15
aprile 2007 - 2a di Pasqua
At
5,12-16 / Ap 1,9-11.12-13.17-19 / Gv 20,19-31
Non essere più incredulo, ma credente! (Gv 20,27)
Gesù risorto
è una realtà che fa parte della storia universale che in duemila
anni nessuno è riuscito a scalfire. È il centro e il fondamento
della fede dei cristiani, seguaci di Gesù.
Ma
perché allora tanti cristiani sono senza animo, senza entusiasmo,
piegati dal dolore o rassegnati a nascere, vivere e morire senza lasciare un
segno con la loro piccola o grande storia? Forse perché di Gesù
hanno fatto un monumento, una statua ben levigata, soprattutto si sono
premurati di togliergli le piaghe, i segni del dolore.
Tommaso
a cui Gesù rimprovera la poca fede, ci insegna
ad aprire gli occhi su queste piaghe, ad immergerci il dito per scoprire in
esse tutto il dolore dell’umanità, a incontrarla crocifissa
con Lui sulla croce, continuamente trasportata dalla morte alla vita per la
potenza dell’amore di un Dio che ci coinvolge nel suo amore.
A questo Dio, al Dio delle piaghe, diciamo con tutta l’intensità
dell’anima: “Mio Signore e mio Dio” e proveremo la
dolcezza della pace, la pienezza di tutti i suoi doni.
Siamo sposati da
due anni e mezzo. Come fidanzati avevamo un nostro
progetto di matrimonio: una bella casa, circondata da un grande giardino, sport
e hobby per occupare il tempo libero. La convinzione che i bambini avrebbero
richiesto tanti sacrifici,a scapito della nostra
felicità di coppia, ci aveva spinto a decidere di non avere figli. In
previsione del futuro matrimonio, impiegavamo ogni sforzo per perseguire questo ideale. Nonostante i nostri
sogni si stessero realizzando, avvertivamo un senso di vuoto, di cui non riuscivamo
ad identificare la causa.
Poco prima di
sposarci, una coppia di amici ci ha invitato a
partecipare ad una Messa presso una Comunità Missionaria a Pordenone.
Quel giorno ha segnato nella nostra vita una svolta decisiva. Nei mesi
successivi, i contatti con i missionari sono divenuti sempre più
frequenti. Un po’ alla volta, scoprivamo la bellezza di un cammino di
fede, che da tempo avevamo abbandonato.
Contemporaneamente, aprivamo gli occhi sulla realtà missionaria. Abbiamo
cominciato a rinunciare a qualche hobby per dedicare un po’ del nostro
tempo libero in Comunità, per la selezione del materiale da inviare in
missione. Ci accorgevamo che, poco a poco, i nostri interessi cambiavano. Si
modificava radicalmente anche l’iniziale progetto familiare.
La nostra vita,
adesso, è totalmente diversa da quella che avevamo
progettato da fidanzati. Abitiamo in una casa arredata con
sobrietà, per condividere i nostri beni con i
poveri. Abbiamo scelto di accogliere con gioia i figli che il Signore
vorrà donarci.
Da qualche
tempo, facciamo parte della Comunità come Sposati Missionari e, in
questi anni di cammino, abbiamo imparato ad utilizzare parametri diversi per
misurare e costruire la nostra felicità. Oltre all’impegno del
lavoro, le nostre giornate sono scandite dalla scelta di donarci per i
fratelli. Il risultato di questa diversa impostazione di vita è che il
cuore non è più vuoto, ma pieno di
serenità.
Roberto e Deborah
(da “Comunità missionaria di Villaregia”)