6
giugno 2004 - SS. TRINITÀ
Pro
8,22-31 / Rm 5,1-5 / Gv 16,12-15
Lo Spirito vi guiderà alla
verità tutta intera
(Gv 16,13)
Molte volte gli apostoli,
mentre erano con Gesù, avevano constatato la diversità del loro modo di pensare
da quello di Gesù. Per loro, soprattutto, la morte in croce del Maestro,
sembrava il più grande fallimento. C’è un modo di pensare e di agire umano che
spesso contrasta con quello di Dio; per questo Gesù promette agli apostoli: “Lo Spirito vi guiderà alla verità tutta
intera”.
Lo Spirito Santo sarà il dono più grande del Risorto. Quello
stesso Spirito che operava in Gesù e lo faceva essere una cosa sola col Padre,
che ha continuato a guidare la Chiesa attraverso tante prove e persecuzioni
subite dai cristiani.
Ancora oggi, animato dallo
stesso Spirito, il Papa ha il coraggio di proclamare con coerenza la verità
riguardo la difesa della vita, il rispetto e la dignità di ogni uomo, la
pace... Lo stesso Spirito Santo è stato donato
a tutti noi. Impariamo ad ascoltare
la sua voce che ci spinge ad andare
contro corrente ed essere coerenti al Vangelo a costo anche di derisioni o
incomprensioni. Quando oggi si vede una famiglia o una comunità che prega, che
lavora, che perdona, che rimane unita, che soccorre il prossimo, che accoglie
chi è in difficoltà, che condivide le gioie e i dolori… noi incontriamo lo
Spirito Santo all’opera.
Facoltà di Agricoltura, laboratorio di analisi: questo il mio posto di
lavoro. Dal professore di Chimica, mio responsabile, mi venivano chieste delle
analisi che avrebbero dovuto fare o lui o i suoi studenti. E succedeva che i
risultati venissero poi attribuiti o a lui o agli allievi. Questo stato di cose
non mi rendeva contenta.
Ad un certo punto, però, mi si è fatto chiaro che anch’io, col mio
silenzio, ero complice del loro modo disonesto di procedere. Ho sentito forte
che dovevo andare controcorrente, anche mettendo a rischio il mio posto di
lavoro. Ho chiesto un appuntamento al professore. Gli ho spiegato che il mio
lavoro non mi dà gioia, che lo trovo disonesto, che la mia coscienza non mi
lascia tranquilla. Per lui è stata una grossa sorpresa. Tutti hanno paura di
lui perché è molto autoritario; anch’io avevo un certo tremore mentre gli
parlavo, ma Gesù, dentro di me, mi dava la forza di continuare a dire per amore
quanto dovevo.
Da quel giorno non mi ha chiesto più niente; mi ignorava. E ciò mi
incoraggiava ad amarlo ancora di più rendendomi disponibile nel lavoro,
salutandolo... Un giorno entra nel laboratorio, mi saluta e mi chiede di
rendergli un servizio. intanto che lo svolgo nota sul mio tavolo il foglietto
della “Parola di vita” (una frase del Vangelo con una commento per
approfondirla e aiutare a viverla) e lo invito a prenderlo. All’indomani mi
cerca: quel foglietto l’aveva molto interessato. Da allora lo riceve sempre e
l’intesa tra noi è ottima. Così riscopro ogni giorno che abbiamo in mano l’arma
più efficace che ci sia: l’amore.
Christine
13
giugno 2004 - CORPUS DOMINI
Gn 14,18-20 / 1Cor 11,23-26 / Lc 9,11b-17
Fate questo in memoria di me
(1Cor 11,24)
Gesù aveva assicurato di rimanere con i suoi fino alla fine del
mondo. Nell’Ultima Cena porta a compimento questa sua promessa. In quel pane
spezzato e in quel vino versato anticipa la
sua immolazione. Con il comando: “Fate
questo in memoria di me” dà agli Apostoli lo straordinario potere di
perpetuare lungo i secoli quel dono meraviglioso che aveva compiuto nell’Ultima
Cena.
In ogni Santa Messa,
celebrata in tutti gli angoli della terra, sia nelle cattedrali più sontuose,
come nelle umili capanne, è Lui, il Signore, che continua a rendere attuale il
mistero della sua Pasqua. È Lui che
incontriamo in ogni Eucaristia. Gesù continua ad accoglierci per farci
sperimentare la tenerezza del suo amore; nutrendoci col suo corpo e il suo
sangue ci fa diventare una sola cosa con
Lui e tra di noi.
Nutriti di questo cibo
celeste, siamo chiamati anche noi a diventare “pane spezzato”, offrendo la nostra vita ai fratelli, pronti a riconoscerlo in ogni persona che ci
passa accanto, soprattutto in chi ha bisogno del nostro aiuto. In ogni ambiente
poi siamo chiamati a portare la sua presenza e tutto diventa occasione per
continuare a vivere con Lui la nostra offerta al Padre e ai fratelli. È Lui che
continuerà a rinsaldare la nostra unità,
fino a quando avremo la gioia di possederlo in pienezza nella sua Casa in
Paradiso.
Frequento l’ultimo corso delle scuole superiori che si concluderà con
l’esame di maturità.
All’inizio dell’anno è arrivata nella nostra classe una ragazza del
sud, con un livello di preparazione molto basso, musulmana. Era sempre sola,
giacché non conosceva nessuno. Sono andata a trovarla a casa sua e ho
cominciato a studiare con lei. Ciò non è comune: c’è molta rivalità fra gli studenti,
perché si ha paura che l’altro diventi più bravo di te. Per contestare questo
comportamento ho avuto serie difficoltà con le mie amiche.
Intanto con la ragazza musulmana si è stabilito un bellissimo rapporto.
Ero felice: sentivo che l’amore di Dio traspariva attraverso di me e arrivava a
lei e ad altri. Anche un’altra compagna ripetente è rimasta colpita ed ho
potuto farle conoscere ciò che anima la mia vita.
Qualcosa di simile è successo con un’altra, arrivata verso la fine dell’anno e che non riusciva ad avvicinare le mie compagne. Si è rivolta a me chiedendomi se ero cristiana. Alla mia risposta affermativa ha aggiunto: “Per questo sei diversa dalle altre: voglio diventare come te”. È rimasta affascinata dall’ideale cristiano; vuole partecipare sempre ai nostri incontri perché, ha detto, lì ha trovato Gesù in ogni persona e in mezzo a noi.
Sally N.,
Baghdad
20
giugno 2004 - 12a domenica t. ord.
Zc 12,10-11 / Gal 3,26-29 / Lc 9,18-24
Chi perderà la vita per me,
la salverà
(Lc 9,24)
“Se qualcuno vuol venire dietro a me…” Gesù lascia ad ognuno di
noi la libertà e la gioia di essere suoi
discepoli, suoi veri amici. Questa scelta però comporta il saper ogni
giorno prendere la propria croce e seguirlo. Come gli apostoli anche noi
facciamo fatica a scoprire nella croce
quotidiana quel modo particolare che il Signore ha scelto per vivere in
pienezza. Un tempo era di voga una canzone che tra l’altro diceva: “la vita è bella e me la voglio goder…”.
È questa la mentalità corrente che si scontra col progetto di Dio. Gesù ci fa
comprendere che la vita sarà bella e vissuta in pienezza solo se la “sappiamo donar”.
Quante persone infatti, in
ogni angolo della terra, nelle famiglie, negli ospedali, tra gli emarginati…
stanno sacrificando la propria vita fino al dono supremo e diventano fonte di serenità, di bontà, di vera
gioia, dando a molti la forza di rinascere a vita nuova o a ricominciare dopo
esperienze di fallimento.
Oltre che portare una luce
nuova a questa umanità e dare pienezza
di senso al proprio vivere, chi sa spendere così la propria vita per Gesù, ha
la sicurezza che nulla andrà perduto, ma tutto ciò che è stato fatto nell’amore
e nel dono di sé durerà per sempre.
Kizito è un piccolo pastorello. Caterina e Giuseppe, i suoi genitori,
lavorano entrambi in missione. Un giorno, poco prima dell’imbrunire, mentre
stava rientrando dal pascolo con le pecore, Kizito nota qualcosa di strano
vicino ad un cespuglio. Con cautela si avvicina e scopre un altro bambino:
infreddolito, spaventato cercava un rifugio per la notte. Kizito non ha dubbi:
quel ragazzino che si è perso mentre pascolavano le sue capre, appartiene al
gruppo etnico accusato di aver ucciso i tre piccoli amici del suo villaggio. Ma
la notte africana non ha pietà con il freddo e le bestie feroci… Chiamare i
capi del villaggio? Ma avrebbero decretato la sua morte per compensare in parte
l’uccisione dei propri ragazzi. Kizito decide di informare solo la mamma e di
affidarle il suo piccolo disperso. Caterina capisce la gravità della situazione
e vuole salvare il bambino, senza compromettere la sicurezza della sua
famiglia: sarebbe stata accusata di tradimento e punita se l’avessero scoperta.
Così di nascosto, in piena notte, viene a bussare alla missione e ce lo affida,
perché attraverso la polizia locale possa essere riportato ai genitori…
Mentre lo abbraccia teneramente ci confida: “Ho cinque figli, uno suo
coetaneo. Se lo avessi lasciato morire o avessi permesso a qualcuno di fargli
del male, è come se lo avessi fatto ai miei figli”. Quel giorno Kizito e la sua
mamma avevano sconfitto la morte, l’odio, la violenza con l’amore e il perdono.
Nei cuori semplici di un bimbo e di una mamma si realizzava la missione che il
Signore ha affidato ad ogni persona: trasformare l’umanità, attraverso l’amore,
nell’unica famiglia di Dio.
da “Il ponte d’oro”
27 giugno 2004 - 13a domenica t. ord.
1Re 19,16b.19-21 / Gal 5,1.13-18 / Lc 9,51-62
Chi si volge indietro, non è
adatto per il regno di Dio
(Lc 9,62)
Gesù ha da poco preso la
decisione di iniziare il grande viaggio verso Gerusalemme, dove deve compiersi
la sua missione. Altri vogliono seguirlo, ma Gesù li avverte che camminare con
Lui è una scelta seria.
Egli vuole essere seguito
con radicalità e non fino a un certo punto, un po’ sì e un po’ no. Una volta
che ci si è messi a vivere per Dio e per
il suo Regno, non si può tornare a riprendersi ciò che si è lasciato, a
vivere come prima, a pensare agli interessi egoistici di una volta
Quando ci chiama a seguirlo,
e tutti - in modo diverso - siamo chiamati, Gesù ci apre davanti un mondo nuovo
per il quale vale la pena rompere con il
passato. A volte però ci prendono ripensamenti nostalgici o la mentalità
comune, spesso non evangelica, si insinua e fa pressione su di noi.
Questa Parola ci parla di coerenza, di perseveranza, di fedeltà.
Se abbiamo sperimentato la novità e la bellezza del Vangelo vissuto, vedremo
che nulla è più contrario ad esso quanto l’indecisione, la pigrizia spirituale,
la poca generosità, il compromesso, le mezze misure. Decidiamo di seguire Gesù e di entrare nel
meraviglioso mondo che egli ci apre. Ha promesso che “chi persevererà fino alla fine sarà salvato”.
Cosa fare allora per non
cedere alla tentazione di volgerci indietro?
Innanzitutto non dare ascolto all’egoismo, che
appartiene al nostro passato, quando non si vuole lavorare come si deve o
studiare con impegno o pregare bene o accettare con amore una situazione
pesante e dolorosa, oppure quando si vorrebbe parlare male di qualcuno, non
avere pazienza con un altro, vendicarsi. A queste tentazioni dobbiamo dire di
no anche dieci, venti volte al giorno.
Ma questo non basta. Con i
no si va poco lontano. Occorrono soprattutto i SÌ: a quello che Dio
vuole e i fratelli e le sorelle aspettano.
E assisteremo a grandi
sorprese.
Ricordo qui una mia esperienza.
Il 13 maggio 1944 un bombardamento aveva reso inabitabile la mia casa e
la sera per ripararmi ero scappata con la mia famiglia nel bosco poco distante.
Piangevo, capendo che non sarei potuta partire da Trento con i miei che tanto
amavo. Vedevo ormai nelle mie compagne il Movimento nascente: non avrei potuto
abbandonarle.
L’amore per Dio doveva, dunque, vincere anche questo? Dovevo lasciar
partire i miei da soli, io che allora ero l’unica a sostenerli economicamente?
Lo feci con la benedizione di mio padre.
Seppi poi che i miei erano partiti contenti, e ben presto trovarono una
buona sistemazione.
Cercai le mie compagne fra le case e le strade ridotte a macerie.
Erano, grazie a Dio, tutte salve. Ci venne offerto un piccolo appartamento. Il
primo focolare? Noi non lo sapevamo, ma era proprio così.
stralci da un commento di Chiara Lubich
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