19 giugno 2005 - 12a domenica t. ord.

Ger 20,10-13 / Rm 5,12-15 / Mt 10,26-33

 

Chi mi riconoscerà davanti agli uomini,

anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio

(Mt 10,32)

 

Quando scrive, Matteo si rivolge a cristiani che già conoscono opposizioni e persecuzione. È l’invito a testimoniare senza paure il Regno di Dio, il Vangelo che abbiamo scoperto e ricevuto come «il tesoro».

Ma il coraggio, l’ardimento di fronte alle più impreviste difficoltà non ce lo possiamo dare da noi: viene dal nostro Padre che conosce il numero dei nostri capelli e ci segue e custodisce come figli prediletti. La nostra «sicurezza», serenità e pace perché ci fidiamo credendo alla Parola di Gesù, sarà allora sempre la più eloquente testimonianza. Poi, al momento opportuno potrà seguire la parola, ma servirà nella misura in cui sarà frutto del nostro essere abbandonati all’Amore.

 

C’era un grande silenzio in classe mentre la professoressa di filosofia spiegava. Il suo discorso non faceva una piega: logico, convincente, appassionante. Eppure dentro una voce sottile mi spingeva a stare in guardia, per difendere la verità. Quel modo di ragionare infatti era molto pericoloso. Seguendo il pensiero di quel filosofo di cui si stava parlando, saremmo giunti a delle conclusioni assai sballate.

Si diceva che l’uomo può essere felice soltanto se vive da solo, se ha da bere e da mangiare a sufficienza, se ha una casa in cui riposare. Si arrivava ad affermare addirittura che la sua vita viene dal caso e che l’anima è mortale, destinata a finire con il corpo.

Finita la spiegazione la professoressa chiese che cosa ne pensavamo. Alcuni miei compagni dissero di essere d’accordo con il pensiero che lei aveva esposto. Io invece ero di un parere ben diverso. Superando il timore di trovarmi da sola contro tutta la classe, ho alzato la mano chiedendo la parola, sicura che lo Spirito Santo mi avrebbe suggerito cosa dire. Ho incominciato spiegando che la vita di ogni uomo è un bene prezioso che viene da Dio e non dal caso e che ci realizziamo non tanto estraniandoci dal mondo e pensando egoisticamente a noi stessi, ma se amiamo e viviamo per gli altri.

Come è possibile dire che Dio non esiste? Basta osservare l’equilibrio e l’armonia della natura per essere certi della sua presenza. Basta pensare all’uomo, alla sua grandezza, alle capacità che ha per capire che la sua vita viene da Dio e che è destinato a ritornare verso di Lui.

Le parole continuavano ad uscirmi con grande sicurezza, mentre la classe mi seguiva con molta attenzione. Mi rendevo conto che in quel momento ero come uno strumento che Dio stava usando per illuminare i miei compagni. Alla fine del mio intervento tutti hanno cominciato a darmi ragione. Avevano capito che non era giusto aderire al pensiero di quel filosofo.

All’uscita della scuola, la professoressa di filosofia mi si è avvicinata e mi ha sussurrato: «Sai, è stato molto bello quello che hai detto! Mi è servito moltissimo e anche i tuoi compagni ora la pensano come te!».

Era la prima volta che decidevo di dire apertamente le mie idee e Dio si è messo dalla mia parte.

Anna Rosaria, Roma