16 ottobre 2005 - 29a domenica t. ord.

Is 45,1.4-6 / 1 Ts 1,1-5b / Mt 22,15-21

 

Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio

 (Mt 22,21)

 

È la risposta ad una richiesta insidiosa che viene rivolta a Gesù dai farisei e dagli uomini di Erode: le tasse alle forze d’occupazione romana si devono pagare oppure no? È un tranello per trarlo in inganno e accusarlo come collaborazionista dei Romani o come sovversivo.

Ma la sua risposta va ben oltre, indicando ciò che è veramente importante: rendere a Dio quello che è già suo. Come sulla moneta romana c’è l’immagine dell’imperatore, così nel cuore di ogni essere umano è stata impressa l’immagine di Dio: ci ha creati a sua immagine e somiglianza!1 Noi quindi gli apparteniamo e a lui dobbiamo tornare. A lui soltanto va dato il tributo totale ed esclusivo della nostra persona. La cosa più importante non sta nel versare l’imposta all’imperatore romano, ma nel dare a Dio la propria vita e il proprio cuore.

Come vivere dunque questa Parola?

Rinnovando la stima, il senso di responsabilità e l’impegno per la «cosa pubblica», nel rispetto delle leggi, nella tutela della vita, nella conservazione dei beni della collettività: edifici pubblici, strade, mezzi di trasporto…

Svolgendo il nostro compito con competenza e amore, possiamo realmente servire Gesù nei fratelli, nelle sorelle e contribuire a che lo Stato e la società rispondano al disegno di Dio sull’umanità e siano pienamente a servizio dell’uomo.

 

Andrea Ferrari, un ragioniere milanese, ha saputo fare dell’ufficio della Banca dove lavorava il luogo in cui attuare questa Parola di vita. «Ogni mattina - scrisse - quando mancano pochi minuti alle otto e trenta, marco il cartellino, entro nel palazzo degli uffici e incomincia la mia fatica quotidiana. Ma che strano lavoro il mio: andare, venire, salire scale, attendere davanti ad usci chiusi, ricevere e portare schede, e così da tanti anni… Se serberò la carità, nonostante i contrattempi, le lettere da rifare tre volte, avrò fatto tutta la mia parte, perché sento che è proprio Gesù che mi ha messo qui».

«Sono un ragioniere - diceva rivolgendosi a Gesù con semplicità - e Ti servo da ragioniere. Ecco la mia vita, Signore, voglio farla diventare tutta Amore!»

Un giorno un’anziana signora, che allo sportello si era sempre vista trattare da lui non come un’anonima cliente ma come una «persona», non sapendo come esprimergli la propria riconoscenza gli portò un sacchetto di uova!

Andrea è morto a 31 anni a Torino, in seguito a un incidente stradale, in ospedale. «Dovrò proprio morire così da solo, senza vedere nessuno?» La suora rispose che bisognava accettare la volontà di Dio. A questa parola Andrea si ravvivò, sorrise: «Abbiamo imparato a riconoscerla sempre, come nostro ideale, anche nelle piccole cose, anche - e qui ammiccò con quell’arguzia che gli era solita - anche nel rosso di un semaforo».

Egli ha ubbidito a Dio e in quella obbedienza d’amore è andato verso di Lui.

C. L.