10 marzo 2002 – 4ª QUARESIMA

1 Sam 16,1.4.6-7.10-13 / Ef 5,8-14 / Gv 9,1-41

 

CHI SEGUE ME AVRÀ LA LUCE DELLA VITA

Gv 8,12

Il cieco nato rappresenta lo stato di cecità in cui tutti ci troviamo. Gesù, con la luce che ci porta dall’Alto, interviene per aprirci gli occhi e farci vedere con la luce di Dio.

L’unica cecità dalla quale neppure Dio ci può guarire è l’ostinazione di chi pretende di vedere e si chiude così alla sempre nuova azione divina. “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,5).

Nel cieco nato l’evangelista descrive l’itinerario di fede del cristiano che riceve una grande luce nuova, ma che incontra anche asperità e lotte. Il cieco si trova tutti contro, persino i genitori che hanno paura di compromettersi davanti ai Giudei.

La divergenza e la lotta non riguardano tanto il fatto del miracolo ma la persona di Gesù; non si tratta di credere nella guarigione o no, ma di essere per Cristo o contro di Lui. Occorre prendere posizione: seguire Gesù luce del mondo o chiudersi nell’autosufficienza arrogante.

Il cieco non apre solo gli occhi del corpo, ma si apre alla fede:  vede Gesù, gli uomini, le cose, gli avvenimenti con gli “occhi” stessi di Dio. E la fede è una luce ed una forza divina che vince tutte le ostilità del mondo.

La confessione di fede del cieco guarito “Io credo, Signore” ha come conseguenza seguire Gesù: vivere, lavorare, godere, soffrire, amare, perdonare, donarsi, come Lui. Fare del Vangelo la lampada che illumina il cammino della vita.

D. P. e L. C.

Tra le mie colleghe, studenti come me di giornalismo, è di uso portare dei vestiti, secondo me, eccessivamente corti e attillati come segno di modernità. E anche per un altro motivo: la comunicazione, nostra professione, esige un dialogo permanente con la società e anche il vestito, si pensa, deve rifletterla. La mia vita cristiana mi porta a scelte diverse, per cui voglio che il vestito rifletta soprattutto la presenza di Gesù in me. Quindi, essere sì moderna, ma senza mettere il corpo sotto gli sguardi di tutti. Spesso i colleghi hanno scherzato su di me; ma io sentivo di essere ferma e di mantenermi nella pace con Gesù.

Un giorno ho parlato con un collega proprio sulla moda. Lui non vedeva sconveniente il modo di vestirsi delle colleghe, purché il corpo fosse bello. Gli ho detto che per me il corpo è sacro e va rispettato. E ho aggiunto che preferivo passare inosservata piuttosto che allinearmi a una moda del genere. Con mia sorpresa, mi ha risposto: “Tutt’altro che inosservata. Il tuo modo di vestire suscita interrogativi e tutti noi vogliamo conoscere il perché di questa tua scelta”. È stata una conferma che Gesù in me è il migliore comunicatore. Ultimamente lo stesso collega mi ha ringraziato: sono stata la prima persona a parlargli così di Dio. Ora desidera ritornare in chiesa, dove da anni non mette più piede.

Martine, Abidjan