18
aprile 2004 - 2a di Pasqua
At 5,12-16 / Ap 1,9-11.12-13.17-19 / Gv
20,19-31
Abbiamo visto il Signore!
(Gv 20,25)
Nel giorno della
Risurrezione Gesù, apparendo agli apostoli rinchiusi nel cenacolo, subito
manifesta la sua straordinaria misericordia. Non giudica, né condanna
quanti lo avevano abbandonato nel momento della prova e del maggior bisogno,
ma, ricolmo di tenerezza, ripete più volte: “Pace
a voi” e rende quei poveri
apostoli strumenti della sua misericordia.
È grande la gioia che
trabocca dal cuore di costoro che, a Tommaso, assente dallo straordinario
incontro fatto Risorto, sentono il
bisogno di dirgli: “Abbiamo visto il
Signore!”. Tommaso invece pretende di poter pure lui vedere e toccare con
mano le ferite inferte al crocifisso.
Quante volte pretendiamo di
poter convincere o convertire tante persone con le nostre belle parole. In
realtà molti fratelli che si sono allontanati dalla pratica religiosa, o altri
ammalati, abbandonati, emarginati o stanchi e delusi della vita, aspettano che
ci sia qualcuno che li aiuti a vedere
il Signore. Non siamo certo chiamati a compiere azioni straordinarie.
La nostra vita quotidiana fatta di accoglienza, di misericordia, di
condivisione, di ascolto cordiale, e di vera bontà rivelerà a tutti che il
Risorto è ancora vivo in mezzo a noi.
Siamo un gruppo di amici che si ritrova spesso. Ma quella sera una di
noi è assente: scopriamo che è in attesa di un bimbo e che il suo ragazzo,
deciso ad abbandonarla, sta facendo di tutto per convincerla che la soluzione
migliore è l’aborto.
Anche i genitori, poverissimi e con forti problemi di adattamento
sociale, non vogliono saperne del bimbo. Così i parenti più stretti.
Lei, debole e disorientata, non sa reagire alle pressioni. Solo quando
si trova con noi riesce a mettere in discussione questa decisione; ma poi,
tornata a casa, le insistenze della famiglia e le contingenze economiche la
convincono per l’aborto.
Si decide. Prenota la visita e fissa l’appuntamento per l’intervento.
Noi, nel frattempo, le proviamo tutte: preghiamo, passeggiamo con lei,
visitiamo la famiglia, contattiamo il Movimento per la Vita, riusciamo a
ottenere delle sovvenzioni economiche...
La sera del 10 maggio, festa della mamma, la invitiamo a cena, in una
nostra casa, con tutti i ragazzi e le ragazze del gruppo.
Alla fine diciamo che il prossimo anno anche lei avrebbe potuto
festeggiare “da protagonista” la festa della mamma.
È un momento di commozione per tutti, ma ormai pare troppo tardi.
L’appuntamento è pochi giorni dopo. Non c’è più nulla da fare.
Non demordiamo perché sappiamo che, pregando uniti nel nome di Gesù,
“si spostano le montagne”, e allora la sera prima dell’intervento ci ritroviamo
per chiedere, in questo modo, il miracolo: salvare la vita del piccolo.
Il giorno dopo, di buon mattino, come estremo atto d’amore, andiamo ad
attenderla per accompagnarla in ospedale. Lei ci vede, riprende fiato e ci
dice: “Me lo date un passaggio dalla parrucchiera? Sapete, una buona mamma deve
anche essere bella”.
M. T., Palermo