9 ottobre 2005  - 28a domenica t. ord.

Is 25,6-10a / Fil 4,12-14.19-20 / Mt 22,1-14

 

Tutto è pronto: venite alle nozze!

(Mt 22,4)

 

Gesù, attraverso l’immagine di un solenne banchetto nuziale a cui i primi invitati non partecipano, ci rivela che tutti siamo degli invitati. Dio ci ha invitati innanzitutto al banchetto della vita e, donandoci la fede, ci ha invitati anche a vivere in comunione profonda e gioiosa con Lui e con tutti gli altri commensali. Ma tutti i primi invitati hanno detto di no, preferendo curare i loro interessi materiali e chiudersi in un ambito ristretto di relazioni.

Molti ritengono più urgente occuparsi di ciò che si può produrre, possedere, consumare e godere immediatamente, rinunciando così al banchetto della gratuità, della fraternità e della condivisione dei doni di Dio. Forse è meglio identificarci con i secondi invitati che hanno accettato l’invito: poveri, storpi, ciechi e zoppi.

Un po’ di umiltà, la coscienza dei nostri limiti, la gratitudine per aver ricevuto un così prezioso invito, sono le migliori disposizioni per partecipare alla festa della vita che Dio ci ha preparato.

 

L’anno scorso ho svolto il servizio civile in una comunità per portatori di handicap mentale e fisico.

Con un ragazzo è stato particolarmente difficile. Ex detenuto agli arresti domiciliari, a volte dovevo vegliarlo la notte. Parlava solo di sesso, droga e situazioni o fatti estremi; inoltre aveva un caratterino tutto particolare, reso più aspro dalla malattia: paraplegico e bisognoso di assistenze continue. Quando entravamo in camera per vestirlo, bestemmiava ad alta voce e faceva sempre delle battute pesanti. Con me era iniziata una vera «competizione», per il fatto che io credevo in Dio. Una mattina, rispondendo ad una sua provocazione, gli ho detto che credevo in certi valori come la purezza ed il rispetto per il prossimo. Ma talvolta era proprio un dramma: volevo scappare dai suoi occhi e dalle sue provocazioni, faticavo in questa situazione a vedere il disegno di Dio.

In quella grande incomprensione e paura, mi sono ricordato di Gesù in croce. Sono riuscito a vedere un Suo volto in questo ragazzo ed ho avuto la forza di continuare in questa avventura d’amore giorno e notte per altri quattro mesi, cercando di rinnegare me stesso fino in fondo. Ha incominciato a fidarsi di me, raccontandomi della sua vita, e non voleva più che me ne andassi. Non riuscivo a credere a questa trasformazione che Dio aveva operato. Constatavo che questo Amore è proprio diffusivo, contagia gli altri, me compreso. Potevo utilizzare il suo pulmino e, quando comprava da mangiare, pensava sempre a dividere tutto con me.

Camillo, Roma