14 maggio 2006  - 5a di Pasqua

At 9,26-31 / 1Gv 3,18-24 / Gv 15,1-8

 

Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto

(Gv 15,5)

 

La vera vigna è la comunità di coloro che aderiscono a Gesù, come i tralci al ceppo. Solo chi resta unito a Gesù, come il tralcio alla vite, appartiene alla vigna del Padre. Il discepolo che segue Gesù è chiamato, ogni giorno, a dare la sua risposta alla Parola e così è innestato in Gesù. La Parola di Gesù, accolta e vissuta, è come un seme di rinascita e come un germe di vita, destinata a crescere incessantemente in chi la vive. Una fedeltà sempre più grande alla Parola è la condizione di ogni attività apostolica. Il tralcio può avere forza apostolica tanto in quanto è radicato nel Signore, dando testimo-nianza di Lui nelle sofferenze, nelle prove e persino nella morte. Questa inabitazione di Cristo è una fedeltà forte e coraggiosa, virile e quotidiana. Perché questa fedeltà del discepolo è garantita dalla fedeltà del Signore: io in lui”.

 

Simone Weil, ebrea convertita al cristianesimo, guardando un giorno delle piante alte e slanciate, con rami lunghi e frondosi, commentava che questi rami inondati dalla luce del sole, per il fenomeno della clorofilla, trasmettevano la linfa vitale a tutta la pianta e così le radici si ramificavano nelle profondità della terra. Concludendo il suo scritto, Simone Weil si poneva una domanda: “Ma le piante, allora, dove hanno le loro radici, in terra o nel cielo?”. E lei stessa rispondeva: “Nel cielo”. E concludeva: “Così anche noi abbiamo le nostre radici in  cielo e quanto più uno è radicato in Dio, tanto più diventa uomo e tanto più entra nell’umanità e si fa compagno di ogni uomo”.