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maggio 2006 - 5a di Pasqua
At 9,26-31 / 1Gv
3,18-24 / Gv 15,1-8
Chi rimane in me e io
in lui, fa molto frutto
(Gv 15,5)
La vera vigna è
la comunità di coloro che aderiscono a Gesù, come i
tralci al ceppo. Solo chi resta unito a Gesù, come il tralcio alla vite,
appartiene alla vigna del Padre. Il discepolo che segue Gesù è chiamato, ogni
giorno, a dare la sua risposta alla Parola e così è innestato in Gesù. La Parola
di Gesù, accolta e vissuta, è come un seme di rinascita e come un germe di
vita, destinata a crescere incessantemente in chi la vive. Una fedeltà sempre
più grande alla Parola è la condizione di ogni
attività apostolica. Il tralcio può avere forza apostolica tanto in quanto è radicato
nel Signore, dando testimo-nianza di Lui nelle sofferenze, nelle prove e
persino nella morte. Questa inabitazione di Cristo è
una fedeltà forte e coraggiosa, virile e quotidiana. Perché questa fedeltà del
discepolo è garantita dalla fedeltà del Signore: “io
in lui”.
Simone
Weil, ebrea convertita al cristianesimo, guardando un
giorno delle piante alte e slanciate, con rami lunghi e frondosi, commentava
che questi rami inondati dalla luce del sole, per il fenomeno della clorofilla,
trasmettevano la linfa vitale a tutta la pianta e così le radici si
ramificavano nelle profondità della terra. Concludendo
il suo scritto, Simone Weil si poneva una domanda:
“Ma le piante, allora, dove hanno le loro radici, in terra o nel cielo?”. E lei stessa rispondeva: “Nel cielo”. E concludeva:
“Così anche noi abbiamo le nostre radici in
cielo e quanto più uno è radicato in Dio, tanto più diventa uomo e tanto
più entra nell’umanità e si fa compagno di ogni uomo”.