18 gennaio 2004 - 2a tempo ord.
Is
62,1-5 / 1Cor 12,4-11 /Gv 2,1-12
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Vi do la mia pace
(Gv 14,27)
Ogni popolo, ogni persona
avverte un profondo anelito alla pace, alla concordia, all’unità. Eppure,
nonostante gli sforzi e la buona volontà, dopo millenni di storia ci ritroviamo
incapaci di pace stabile e duratura. Gesù è venuto a portarci la pace, una pace
- ci dice - che non è come quella che dà il mondo, perché non è soltanto
assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. La sua pace è anche
questo, ma è molto di più: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale
della persona, è libertà, è fraternità nell’amore fra tutti i popoli. Lui
stesso è la nostra pace, per questo può dirci: “Vi do la mia pace”.
E cosa ha fatto Gesù per
donarci la sua pace? Ha pagato di persona. Morendo sulla croce, dopo aver
sperimentato per amore nostro l’abbandono del Padre, ha riunito gli uomini a
Dio e tra di loro, portando sulla terra la fraternità universale. Anche a noi
la costruzione della pace richiede un amore forte, capace di amare perfino chi
non contraccambia, capace di perdonare. La pace inizia dal rapporto che so
instaurare con ogni mio prossimo.
In questo mese, nel quale
preghiamo in modo particolare perché si arrivi alla piena e visibile comunione
fra le Chiese, avvertiamo ancora più forte il legame tra l’unità e la pace.
Come infatti testimoniare
quella pace profonda portata da Gesù se tra noi, cristiani, non c’è la pienezza
dell’amore, se non siamo un cuore solo e un’anima sola come nella prima
comunità di Gerusalemme?
Il mondo cambia se cambiamo
noi. Proviamo a vivere così, per essere lievito di una nuova cultura di pace e
giustizia. Vedremo rinascere in noi e attorno a noi una nuova umanità.
stralci da un commento di
Chiara Lubich
Da quando mi sono sposata ho mia suocera in casa. Pur sapendo della sua
scarsa stima nei miei confronti e della sua opposizione al nostro matrimonio,
mi impegno a dare il meglio di me per essere accettata. Purtroppo la situazione
peggiora progressivamente: capricci, parole che mi feriscono, false accuse
riferite a mio marito e alla mia famiglia di origine. Persino il rapporto di
coppia è a volte messo in pericolo...
In questa situazione, dopo aver confidato ad un’amica le mie
difficoltà, mi sento chiedere: “Al di là di tutto questo, l’hai veramente amata
come te stessa?”.
Ritorno a casa turbata; quella sera rifletto a lungo, interrogandomi a
fondo; e prego: “Illuminami, Signore, mostrami quello che non ho saputo fare e
quello che ancora devo fare...”.
Rivivo come in un film tutti i torti subiti, ma nel caos dei miei
pensieri ne emerge uno. È vero, ho amato, ma a modo mio. Per cominciare tutto
da capo devo usare misericordia, dimenticare; spetta a me il primo passo; in
mia suocera non devo più vedere la donna maldicente e capricciosa, dal
carattere scontroso, ma semplicemente un prossimo da amare, sfruttando ogni
occasione.
Mi accorgo che sto andando a letto senza augurarle la buona notte, come
mi è già successo. Vado a trovarla nella sua stanza. Mi accoglie freddamente,
ma non ne provo offesa.
Naturalmente i giorni seguenti non sono insensibile alle offese che
ricevo, ma cerco di non venir meno all’amore. Quanto a mio marito, evito di
metterlo nell’imbarazzo sottolineando il negativo di sua madre; cerco anzi di
sottolineare quel che di buono ha fatto nella
giornata. Lentamente vedo mia suocera rasserenarsi ed essere ogni giorno più
gentile.
Un mese fa sono andata per una settimana al mio villaggio di origine:
lei mi aveva preceduta di qualche giorno, e ci eravamo date appuntamento a metà
strada alla coincidenza delle corriere. Giunta alle 12, sono rimasta sorpresa:
era già là ad attendermi dalle 8 del mattino: aveva preso il primo pullman per
essere sicura di non tardare! Con sé portava anche del cibo, il mio piatto
preferito; e oltre a ciò un pacco per la mia mamma.
L’attesa della corriera è trascorsa in un dialogo fitto e profondo, mai
sperimentato prima. È proprio vero: l’amore è contagioso ed è capace di far
emergere il bene che non vediamo nell’altro!
S. E., Africa