13 febbraio 2005
- 1a QUARESIMA
Gn 2,7-9; 3,1-7 / Rm 5,12-19 / Mt 4,1-11
Adora il
Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto
(Mt 4,10)
In Quaresima la Chiesa ci ricorda che la nostra vita
è un cammino verso la Pasqua, quando
Gesù, con la sua morte e risurrezione, ci introduce nella vita vera,
all’incontro con Dio. Un cammino non privo di difficoltà e di prove, paragonato
ad una traversata del deserto.
Gesù, con questa ferma risposta a Satana, ci ricorda
che la pienezza del nostro essere non sta nella ricerca delle cose che passano,
ma nel metterci davanti a Dio, dal quale tutto proviene, e riconoscerlo per
quello che Egli veramente è: il Creatore, il Signore della storia, il nostro Tutto.
Se lassù in cielo, dove siamo incamminati, lo loderemo incessantemente, perché non
anticipare fin da adesso la nostra lode a Lui? Che sete sentiamo, a volte,
anche noi di adorare, lodandolo nel
fondo del nostro cuore, vivo nel silenzio dei tabernacoli e nella festante
assemblea dell’Eucaristia...
Ma che significa “adorare” Dio?
È un atteggiamento che va diretto solo a Lui.
Adorare significa dire a Dio: “Tu sei tutto”, cioè: “Sei quello
che sei”; ed io ho il privilegio immenso della vita per riconoscerlo.
Adorare significa anche aggiungere: “Io
sono nulla”. E non dirlo solo a parole. per adorare Dio occorre
annientare noi stessi e far trionfare Lui in noi e nel mondo. Questo implica il
costante abbattimento dei falsi idoli che siamo tentati di costruirci nella
vita.
Se siamo “amore”
sempre, noi, senza che ce ne
accorgiamo, siamo per noi stessi nulla. E perché viviamo il nostro nulla,
affermiamo con la vita la superiorità di Dio, il suo essere tutto, aprendoci
alla vera adorazione di Dio.
A causa di un
tumore maligno ho vissuto un lungo periodo di degenza.
Nei giorni
trascorsi in ospedale più che il desiderio di una pronta guarigione, che pur
c’era, sentivo una spinta interiore a essere di Dio. Sperimentavo una Sua
vicinanza, direi... piuttosto speciale. Spesso, attratto da questa sensazione,
salivo all’ultimo piano dove c’era la Cappellina per stare con Lui e pregare.
È stato lì
che, un giorno, assorto in preghiera, ho sentito nel cuore qualcosa, quasi che
Gesù mi suggerisse: “Io sono presente anche ai piani sottostanti, in tutti i
degenti, nel tuo vicino di letto, nei tuoi compagni di camera”.
Quel giorno
sono quasi scappato dalla cappella con l’intento di non perdere un minuto per
raggiungere i miei compagni di stanza e guardarli con occhi nuovi. È stato un
capovolgimento nella mia vita di degente. Vedere Gesù in ogni prossimo era così
bello e così impegnativo che non avevo più il tempo per pensare a me. Ho
cominciato a stare attento alle
necessità degli altri, così improvvisamente mi sono trasformato in un
ascoltatore, uno che apriva la porta, uno che teneva la mano, uno che
sorrideva, uno che faceva ridere...
In
quell’ambiente che poteva essere appiattito e livellato dalla comune sorte di
dolore, Dio mi ha regalato i sorrisi più belli e più veri.
E. N., Italia