognuno dei tuoi gesti, a trasformarlo cioè in un gesto di attenzione agli altri, in un capolavoro d’amore? Comincia subito con le persone che ti stanno vicino.

Molte volte al giorno io posso raccogliermi in una pausa di silenzio oppure posso attivare la mia attenzione durante il lavoro, il gioco, e anche in mezzo alla confusione, per avvertire la voce del Padre che mi ripete: “Gesù è il mio Figlio, è tutto il mio amore, è tutta la mia gioia. Ascoltalo . Cioè accogli la sua parola, mettila in pratica, accetta la sua guida, ubbidisci a Lui”.

Il rapporto con la parola di Gesù, come anche il dialogo con Lui nella preghiera, ci “trasfigura” interiormente rendendoci sempre più simili a Lui, altri Lui. Il custodire nel cuore, lungo la giornata, anche una sola delle parole di Gesù, che ci sono state donate nella celebrazione domenicale o che abbiamo colto leggendo il Vangelo, “trasfigura” a poco a poco il nostro modo di pensare e di agire e rende il nostro volto più luminoso, quasi trasparenza del volto di Gesù.

Quante volte lungo la giornata mi capita di leggere o ascoltare o lasciare risuonare nel mio cuore una parola del Vangelo e di impegnarmi subito a viverla? Perché non comunicare anche con qualcuno della famiglia e con altri ciò che abbiamo potuto capire e vivere?