ottobre 2004
PARROCCHIA IN MISSIONE
Qualche volta mi diverto a
chiedere ai ragazzi più grandi della catechesi qual è l’immagine che si sono
fatti della parrocchia, dopo tanti anni di catechismo… Ne escono impressioni
tanto simpatiche quanto realistiche. Ne ricordo solo una come esempio: “La parrocchia è come uno stadio: pochi si
allenano e giocano, la maggior parte fa il tifo e guarda da lontano”.
Spesso piace anche a me
giocare con le immagini e allora penso, più che allo stadio, alla parrocchia
come ad un cantiere sempre aperto e
sempre in movimento, dove non si è mai finito di lavorare perché c’è già subito
qualcosa a cui rimettere le mani per rinnovarlo ed essere al passo coi tempi.
Già il nome stesso di “parrocchia”
dice questa perenne mobilità: in greco significa letteralmente la “quasi-casa”,
la dimora provvisoria, di passaggio, qualcosa quindi che continuamente cambia e
si adatta ai tempi.
Credo sia questa la spinta
interiore che ha portato i Vescovi italiani a scrivere un documento intitolato “Il volto missionario delle parrocchie in un
mondo che cambia”: far sì che le parrocchie assomiglino sempre meno agli
antichi castelli medievali, perfettamente autosufficienti e pronti a chiudersi
agli attacchi esterni, e sempre più siano cantieri per la formazione di cristiani maturi.
Già nel II secolo
Tertulliano diceva che “cristiani non si
nasce, ma si diventa”: a maggior ragione questo vale oggi, davanti alle
nuove sfide proposte dall’incontro con culture diverse. I cristiani non sono
“clienti” della parrocchia, sono la parrocchia, la chiesa che vive tra la gente
per dare un volto, un cuore, delle mani a Cristo. E proprio in questo essere volto, mani e cuore di Gesù sta
la “missione” più vera, la capacità di essere Gesù per l’uomo d’oggi parlando
con i fatti più che con le parole. E così continua con gioia l’attività del
“cantiere”…
Umberto S.