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giugno 2005 - 11a domenica t.
ord.
Es 19,2-6a / Rm 5,6-11 / Mt 9,36 - 10,8
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(Mt 10,8)
Gesù vede le folle stanche e sfinite, ne sente
«compassione», cioè fa sua, condivide quella pena e stanchezza.
Come è bello sentirci
guardati e compresi così da Gesù, e capire che «gli Apostoli», cioè i Pastori,
le Guide per noi sua Chiesa, sono il
dono grandissimo del suo amore. È sempre Lui che si dona senza riserve,
«gratuitamente», nelle loro persone e suscita in noi la risposta, che non può che essere altrettanto gratuita: siamo
fatti per questo, per vivere così. «Ogni
cosa è stata creata come dono per me, e io esisto, devo essere e vivere come
dono per gli altri». Questa è la legge di vita che apre alla gioia vera; S.
Paolo riporta il detto di Gesù: «È più bello donare che ricevere».
Mentre mi spostavo in autobus, una frenata brusca fa
volare a terra alcune persone; io batto con la tibia contro un gradino e mi
provoco una ferita ben visibile. L’autista si ferma a prendere i nostri nomi e
poi ci fa scendere.
Zoppicando raggiungo il Pronto Soccorso
dell’ospedale. Do i miei dati e mi siedo tra un’umanità dolorante costretta ad
attendere come me. Un’ora, un’ora e mezza e la fila non scorre, anche perché ci
sono le urgenze. A mezzogiorno decido di lasciar perdere perché mia madre mi
attende per il pranzo come ogni giorno e non voglio farla stare in pena...
Nel pomeriggio provo a telefonare al mio medico, ma
l’infermiera mi dice che, per incidenti di questo tipo, dovrei rivolgermi al Pronto
Soccorso. Ci vado subito e questa volta non trovo folla, ma solo un’impiegata
che mi rimprovera perché, per una piccola ferita, porto via il posto ad
eventuali casi urgenti. Devo rivolgermi al mio medico! Decido alla fine di
tenermi la ferita e di lasciar perdere. Ma dopo due settimane mi arriva la
raccomandata dell’assicurazione con l’invito a presentarmi. Spiego
all’assicuratore come sono andate le cose e perché non ho un certificato
medico. Gli dico che ho insegnato per trent’anni educando gli alunni
all’onestà. Mi crede sulla parola e mi dà un indennizzo di quattrocentomila
lire.
Non me l’aspettavo proprio e, siccome pensavo di
fare un’adozione a distanza, ora che ho finito di pagare i debiti per la casa,
ora, a 60 anni, per il tempo di vita che mi rimane, posso pensare a far
crescere una creatura, possibilmente fra le vittime della guerra nei Balcani,
perché sento che è significativo per un’istriana come me aiutare una persona di
stirpe slava.
R. C., Italia