18 maggio 2003 – 5ª di Pasqua

At 9,26-31 / 1Gv 3,18-24 / Gv 15,1-8

Io sono la vera vite, il Padre è il vignaiolo

(Gv 15,1)

Immagini un tralcio staccato dalla vite? Non ha futuro, non ha più alcuna speranza, non ha fecondità e non gli resta che seccare ed essere bruciato.

Pensa a quale morte spirituale sei destinato, come cristiano, se non rimani unito a Cristo. Fa spavento! È la sterilità completa, anche se sgobbi da mattina a sera, anche se credi di essere utile all’umanità, anche se gli amici ti applaudono, anche se i beni terrestri crescono, anche se fai sacrifici notevoli. Tutto questo avrà un senso per te sulla terra, ma non ha nessun significato per Cristo e per l’eternità. Ed è quella la vita che più importa.

Cristo parla di un’unità tua con lui, ma anche di un’unità sua con te. Se sei unito a lui, lui è in te, è presente nell’intimo del tuo cuore. E nasce da questo un rapporto e un colloquio d’amore reciproco, una collaborazione fra Gesù e te, discepolo suo.

Il frutto di questa unione è che saprai suscitare, o anche edificare, opere piccole o grandi per sollevare i più vari bisogni del mondo secondo i carismi che Dio ti ha dato. E ciò vuol dire che saprai portare nell’umanità che ti circonda una corrente di bontà, di comunione, di amore reciproco.

Può essere che anche tu cada nell’errore, in cui molti cristiani si trovano: attivismo, attivismo, opere, opere per il bene degli altri, senza aver tempo di considerare se sono in tutto e per tutto uniti a Cristo.

È un errore: si crede di portar frutto, ma non è quello che Cristo in te, Cristo con te potrebbe portare. Per portare frutto durevole, che ha il timbro divino, occorre rimanere uniti a Cristo, e quanto più rimarrai unito a Cristo, tanto più frutto porterai.

Gesù ha detto: “Se rimarrete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Gv 15,7).

stralci da un commento di Chiara Lubich

Seppi che una signora che andavo a trovare periodicamente, era stata ricoverata all’ospedale per esaurimento e, quando tornò a casa, andai a trovarla assicurandole che ero a sua completa disposizione. Intuivo che sotto c’era un dramma e pregavo Gesù che mi facesse trovare il modo di aiutarla.

Un giorno, la trovai disperata perché il suo matrimonio stava andando a rotoli e l’unica soluzione sembrava la separazione  che lei non poteva accettare. Ho cercato di ascoltarla fino in fondo mentre continuava a sfogarsi. Sentivo mio quel dolore e non potevo far altro che piangere con lei. Al momento di salutarla, potei parlare di Gesù sulla croce e del dono prezioso che poteva essere questo dolore.

La signora capì che doveva essere lei a fare il primo passo verso il marito per ricostruire la famiglia. Ho cercato di starle vicino perché da sola non ce la faceva. Poi, durante le vacanze, non ci siamo viste, ma ho continuato a pregare per lei. Al ritorno, sentendola al telefono, mi ha detto, tutta sollevata, che mi voleva parlare. Felice mi ha ringraziata per l’aiuto che le ho dato e che le ha dato la forza per tornare ad essere la moglie e la madre di un tempo.

L’ascoltavo ed ero anch’io felice: dentro di me avevo la certezza che “io” non c’entravo niente e che l’artefice di tutto era Gesù che cercavo di lasciar vivere in me.

F. G.