13
novembre 2005 - 33a domenica t. ord.
pro 31,10-13.19-20.30-31 / 1 Ts 5,1-6 / Mt 25,14-30
Mi hai
consegnato cinque talenti; ne ho guadagnati altri cinque
(Mt 25,20)
Questo Vangelo non è solo
l’invito a donare i propri «talenti». La prospettiva è quella del discorso
sulla «fine del mondo». L’attesa del
«ritorno» di Gesù va riempita d’amore.
«Io seguo le ore, tu riempile d’amore»
sta scritto sotto una meridiana. Vigilanza vuol dire concretezza, non attesa
vuota. Già da ora possiamo vivere in quell’Amore che continuerà poi in cielo.
Una proposta: diventare
«talent-scout», cioè scopritori di talenti; amare in modo da suscitare risposte
d’amore mettendo le persone a loro agio e in grado così di mettersi a loro
volta in gioco, quasi a gareggiare nel contare
gli atti d’amore compiuti in una giornata. L’amore non ha bisogno di per sé
di risposte e di conferme; basta a se stesso. Ma è proprio dell’amore puntare
al massimo: la reciprocità. Essa è
tipica della vita in famiglia e di ogni piccola comunità, ma può essere attuata
in ogni ambiente.
Avevo sedici anni quando i miei genitori si
separarono e mio padre si trasferì in un’altra città. Presto, la mancanza
dell’affetto paterno si è fatta sentire. Dentro di me una frattura: mi sentivo
come una pianta alla quale tagliano le radici: ero nato dall’amore di due
persone, ma se questo amore non era più tale, che senso avevo io? Nei quattro
anni successivi lo scopo della mia vita è diventato la riconciliazione dei
miei, finché ho compreso che non sarebbero mai più tornati insieme: mi sembrava
di aver perso quattro anni della mia gioventù creandomi vane illusioni.
Il mio amore verso di loro era egoistico: li amavo
affinché tornassero assieme. Solo così la mia vita avrebbe potuto rasserenarsi.
Ma, è questo l’amore col quale amava Gesù? No! L’amore di Gesù non giudica, è
gratuito e disinteressato. Ho cercato così di ricostruire il rapporto con
ciascuno dei miei famigliari, chiedendo ogni giorno allo Spirito Santo e a
Maria di aiutarmi perché il mio fosse davvero amore.
Lentamente ho recuperato un buon rapporto d’amore
con mio padre a tal punto da potergli dire, quando me lo ha chiesto, che il
tipo di vita scelto da lui negli ultimi tempi non poteva farlo felice, perché
era una fuga da problemi che si potevano affrontare insieme. Col tempo sono
riuscito anche a perdonargli le mancanze d’amore da me provate.
Grazie ad una borsa di studio, poi, sono andato a
Madrid e, tornando a casa per Natale, l’idea di dover festeggiare due natali
distinti mi infastidiva. Ma ecco la sorpresa: mia madre mi dice che papà era
disposto a pranzare insieme a noi. Notare una certa cordialità fra loro mi ha
reso felice.
Tornato in Spagna ho ricevuto una telefonata: «C’è
qualcuno qui a casa che vuole salutarti» dice mia madre. È mio padre. Resto in
silenzio, lui con voce commossa mi dice: «Sono tornato a casa». Dopo nove anni
non me lo sarei aspettato e, incredulo, riesco solo a dirgli: «L’importante è
che lo facciate per voi due e non solo per noi figli». Lui mi ringrazia.
Dopo aver compreso il miracolo che era accaduto,
telefono a quanti in questi anni hanno vissuto
con me tutta la sofferenza, per condividere con loro la mia gioia.
G. T., Italia