maggio 2007

TRE METRI SOPRA IL CIELO

 

Da un anno e mezzo mi trovo in una zona di pianura, dove lo sguardo si può spingere lontano verso l’orizzonte; le poche abitazioni, la grande distesa dei campi fanno sì che il cielo mi stupisca ogni giorno per la sua immensità. Così mi viene spontaneo richiamare alla mente l’immagine di una mistica del nostro tempo che definisce Maria come il cielo che tutto abbraccia e contiene dentro di sé, anche il sole: per questo è la Madre di Dio. Le nuvole alte che si rincorrono, i colori caldi del tramonto che lo rendono simile alla tavolozza di un pittore e, alla notte, le stelle che lo trapuntano come un manto… tutto dà il senso dell’Infinito che ti avvolge, ti supera ma anche ti protegge. Con un sorriso penso ai miei amici adolescenti che si incantano davanti ad un amore che sembra scritto sopra le nuvole “io e te… tre metri sopra il cielo”, nostalgia di un Amore più grande e che si desidera non finisca mai.

Di Maria non sono capace che di parlare così, con immagini: come un cielo che ci avvolge, ci protegge, ci aiuta ad alzare continuamente lo sguardo per non essere ripiegati su noi stessi; come un cielo che colora la nostra vita di quella pace e di quella serenità che sono segni della presenza di Gesù; come richiamo a quell’amore immenso, infinito, “tre metri sopra il cielo”, che è Dio per noi.

Maria è come il cielo: immenso, eppure così vicino da dare la sensazione di toccarlo con un dito: “la Sede della Sapienza, donna di casa” (C. Lubich).

Umberto S.

 

6 maggio 2007  - 5a di Pasqua

At 14,21-27 / Ap 21,1-5a / Gv 13,31-33a.34-35

 

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli,

se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,35)

 

Gesù è seduto a mensa con i suoi amici. È l’ultima cena prima di partire da questo mondo, il momento più solenne per consegnare l’ultima volontà, quasi un testamento. “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Sarà questa, lungo i secoli, la caratteristica dei discepoli di Gesù che consentirà di identificarli.

L’amore reciproco è dunque l’abito dei cristiani  che, vecchi e giovani, uomini e donne, sposati o meno, ammalati o sani possono indossare per gridare dovunque e sempre, con la propria vita, Colui nel quale credono, Colui che vogliono amare.

È questa, oggi più che mai, la via per annunciare il Vangelo. Una società spesso frastornata dalle troppe parole cerca testimoni prima che maestri, vuole modelli prima che parole.

Come vivere questa Parola? Tenendo vivo tra noi l’amore reciproco e formando ovunque “cellule vive”.

 

Ha scritto Chiara Lubich: “Se in una città nei punti più disparati, s’accendesse il fuoco che Gesù ha portato sulla terra e questo fuoco resistesse per la buona volontà degli abitanti al gelo del mondo, avremmo fra non molto accesa la città d’amor di Dio. E il fuoco è Gesù stesso, carità: quell’amore che non solo lega l’anima a Dio, ma le anime fra loro…  E in ogni città queste anime possono sorgere nelle famiglie: babbo e mamma, figlio e padre, nuora e suocera; possono trovarsi nelle parrocchie, nelle associazioni, nelle società umane, nelle scuole, negli uffici, ovunque.

Non è necessario che siano già sante, perché Gesù l’avrebbe detto; basta che siano unite nel nome di Cristo e non vengano mai meno a questa unità. Naturalmente sono destinate a restare per poco tempo due o tre, perché la carità è diffusiva per se stessa e aumenta con proporzioni immani.

Ogni piccola cellula, accesa da Dio in qualsiasi punto della terra, dilagherà poi necessariamente e la Provvidenza distribuirà queste fiamme, queste anime-fiamma, dove crederà, affinché il mondo sia in più luoghi ristorato al calore dell’amore di Dio e risperi”.

 

13 maggio 2007 - 6a di Pasqua

At 15,1-2.22-29 / Ap 21,10-14.22-23 / Gv 14,23-29

 

Vi lascio la pace, vi do la mia pace (Gv 14,27)

 

Il discorso che Gesù fa nel Vangelo di questa domenica avviene nell’imminenza della sua passione e morte.

Il cuore degli apostoli è turbato, come al risveglio da un bel sogno; sono nel buio e nella tristezza della delusione.

Sono delusi, perchè si sentono come traditi da Gesù che parla di partenza e di morte. Ricordano parole udite un giorno: “verranno i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno!”.

Stanno per venire i giorni i cui Dio si nasconde, la ragione si annebbia, la tenebra gela il cuore e resteranno solo pochi appigli e una speranza lontana. Anzi un solo appiglio, una unica Parola: “Ama!”. Basta anche un piccolo atto di amore per sentirti immediatamente unito al Padre e con Lui troverai Gesù che ha promesso, Lui e il Padre, di venire ad abitare con te. Ne sentirai subito la certezza, perché, pur persistendo la prova o il dolore che ti ha colpito, ti sentirai nella pace, nella serenità, nell’attesa fiduciosa della luce che poco a poco ti invade-rà nuovamente: non temere, è Lui, il Risorto.

 

TU SEI MIO PADRE

 

Ivan è un giovane di circa vent’anni. Fin dall’infanzia ha vissuto nella propria famiglia il dramma dell’alcolismo. Ogni sera il papà tornava a casa ubriaco, insoddisfatto del proprio lavoro, di uno stipendio che non gli permetteva di mantenere la famiglia. Disperato, riversava nell’alcool la sua angoscia.

Un giorno, Ivan ci ha raccontato: “Quando ero bambino avevo terrore di mio padre. A volte, tornando da scuola, passavo davanti al bar dove lui era solito fermarsi e guardavo con la coda dell’occhio nella speranza di non vederlo lì. Ricordo ancora quanta delusione provassi  nell’accorgermi che tra quegli uomini c’era anche lui. Mi affrettavo ad andare oltre… morivo di vergogna, facevo finta di non conoscerlo.

Spesso desideravo invitare i miei compagni di scuola per fare i compiti insieme o i vicini di casa per giocare, ma non potevo permettermi questo lusso, perché non sapevo in che condizioni mio padre sarebbe ritornato a casa. Nell’adolescenza mi sono allontanato completamente da lui: nutrivo tanto rancore nei suoi confronti che non riuscivo neanche a rivolgergli la parola.

I primi passi del mio cammino cristiano sono stati profondamente segnati da un incontro in cui si è affrontato il tema della riconciliazione. Questo è stato per me l’inizio di un’ardua scalata: sentivo che dovevo perdonare mio padre, accoglierlo nella sua debolezza, ma provavo difficoltà a vincere i miei sentimenti. Ciò che mi ha aiutato è stata la scelta di guardare mio padre in modo nuovo: quando la sera arrivava a casa vinto dall’alcool e sempre più apatico e distante, ripetevo a me stesso: “Tu sei mio padre. Ti voglio bene così come sei”. Gradualmente è maturato in me il desiderio di aiutare papà a liberarsi dal suo terribile vizio. Ho iniziato, con piccoli gesti d’affetto, a manifestargli il mio amore di figlio. Così mi sono avvicinato a lui; poco a poco, ci siamo capiti, è nata tra noi la fiducia.

Adesso mio padre, dopo un periodo trascorso in una casa di recupero, è completamente guarito. Ho capito che il perdono è il punto di partenza di ogni piccola o grande conquista”.

Da “Comunità Missionaria di Villaregia”

 

 

20 maggio 2007 - ASCENSIONE del Signore

At 1,1-11 / Eb 9,24-28; 10,19-23 / Lc 24,46-53

 

Sarete rivestiti di potenza dall’alto (Lc 24,49)

 

Il Vangelo ci parla dell’Ascensione dopo quaranta giorni dal mattino di Pasqua. È questo un tempo simbolico che racchiude tutto il tempo fino ad oggi e tutti i secoli che verranno.

Nel giorno di Pasqua, la potenza scesa dall’alto che ha ridato vita al corpo di Cristo è penetrata anche nel grande corpo di tutta l’umanità. È per questo che Gesù lo troviamo in quella voce che viene dal più profondo del nostro cuore: “Sono risorto e adesso sono sempre con te!”.

I segni antichi della presenza di Dio: la montagna, le nubi, il cielo, non servono più. Dio non si fa trovare in un luogo, ma nelle persone: nei testimoni di Cristo vivo e risorto lungo la storia a partire dagli apostoli  e nei loro successori, nei martiri di ieri e di oggi, nei profeti della speranza sparsi ovunque nel nostro mondo disperato. Cristo risorto risplende nella Parola in lui totalmente incarnata, seme caduto in terra, fatto fango da cui il Padre ricrea la nuova vita di tutti noi con la potenza del suo Spirito. Spirito d’amore che ci è dato come una nuova anima e ci trasforma in un solo Uomo per l’amore reciproco che circola tra noi. Ci fa carne della sua stessa carne per il pane spezzato sull’unica mensa a cui tutti siamo invitati, preludio delle nozze eterne e definitive.  Scorrerà nelle nostre vene lo stesso sangue di Gesù versato come vino nuovo dalla croce su di noi per attrarci e trasformarci in Lui.

Nell’Ascensione Gesù non se ne va, non sparisce tra le nubi, perché ormai si è identificato con ognuno di noi.

 

POTEVO ASCOLTARE PERFETTAMENTE… CON IL CUORE

 

Sono portatrice di handicap uditivi e visivi, risultato di una malattia che mia madre ha contratto durante la gravidanza. Man mano che crescevo, mi rendevo conto che ero diversa dagli altri. Mi sentivo emarginata e soffrivo molto. Volevo partecipare, aiutare, ma le persone attorno a me spesso mi mettevano da parte, dicevano che non ero capace e che non sarei mai riuscita.

A 25 anni sono stata invitata a partecipare ad un incontro tenuto da un sacerdote per persone con difficoltà uditiva come me. Lui aveva in mano una pagina del Vangelo che cercava di spiegare con molta difficoltà perché non conosceva il linguaggio dei segni. Mi sono offerta di aiutarlo e ho illustrato le parole di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Quando l’incontro si è concluso, ho riflettuto su quelle parole: dovevo incominciare ad amare come Gesù, a perdonare come Gesù.

Ho cominciato a partecipare a degli incontri insieme ai giovani, cercando di mettere in pratica il Vangelo. La domanda che mi ero posta tante volte “Perché, mio Dio?” ha trovato finalmente risposta: “Per meglio amare Dio, sarò un Suo strumento di amore nel mondo”. Ho capito quanto fosse importante vedere e ascoltare con il cuore.

Ora sono insegnante e, da quando ho cominciato questo lavoro, ho sentito l’esigenza di impostare la mia attività in maniera nuova. Lavoravo in una scuola per persone con deficit uditivi, collaboravo per introdurre un metodo centrato sulla cultura della persona sorda, utilizzando il linguaggio dei segni con l’appoggio della lingua portoghese. Parallelamente, cercavo di adottare un altro metodo, basato sull’ “arte di amare”, che mi diceva di amare tutti, amare per prima, “farmi uno” con ciascuno, cosicché ogni allievo si sentisse una persona speciale.

R.A., Brasile

 

 

 

27 maggio 2007 - PENTECOSTE

At 2,1-11 / Rm 8,8-17 / Gv 14,15-16.23b-26

 

Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi (Rm 8,11)

 

Lo Spirito di Dio ci ha sempre amati, fin dalla eternità. Ci ha seguiti sulle strade della falsa libertà, dell’idolatria di noi stessi, come il pastore che va in cerca della pecora perduta, come il Padre che attende il figlio, con infinita pazienza, sulla soglia di casa, pronto a far festa. Ci ha cercato nei labirinti della vita dove ci siamo persi, con l’ansia con cui si cerca la moneta preziosa, come fosse l’unico suo tesoro.

Si è lasciato annientare dalla morte, è sceso agli inferi fino al più basso gradino per non perdere nessuno, fino a sentirsi abbandonato, svuotato nell’anima della sua essenza, l’amore. Per questo siamo stati richiamati alla vita nella vita di Gesù che ci ha abbracciati e tenuti stretti a Lui e riportati a respirare lo Spirito del Padre.

Pentecoste, al di là della scenografia degli Atti degli apostoli, mi piace immaginarla anche come quel giorno in cui un brivido ha attraversato il nostro cuore e ci ha fatto esplodere, come bambini per la prima volta, nel grido: “Abbà-papà”. Come risposta, il Padre ci ha colmato di doni: il suo discernimento e la sua scienza, una fortezza come quella dei martiri, la saggezza dei santi, lo stupore e la meraviglia dei buoni, l’intimità e l’incanto del bambino in braccio al suo “papà”, tutti insieme riuniti in famiglia, non più orfani, ma figli uguali al figlio unico.

Pentecoste è un ideale che comincia nel cuore, fra le mura di un piccolo cenacolo, ma fatalmente ci conduce negli spazi infiniti della Trinità.

 

LA VITA SEMPRE E COMUNQUE

 

Siamo sposati da 26 anni e abbiamo tre figli ancora studenti. Svolgo la professione di medico ospedaliero, mentre mia moglie, dopo la nascita del terzo figlio, ha lasciato il lavoro di fisioterapista per dedicarsi alla famiglia e poter affrontare insieme, secondo le proprie possibilità e capacità, i normali impegni quotidiani e, qualche volta, i momenti difficili.

Ci ha aiutato molto dialogare  e affrontare subito i problemi, convinti di trovare sempre la soluzione più adeguata, come in occasione della decisione da parte di nostro figlio e della sua compagna, di rinunciare alla vita che avevano concepito. Comprensibile il loro disagio, non giustificabile il loro comportamento e in particolare la loro decisione. La legge lo permetteva, la coscienza no!  Nessuna difficoltà di attuazione pratica, privacy garantita, all’insaputa di chiunque, tranne che delle coscienze. Dichiarazione shoccante, dirompente per il fatto e le sue possibili conseguenze.

Cosa rispondere? “Vi diamo una mano!” È ciò che abbiamo pronunciato all’unisono, dopo qualche minuto di sgomento, di silenzio, di intesa raggiunta solo con un intenso sguardo reciproco, senza troppo riflettere, tralasciando i “se” e i “ma”, certi di una cosa: la loro decisione esprimeva una evidente richiesta di aiuto per capire, per agire. I dialoghi e i silenzi successivi hanno messo in luce dinamiche diverse. La diversità di idee, di convinzioni, di posizioni esterne ed intermedie, ha consentito di percorrere insieme una strada non facile ma illuminata dal faro sicuro della meta: la Vita sempre e comunque.

Alla fine abbiamo pronunciato tutti insieme un chiaro “sì” alla vita, un “sì” liberatore, entusiastico nelle successive scelte degli impegni pratici, concreti. L’idea ha scatenato l’azione, l’entusiasmo, coinvolgendo altre persone, “alla faccia” della privacy, della vergogna, del perbenismo interessato o della vuota dignità. Amore, sincerità, dialogo e disponibilità sono armi sempre vincenti. L’audacia e il coraggio devono prevalere sempre sulla insipida timidezza.

I principi e i valori devono essere oggetto di discussione ma mai messi in discussione: la vita è il dono più bello che Dio ci ha dato.

Paolo, Verona

 

· Commenti a cura di Luigi D. R..