6 novembre 2005  - 32a domenica t. ord.

Sap 6,12-16 / 1 Ys 4,13-18 / mt 25,1-13

 

Ecco lo sposo, andategli incontro!

(Mt 25,6)

 

La parabola delle 10 ragazze fa parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi ed è un invito alla vigilanza come stile di vita. La parabola si ambienta in una festa di nozze. Le trattative per un accordo fra le due famiglie degli sposi vanno per le lunghe, secondo il lento ritmo orientale. Far attendere vuol dire dare importanza alla dote e alla persona della sposa. L’errore delle compagne che attendono con la lampada accesa sta nel non aver previsto questo possibile ritardo. Per loro le trattative si sarebbero concluse in fretta visto la modestia della compagna. Alcune si trovano così senza olio e senza «significati» per saper attendere.

Vivere è andare incontro ad un personaggio importante: il Signore Gesù, il vero sposo. C’è il rischio di dare troppa importanza ad altre cose (e animali!) e persone, comprese quelle care, spesso così «soffocate» più che «liberate» da un amore che deve invece creare spazi e aperture.

 

Sono ritornata a casa per pochi giorni a trovare la mia famiglia, la mia gente, il mio paese. È il Pakistan il mio paese: sono della regione del Punjab. In famiglia, siamo cinque sorelle e due fratelli. Io sono la più grande e si può immaginare quale colpo sia stato per i miei quando, sei anni fa, a diciannove anni, sono partita da casa per seguire Dio. Prima tappa furono le Filippine; vi rimasi un anno, e ora, da cinque anni, sono in Italia.

Era la prima volta che tornavo fra i miei dopo sei anni. «Qui c’è ben più bisogno che in Italia - mi dicevano -; perché mai si deve andare tanto lontano per seguire Dio?».  Ma Gesù - riflettevo fra me - quanti lo avevano capito quando era in terra?

I pochi giorni da trascorrere insieme sono volati: dovevamo di nuovo separarci. Mi strappava il cuore soprattutto lasciare fratelli e sorelle, tutti tra i tredici e i vent’anni: un’età nella quale forse avrebbero avuto più bisogno di me, perché si trovavano nel momento di decidere per la loro vita. Forse nessuno a casa mia - mi veniva da pensare - è in grado di aiutarli come potrei fare io. Ma ecco, sì: Dio può guidarli, certo, come nessun altro. 

È ragionando con la logica del Vangelo che anche qui potrà vincere Gesù. Da sola, e fuori della volontà di Dio, che cosa avrei potuto fare? Meglio aspettare il momento di Dio, quando, insieme ad altri, forse potrò ritornare, e sarà Gesù, Lui in mezzo a noi, a portare la rivoluzione d’amore anche lì, fra la mia gente. E poi chi, se non Dio, che ha creato i suoi figli, sa di che cosa hanno bisogno momento per momento?

E già un primo risultato della mia fermezza l’ho veduto: ho lasciato la mia famiglia quasi contagiata di questa serena fiducia nell’amore di Dio.

S. J., Pakistan