11 agosto 2002 – 19ª domenica t. o.

1 Re 19,9.11-13 / Rm 9,1-5 / Mt 14,22-33

 

CORAGGIO, SONO IO, NON ABBIATE PAURA!

Mt 14,27

 

L’evangelista non fa della pura cronaca, ma narra l’episodio in modo tale che abbia un significato per la vita delle prime comunità cristiane. La barca tormentata dalle acque è il simbolo della Chiesa. E l’insieme del racconto significa la situazione della comunità cristiana abbandonata a se stessa nella tempesta e nella notte della prova quando Gesù, asceso al cielo, non è stato più visibile ed è apparso lontano. Per quelle ore oscure vissute dai primi cristiani, oltre che ai discepoli impauriti dalle onde, Gesù dice: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”.

Ma non è solo la comunità cristiana che può passare momenti bui. Anche tu, come ogni cristiano, puoi aver sperimentato un po’ la notte della fede. Gesù che cammina sulle acque si presenta come il Sovrano del creato, come il Signore della vita e della morte. Ma questa verità in certi momenti può apparire frutto di immaginazione, un fantasma, come dicevano gli apostoli.

Gesù vuole che la Chiesa intera e ciascun cristiano o cristiana nel momento della prova prendano coraggio e non soccombano, che si fidino completamente di Lui, nonostante le apparenze. Vuole soprattutto che essi vivano in maniera tale che Egli sia sempre presente in mezzo a loro. E ha indicato come fare questo quando ha detto: “Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Mentre, infatti, Egli è presente, il pericolo si allontana. Appena Gesù e Pietro “furono saliti sulla barca, il vento cessò” (Mt 14,32).

Lanciamoci allora a vivere questa esistenza che abbiamo, tutti protesi nel fare ogni cosa affinché Egli non manchi. Essere uniti nel suo nome vuol dire essere uniti in Lui, nella realtà che porta, nella sua volontà, che è soprattutto una: “Che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).