Nilde Bolzonella, Mestre

11 aprile 2004 - PASQUA DI RISURREZIONE

At 10,34.37-43 / Col 3,1-4 (1Cor 5,6-8) / Gv 20,1-9

 

Vide e credette

(Gv 20,8)

 

Pasqua! È l’esplosione della vita dopo la morte, della gioia dopo i giorni terribili della sofferenza. Tutto, in Gesù Risorto, acquista una nuova luce. Dopo il primo annuncio portato da Maria di Magdala agli apostoli, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro per verificare di persona quanto era stato detto loro.

Il sepolcro vuoto, le bende e il sudario che avevano avvolto il corpo di Gesù fanno percepire a Pietro l’assenza dell’amato Maestro che pochi giorni prima proprio lui aveva rinnegato e dal quale si era sentito perdonato. Ma lo stesso sepolcro vuoto, le bende, il sudario, fanno sì che Giovanni, l’apostolo prediletto, sappia riconoscere subito che Gesù è risorto.

In ogni Eucaristia riviviamo la Pasqua del Signore. Con la stessa fede semplice e genuina di Giovanni siamo chiamati a riconoscere in quel pane spezzato e in quel vino versato Gesù che continua a fare a ciascuno di noi il dono della sua vita, perché anche la nostra vita risplenda del suo stesso amore per il Padre e per ogni fratello. Tutto ora acquista significato e valore. In Gesù Risorto abbiamo la certezza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola. Nel suo progetto di amore Dio ci assicura che anche noi siamo chiamati a condividere con Cristo la stessa risurrezione e la stessa gloria.

 

Quando ero ragazza, l’ultima scelta che avrei fatto nella vita era quella del matrimonio. Vedevo troppi fallimenti nelle famiglie intorno a me, compresa la mia d’origine, e non volevo ripetere una simile esperienza.

Poi ho conosciuto G., che mi parlò di Dio Padre e del Suo amore e seppe farmi uscire dal pessimismo e dalla depressione, e fu per me un esempio vivente di come si ama. Abbiamo iniziato così il nostro cammino a due, che G. definiva una “cordata”, e che volevamo fosse sempre illuminato dalla fede e da quella presenza di Gesù da Lui promessa a quelli che sono uniti nel suo nome.

Mio figlio era ancora piccolo quando una lunga malattia mi costrinse a uscire da un ospedale per entrare in un altro, tra dubbi e nuove speranze. Quando finalmente i medici decisero che potevo tornare a casa, mi resi conto che non ero in grado di accudire a marito e figlio, e questa situazione mi gettò in uno stato di profondo sconforto, tanto da non riuscire a comunicare a nessuno il mio stato d’animo, neanche a mio marito, con cui avevamo sempre condiviso tutto.

Un giorno che ero più ammutolita che mai, si sedette ai piedi del letto e, fissandomi intensamente, mi disse che, se volevo continuare a credere con lui all’amore di Dio, dovevamo lasciarci portare da Lui, e che l’importante era fare la Sua volontà, anche se tutto ci sembrava assurdo, e concluse: “Vogliamo o no essere suoi?”.

Con quella domanda mi sembrò che dal nostro nuovo “sì” dipendesse il futuro della nostra famiglia. Capii profondamente che quella situazione così deprimente che vivevo, dovevo prenderla dalle Sue mani, e questo mi diede una grande pace, che mi aiutò a sdrammatizzare e ad accettare a poco a poco i miei limiti, ricominciando sempre, prima di tutto fidandomi del medico.

Una volta “uscita dal tunnel” non mancarono altre prove, come momenti di incomprensione, o preoccupazioni per i figli o per la salute dell’uno o dell’altro. Però quella “chiave di volta” del credere all’Amore di Dio in ogni circostanza e di aderire alla Sua volontà - anche se talvolta faticosamente - ci ha accompagnato e salvato sempre.

A.     T., Padova (da “Noi genitori e figli”)