6 aprile 2003
– 5ª di quaresima
Ger 31,31-34 / Eb 5,7-9 / Gv 12,20-33
Se il seme
muore, produce molto frutto
(Gv 12,24)
L’ora tanto attesa da Gesù
sta per arrivare: il tempo della sua morte. “Se il seme muore, produce molto
frutto”, dice nel vangelo di oggi.
Questa immagine esprime
molto bene i dolori della passione imminente di Gesù. Egli vede i frutti che sarebbero
scaturiti dal suo annientamento: la sua risurrezione e i doni di grazia che
Egli ci avrebbe ottenuto. Nella passione e morte di Gesù troviamo un esempio
per noi.
Gesù ci ha preceduti nella via del dolore, per indicarci come vivere
ogni nostra prova e per tracciare a noi la strada per diventare suoi discepoli.
È infatti morendo a noi
stessi, come il chicco di grano, che anche noi porteremo molto frutto, certi
che le difficoltà e le sofferenze non sono mai fine a se stesse, perché dietro
di esse c’è sempre un disegno d’amore del Padre.
Accettiamo bene quindi, assieme a Gesù, le prove della vita e vedremo
scaturire da esse frutti incalcolabili per noi e per i nostri fratelli.
Fin da quando avevo sei anni, soffro di una malattia all’orecchio che
si chiama “colesteatoma” di cui sono stato operato per ben tre volte. Ho sempre
cercato di offrire a Gesù la mia malattia, le dolorose medicazioni, le lunghe
ore d’attesa all’ospedale… Quando ci riuscivo tutto acquistava un senso nuovo.
Quest’estate, durante un controllo, mi è stato annunciato un nuovo
intervento per non rischiare la salute. Non è stato facile abbandonarmi, ancora
una volta, alla Sua volontà, ma cercavo di vivere bene l’attimo presente.
Ho messo in comune con alcuni amici tutto quello che stavo passando e
l’ansia è sparita; tutti m’assicuravano la loro unità: ho sentito forte la
presenza di Gesù in mezzo a noi.
Gli ultimi esami, però, denotano un valore altissimo nel sangue e il
dottore mi dice che non posso sostenere l’operazione: c’è rischio d’emorragia.
Si rinvia tutto di una settimana. Mi sentivo come un burattino nelle mani di Dio che, anziché darmi un sostegno,
continuava a chiedermi qualcosa in più. Ho avuto momenti di vero sconforto e lo
sentivo lontano...
La sera, ormai a casa, ho capito una cosa importante, che mi ha rimesso
in unità con Dio: mi ero “appoggiato” al sostegno di persone che mi volevano
bene, ma non avevo offerto totalmente il mio dolore a Dio, abbandonandomi solo
a Lui. Tutto si era fermato ad un mio tornaconto personale, e Dio me lo faceva
capire. Avevo scaricato tutto il mio dolore sugli altri; dovevo invece essere
io il primo ad accettare fino in fondo il dolore, per poi condividerlo con
tutti. E ho scoperto l’importanza del rapporto personale e profondo con Dio, che
passa attraverso il fratello.
Ricordo una grande gioia. Non m’importava più niente dell’operazione,
perché in quel momento sentivo che ormai era stata presa da Lui e dalla
Madonna. La settimana seguente mi sottoposi all’intervento e tutto andò in modo
meraviglioso. Il decorso post-operatorio fu ottimo, tanto che perfino i medici
restarono stupiti.
Ho sperimentato che la cosa giusta da fare nella quotidianità e nei
momenti difficili è stare al gioco di Dio, sicuri che Lui non ci chiede mai
prove più grandi delle nostre forze.
Giancarlo, Trento