3/11/2002 - 31a domenica t.o.
Il più grande
tra voi sia vostro servo (Mt 23,11)
La parola di Dio di questa
domenica mette in contrapposizione due comunità. Una è quella degli scribi e
dei farisei, orgogliosi e tradizionalisti che, dietro a un vuoto ritualismo
religioso esteriore, mascherano la ricerca dei propri interessi e del
prestigio, accontentandosi di atteggiamenti religiosi privi di spiritualità e
di fede.
Gesù con il suo
insegnamento, come già il profeta Malachia nell’Antico Testamento, scuote questi praticanti troppo convinti di
salvarsi con un po’ di osservanza religiosa
e costituisce la nuova comunità che riconosce Dio come Padre di tutti e
di conseguenza tutti come fratelli. Egli è l’unico maestro che ci ha preceduti
con l’esempio: sono venuto non per essere
servito, ma per servire e dare la mia vita, perché il più grande tra voi sia
vostro servo.
Prima di morire ha lavato i
piedi agli apostoli con un gesto riservato agli schiavi, Lui il Maestro e
Signore, evidenziandolo con le parole: vi
ho dato l’esempio, perché anche voi facciate ciò che ho fatto a voi. È il
modo per imitare Gesù e per realizzare la nostra vita.
Quante occasioni in una
giornata per attuare la parola del servizio come frutto dell’amore verso tutti senza preferenze di
persone, compiuto in modo gratuito, prevenendo gli altri, amorevoli come una madre che nutre e ha cura delle sue creature
come dice oggi san Paolo.
È un’esperienza da fare e
non tanto da capire: infatti quanto più amiamo anche nelle piccole attenzioni
verso gli altri, tanto più proveremo la bellezza della verità del vangelo. Sta
lì la nostra vera grandezza.
Giovanni R.
Sono un agente della Polizia di Stato e sono soggetto a svariati
servizi.
Una sera mi telefona a casa il collega addetto all’apposito Ufficio
della Questura e mi dice che il giorno dopo avrei dovuto piantonare un detenuto
ricoverato in Ospedale perché affetto da AIDS nella fase terminale.
Ricordo bene che il mio umore cambiò improvvisamente: da sereno che era
divenne molto cupo. Così la mia prima reazione fu quella di dire: “No, non
vado!”.
Ma non mi ero accorto che mia figlia maggiore, Ester (10 anni), aveva
seguito la conversazione e, avendone compreso l’argomento, con mia grande
sorpresa mi rivolse questa domanda: “Papà, che ci vai a fare alle riunioni
della tua comunità se poi non metti in pratica ciò che il Vangelo ti insegna?”.
Io cercai di giustificarmi dicendo che la mia reazione era dettata
dall’amore che avevo per la famiglia, ma lei mi disse ancora: “Non ti
preoccupare per noi. Vai da quel detenuto!” e mi infilò, a mia insaputa, il
Vangelo nella tasca del giubbotto della divisa…
Più tardi, entrato nella cameretta dove era ricoverato il detenuto,
ebbi un tonfo al cuore: davanti a me c’era un uomo di circa trent’anni, molto
magro, con la barba non rasa. Mi fece un cenno di saluto ed io risposi
imbarazzato… Poi presi coraggio, facemmo conoscenza e seppi che il suo nome era
M… Parlammo per un po’, poi non seppi più cosa dirgli, ma mi ricordai del
Vangelino e allora gli chiesi se potevo leggergliene qualche passo: mi rispose
di sì.
Sinceramente non ricordo che cosa gli lessi, ricordo però che, per aver
compiuto quel gesto, mi meravigliai più io di me stesso che M. di me.
Nei giorni che seguirono più di una volta, entrando nella sua
cameretta, ho trovato M. intento a leggere il Vangelo, ed ogni volta, non lo nascondo,
ho provato tanta gioia nel cuore: per essere riuscito a sconfiggere la mia
paura e a riscoprire, con l’aiuto della Parola di Dio e attraverso la povertà
di un fratello, la mia dimensione umana.
da “Cursillos di cristianità”