8 aprile 2007 - PASQUA DI RISURREZIONE

At 10,34.37-43 / Col 3,1-4 (1Cor 5,6b-8 / Gv 20,1-9

 

Dio lo ha risuscitato al terzo giorno (At 10,40)

 

La Liturgia, per quaranta giorni, ci ha fatto vivere l’incarnazione sempre più profonda di Gesù nel dramma dell’uomo: egli si è identificato con il dolore dell’umanità, con il peccato, con la morte, con l’odio diabolico del fratello verso il fratello fino a diventare un grido, lacerante e quasi sacrilego: Dio mio, dove sei? Perché mi hai abbandonato?

Nell’inferno Gesù lancia quel grido, nel buio dell’assenza totale di amore. Con noi e per noi ha perso Dio, per amore ha perso se stesso, l’AMORE. Da questa morte Dio lo richiama alla vita, ridà il suo Spirito d’amore, a Lui e a tutta l’umanità che è diventata il suo corpo.

Se siamo riusciti a riconoscerlo nell’uomo dei dolori, nello strazio della disperazione dell’umanità, se l’abbiamo accolto e abbracciato come l’unico vero Dio innalzato sulla croce per amore, ecco che ci sentiamo vivi, come rinati a vita nuova, risorti, capaci di amare fino a dare la nostra vita per i nostri fratelli.

 

Qualche anno fa mi sono accorta che l’ultimo dei miei sette figli stava cambiando abitudini e anche modo di vestire. Inoltre evitava il dialogo, si isolava, mancava spesso da scuola e arrivava a casa tardi. Tutto ciò mi ha fatto temere che ci fosse qualche problema. Quando ne ho avuto l’occasione gli ho domandato cosa stesse succedendo e lui mi ha confessato che era entrato nel mondo della droga. Quella notte non ho chiuso occhio e la mattina ho raccontato tutto a mio marito. Non sapevamo che cosa fare e come poterlo aiutare concretamente.

A volte portava a casa il gruppo di amici e mio marito ne soffriva. Una sera si è rifugiato in camera per non dire qualcosa che avrebbe rotto il rapporto. Allora sono andata da lui e gli ho ricordato che in tutti c’era Gesù Abbandonato che attendeva il nostro amore. Dopo un po’ mio marito è uscito e ha offerto loro dei biscotti da prendere insieme al caffè che stavo servendo. In questo modo abbiamo cominciato ad amare quei ragazzi uno per uno. Non pregavo mai per nostro figlio soltanto, ma per ognuno di quei giovani che avevamo conosciuto.

A volte non c’era la possibilità di dialogare con nostro figlio, allora gli scrivevamo un biglietto che mettevamo sotto il cuscino. Un giorno, quasi travolti dal dolore amato, gli abbiamo scritto: “Joao, non sentirti mai solo! Ricordati che Dio ti ama ed è sempre insieme a te. Buona notte! Tanti baci dai tuoi genitori”.

Per due anni abbiamo accantonato l’idea delle vacanze per non lasciare solo questo figlio. Poi abbiamo capito di dover continuare la nostra vita con la certezza che Dio è Padre. Durante la giornata pregavo molto. Un giorno, durante la Comunione, ho sentito il desiderio fortissimo di consacrarmi a Gesù e gli ho consegnato mio figlio. Quando sono tornata a casa, una bellissima sorpresa: il ragazzo era venuto a trovarci e aveva deciso di rimanere con noi. È stato l’inizio di una nuova vita, non soltanto per lui e per la nostra famiglia, ma anche per i suoi amici che, uno dopo l’altro, hanno lasciato la droga.

Dopo questa esperienza, che ci ha fatto maturare come genitori, mi sono sentita spinta ad aiutare non soltanto i giovani drogati, ma anche le loro famiglie. Insieme a mio marito e ad altre coppie abbiamo fondato nella nostra città il gruppo delle Famiglie Anonime. Questi gruppi si propongono di aiutare le famiglie dei tossicodipendenti a convivere con i figli. Si tratta di insegnare ad altri genitori come amare.

Non ho nessuna formazione particolare, la mia formazione viene dalla vita del Vangelo e dalla forza dell’unità e così anche gli altri che operano con me. Vediamo però che, in un anno di attività, già tanti giovani sono stati recuperati dall’amore.

J.L., Italia