17/11/2002 –
33 a domenica t.o.
Fedele nel
poco, ti darò autorità su molto (25,23)
Dio, che è raffigurato nel
signore della parabola, affida agli uomini i suoi doni, perché li facciano
fruttificare. E sono grandi doni, perché ciascuno possa attuare il progetto che
Dio ha su di lui. Infatti un talento equivaleva al tempo di Gesù a 6000 denari
(un denaro era lo stipendio giornaliero di un operaio). Questi doni sono da
trafficare. Infatti il premio ai servi fedeli e il castigo al servo fannullone,
che sembrano esorbitanti in proporzione del merito e del demerito, sono in
realtà un chiaro riferimento all’importanza per noi di non tenere inoperosi i
doni che Dio ci ha affidato: intelligenza, capacità, attitudini, beni materiali
e spirituali, tempo…
Essi sono un segno della
fiducia che Dio ha nei nostri riguardi perché possiamo concorrere a rendere più
bella l’opera della creazione e a diffondere il suo amore verso i nostri
fratelli. Con questi doni infatti, come la donna virtuosa di cui si parla nel
libro dei Proverbi, possiamo dar gioia a Dio, procurarci dei beni da
condividere con i poveri e nello stesso tempo aver modo di realizzare la nostra
vita.
Nella parabola riceve eguale
ricompensa chi ha consegnato il frutto di due talenti e chi quello di cinque.
Per il Signore non vale quanto si fa, ma il come lo si fa. È sufficiente anche
un piccolo gesto fatto per amore a dar senso alla nostra vita. Sono soprattutto
da preferire gli ultimi che non possono ricambiarci. E la ricompensa finale
sarà quanto mai sorprendente. Ma anche
la gioia che si prova ancora su questa terra: è Dio che ci fa gustare la
comunione con Lui, come risposta alla nostra fedeltà.
G. R.
INGORGHI
Andando in città, mi accorgo di avere fretta. Il perché non lo so, ma,
trascinato dal traffico intenso all’ingresso della città, facevo come tutti: rifiuto
di dare la precedenza, viso teso, ecc. Ad un tratto, ripenso alla Parola del
Vangelo. Allora, in mezzo alle file delle macchine, mi rilasso: sorrido a
qualcuno che si gira verso di me, lascio la precedenza a un altro, accelero di
meno alla partenza dopo il rosso e man mano mi sento più me stesso, più in Dio,
calmo, sereno; il tempo non mi opprime più e riesco a vivere il momento
presente con intensità.
Nel pomeriggio, poi, avrei proprio avuto l’occasione di andare in
collera: Maria Piera, nostra figlia, mi ha fatto cercare per due ore un foglio
che alla fine era nella sua tasca. Ma io ho vissuto la cosa con una pace di cui
conoscevo l’origine.
L. P.