19 ottobre 2003 – 29ª domenica t.ord.

Is 53,2-3.10-11 / Eb 4,14-16 / Mc 10,35-45

Il Figlio è venuto per dare la propria vita

(Mc 10,45)

Seguire Gesù è compiere un viaggio verso la donazione totale di sé come ha fatto Lui. Allora si capisce quanto siano lontani i sentimenti della madre di Giovanni e Giacomo e degli altri apostoli che si aspettavano un regno dove la logica era quella della spartizione del potere. Sono sentimenti che possono insinuarsi nel seguace di Gesù quando si è preoccupati più di sè stessi che dell’accoglienza di Lui nella nostra vita e ci si lascia prendere dal fascino del potere.

Nel verbo donare è racchiusa tutta la vita di Gesù. Egli ha donato, nel senso che ha saputo perdere se stesso per noi, dall’atto grande dell’incarnazione, “ha spogliato se stesso per assumere la natura umana”, fino all’ultimo gesto sulla croce quando ha versato il suo sangue per noi. Contemporaneamente donare significa anche far passare qualcosa della nostra vita nell’altro. Gesù ha trasmesso a noi la sua vita trinitaria, una corrente di AMORE continuo con il Padre.

Lo stesso si verifica per ognuno di noi quando viviamo il suo comandamento e facciamo della nostra esistenza un dono ai fratelli. Ne sono una testimonianza viva tutti i missionari che hanno dato la loro vita per gli altri.

 

Stavo leggendo un libro su Madre Teresa. Vi era riportata una frase: «Se mai diverrò una santa, sarò certamente una santa del “nascondimento”: mi assenterò in continuazione dal paradiso per recarmi sulla terra ad accendere la luce di quelli che si trovano nelle tenebre».

A dire il vero era un momento un po’ nero per la nostra famiglia, così le ho detto: «Teresa, vieni anche da noi a darci un po’ di luce!».

Lei ha capito a modo suo, naturalmente e, l’indomani, proprio davanti al portone del palazzo, c’era un suo “cliente”: un barbone ancora giovane che dormiva placidamente. Già qualche inquilino aveva incaricato la custode di svegliarlo e mandarlo via.

Ho portato giù biscotti, cioccolatini, bibite per favorire il suo risveglio, e ho ricordato alla custode che in lui dovevamo vedere Gesù e non un “rompiscatole” della domenica.

Lo scuoto gentilmente e gli dico che ormai è ora di alzarsi. Ha begli occhi grigio ferro, con una trasparenza che ho già notato in altri barboni. Mentre mangia avidamente, mi dice il suo nome, gli anni e la provenienza. Gli propongo poi qualcosa di caldo: un tè va benissimo. Vado a prepararglielo. Intanto la custode gli offre dei soldi e del vestiario che le hanno dato per i poveri, mentre sua figlia gli porta un’arancia. Beve il tè, accetta ogni cosa. Le scarpe però risultano piccole per lui, ma le prende lo stesso per darle ad un amico.

Lo aiuto a piegare il sacco a pelo, le coperte. Intanto arriva anche mio marito, che aggiunge qualche soldo per comprare delle sigarette. Adesso ha troppa roba e il suo sacco non basta. Salgo a cercarne uno più grande.

Ci saluta con un grazie che non dimenticheremo più, lasciandomi felice nel grigiore di una domenica milanese. Madre Teresa ha acceso la mia oscurità.

A. M., Milano