Gennaio 2004

IL “DISARMO”DEL CUORE

Mentre scrivo, porto negli occhi e nel cuore il profondo dolore per l’ultimo sanguinoso attentato in Iraq. È forte la tentazione dello scoraggiamento, insieme alla triste constatazione che la violenza non può che produrre altra violenza.

Ma proprio con questo stato d’animo riprendo in mano una storia, letta già altre volte, che ritrovo pubblicata in un settimanale: «Erano i tempi di guerra (la seconda guerra mondiale) e tutto crollava…». È l’inizio della storia di Chiara Lubich e del movimento dei Focolari, a Trento nel 1943: «Per le generali distruzioni della guerra, ci sentivamo invitate ad apprendere una grande lezione: “Tutto è vanità…”. Tutto passa. E ci domandavamo: ci sarà un ideale che non viene meno, che nessuna bomba può far crollare? Sì, questo ideale c’è: è Dio. In mezzo al furore della guerra, frutto dell’odio, Dio si manifestò a noi per quello che egli veramente è: amore. E decidemmo, tutte insieme, di fare di Dio il perché della nostra vita».

Metto questa storia, questa esperienza di vita, accanto ai titoli di prima pagina del giornale di questa mattina: quando tutto crolla, solo Dio rimane. Casualmente butto l’occhio su una frase, di un autore contemporaneo: “La crisi del nostro tempo si deve a tanti motivi, che si riassumono in uno: penuria d’amore” (I. Giordani).

Qui troviamo il segreto della vera pace, della costruzione di un mondo nuovo: nella capacità, da chiedere anzitutto al cuore di ciascuno di noi, di mettere amore, di porre gesti di perdono, di ascolto, di comprensione, di accoglienza anche dove sembrano regnare le macerie dell’odio e della violenza.

Pace è la prima parola che ci viene chiesto di scrivere sulla nostra agenda nuova, all’inizio di un nuovo anno. Sia allora anche la parola che ci accompagna ogni altro giorno; e, soprattutto, sia sempre meno una parola e sempre più un atteggiamento concreto di vita. Osiamo il “disarmo del cuore” perché cresca in noi la volontà e la forza di cercare la pace!

Umberto S.

 

 

6 gennaio 2004 - EPIFANIA DEL SIGNORE

Is 60,1-6 / Ef 3,2-3.5-6 / Mt 2,1-12

Abbiamo visto sorgere la sua stella

(Mt 2,2)

 

Il periodo delle festività si conclude con l’Epifania che significa manifestazione. È Gesù che viene mostrato a tutti i popoli della terra rappresentati dai magi.

Il loro camminare, imparando a vedere i segni della presenza di Dio, è emblematico per ogni uomo di buona volontà che ricerca la verità. Quella stella in quei giorni l’hanno potuta vedere tutti gli abitanti della Palestina, ma solo i magi hanno saputo cogliervi un segno di Dio, si sono lasciati guidare dalla sua luce. Quante realtà, anche naturali, ci parlano di Dio, quanti avvenimenti nella nostra esistenza sono delle stelle che si accendono nella nostra vita: un incontro, una gioia autentica, un atto di amore gratuito, una buona lettura... ma spesso la distrazione, o la pigrizia, o la nostra comodità ci impediscono di metterci in cammino.

Non dimentichiamo che la stella nella Bibbia è un glorioso segno messianico e l’Apocalisse chiama Gesù “radiosa stella del mattino” (Ap. 2,28; 22,16). L’Epifania, proprio perché è la celebrazione di una rivelazione della luce divina dovrebbe essere il giorno in cui il credente ritrova la sua stella interiore e giunge a contemplare in pienezza il suo Signore.

L’immergerci nella luce di Dio, della sua Parola, della sua presenza in mezzo a noi, diventa sorgente di luce in noi e ci costringe ad abbandonare le povere lampade dei nostri calcoli, dei piccoli progetti, del nostro io, per abbracciare quelli di Dio. Così il nostro quotidiano, grigio e ripetitivo, sarà illuminato e diventeremo coloro che portano un annuncio di speranza.

 

 

Un amico filosofo e un po’ poeta, mi ha raccontato questa storia. Un passante si fermò un giorno davanti a una cava dove lavoravano tre uomini. Egli chiese al primo: “Che cosa fai, amico?”. Quello rispose senza alzare la testa: “Mi guadagno il pane”. Chiese al secondo: “Che cosa fai amico?”. E l’operaio, accarezzando l’oggetto delle sue cure, spiegò: “Vedete? Taglio una bella pietra…”. Chiese all’ultimo: “Che fai, amico?”. E l’uomo, alzando verso di lui degli occhi pieni di gioia, esclamò: “Costruiamo una cattedrale!”.

Tutti e tre compivano lo stesso lavoro. Il primo si accontentava di ricavarne da vivere; il secondo gli aveva già dato un senso; ma solo il terzo gli conferiva la sua grandezza e dignità. Oh giovani, costruite anche voi la vostra cattedrale! Col vostro sforzo di tutti i giorni. Perché ogni lavoro è nobile quando è appeso a una stella. Il segreto della felicità e di fare tutto con amore. Un uomo, anche solo, se dà ogni giorno il suo colpo di piccone nella stessa direzione, senza lasciarsi distrarre o distogliere, se ogni giorno insiste nel suo sforzo con gli occhi fissi ad un’unica stella, finisce sempre con l’aprire una strada.

Dal messaggio ai giovani di Raoul Follereau, 1973

 

La stella non si è ingannata

quando ha chiamato chi era più lontano,

perché s’incamminasse verso il Dio a lui vicino.

La stella non si è ingannata

indicando la via del deserto,

la più umile, la più dura.

La stella non si è ingannata

fermandosi sopra la casa di gente umile:

è nato là il grande futuro.

Il tuo cuore non si è ingannato

mettendosi in cammino

in cerca dell’ignoto.

Il tuo cuore non si è ingannato

non cedendo

alla vana impazienza.

Il tuo cuore non si è ingannato

nell’inginocchiarsi

dinanzi al Bambino.

 

Klaus Hemmerle

 

11 gennaio 2004 - BATTESIMO DEL SIGNORE

Is 40,1-5.9-11 / Tt 2,11-14; 3,4-7 / Lc 3,15-16.21-22

Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco

(Lc 3,16)

Nel battesimo di Gesù tutta la Trinità è protagonista, dallo Spirito che appare sotto forma di colomba, al Padre che fa sentire la sua voce: “Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo”. Ma è soprattutto lo Spirito Santo il grande protagonista dei primi capitoli del Vangelo di Luca. Agisce in Maria, ricolma Elisabetta, scioglie il canto a Zaccaria, fortifica il piccolo Giovanni, spinge Simeone al tempio, conferma Gesù e lo conduce nella via tracciata dal Padre.

Sarà Colui - annuncia Giovanni Battista - che battezza in Spirito Santo e fuoco.

Con san Paolo, poi sappiamo che Dio nella sua bontà “ci ha salvati e mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo effuso su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna”. Tutto questo è avvenuto sacramentalmente nel nostro battesimo; dobbiamo però prenderne coscienza e lasciarci guidare dallo Spirito, che anche oggi agisce in noi e nella Chiesa, e come fuoco brucia ciò che deve essere eliminato per crearci persone e comunità nuove.

 

 

Un giorno entrò a pranzo con noi un uomo sulla trentina, molto sofferente. Aveva un bastone come quello dei pastori, una bisaccia a tracolla, un vestito molto dimesso, due occhi vivissimi, una barba nera. Si mise a sedere a tavola alla mia destra. Mangiava, ogni tanto lasciava il cucchiaio e batteva il pugno destro leggermente sulla tavola con un gesto di meraviglia guardando negli occhi me e i miei figli senza proferire parola. E riprendeva a mangiare. Finito di mangiare la minestra, gli offrimmo un altro piatto. Mangiò anche questo sempre ripetendo di quando in quando il gesto di meraviglia. Tutti si taceva come se si assistesse ad un mistero. Quell’uomo con la sua espressione “dominava l’aria”. Consumato il secondo piatto si alzò, prese il bastone che aveva appoggiato alla parete accanto alla bisaccia, mise la bisaccia a tracolla e si avviò energicamente all’uscita della saletta da pranzo, che metteva sulla strada.

Alla porta prima di uscire, si volta indietro, ci guarda con occhi scintillanti di riconoscenza. Esclama: “Vi dico che se farete sempre così salverete il mondo”. E se ne andò allontanandosi dalla strada. Ci guardammo in faccia fra noi, ancora silenziosi e impressionati. Alcuni ragazzi interruppero il silenzio domandando a me e agli altri: “Che sia Gesù?”

Quando raccontavo questi fatti al mio Vescovo mi diceva: “Sono casi che non sono casi”. Che fosse Gesù in persona, come lo videro risorto i primi, non lo so; ma che quell’uomo lo rappresentasse quanto all’aspetto e all’espressione così profonda, così vera, così commovente anche al solo ripensarvi, è un fatto. Che sia vera la sua affermazione che facendo così si salva il mondo, è Vangelo.

Don Zeno racconta, Nomadelfia una proposta.

 

18 gennaio 2004 - 2a tempo ord.

Is 62,1-5 / 1Cor 12,4-11 /Gv 2,1-12

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Vi do la mia pace

(Gv 14,27)

Ogni popolo, ogni persona avverte un profondo anelito alla pace, alla concordia, all’unità. Eppure, nonostante gli sforzi e la buona volontà, dopo millenni di storia ci ritroviamo incapaci di pace stabile e duratura. Gesù è venuto a portarci la pace, una pace - ci dice - che non è come quella che dà il mondo, perché non è soltanto assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. La sua pace è anche questo, ma è molto di più: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale della persona, è libertà, è fraternità nell’amore fra tutti i popoli. Lui stesso è la nostra pace, per questo può dirci: “Vi do la mia pace”.

E cosa ha fatto Gesù per donarci la sua pace? Ha pagato di persona. Morendo sulla croce, dopo aver sperimentato per amore nostro l’abbandono del Padre, ha riunito gli uomini a Dio e tra di loro, portando sulla terra la fraternità universale. Anche a noi la costruzione della pace richiede un amore forte, capace di amare perfino chi non contraccambia, capace di perdonare. La pace inizia dal rapporto che so instaurare con ogni mio prossimo.

In questo mese, nel quale preghiamo in modo particolare perché si arrivi alla piena e visibile comunione fra le Chiese, avvertiamo ancora più forte il legame tra l’unità e la pace.

Come infatti testimoniare quella pace profonda portata da Gesù se tra noi, cristiani, non c’è la pienezza dell’amore, se non siamo un cuore solo e un’anima sola come nella prima comunità di Gerusalemme?

Il mondo cambia se cambiamo noi. Proviamo a vivere così, per essere lievito di una nuova cultura di pace e giustizia. Vedremo rinascere in noi e attorno a noi una nuova umanità.

stralci da un commento di Chiara Lubich

 

 

Da quando mi sono sposata ho mia suocera in casa. Pur sapendo della sua scarsa stima nei miei confronti e della sua opposizione al nostro matrimonio, mi impegno a dare il meglio di me per essere accettata. Purtroppo la situazione peggiora progressivamente: capricci, parole che mi feriscono, false accuse riferite a mio marito e alla mia famiglia di origine. Persino il rapporto di coppia è a volte messo in pericolo...

In questa situazione, dopo aver confidato ad un’amica le mie difficoltà, mi sento chiedere: “Al di là di tutto questo, l’hai veramente amata come te stessa?”.

Ritorno a casa turbata; quella sera rifletto a lungo, interrogandomi a fondo; e prego: “Illuminami, Signore, mostrami quello che non ho saputo fare e quello che ancora devo fare...”.

Rivivo come in un film tutti i torti subiti, ma nel caos dei miei pensieri ne emerge uno. È vero, ho amato, ma a modo mio. Per cominciare tutto da capo devo usare misericordia, dimenticare; spetta a me il primo passo; in mia suocera non devo più vedere la donna maldicente e capricciosa, dal carattere scontroso, ma semplicemente un prossimo da amare, sfruttando ogni occasione.

Mi accorgo che sto andando a letto senza augurarle la buona notte, come mi è già successo. Vado a trovarla nella sua stanza. Mi accoglie freddamente, ma non ne provo offesa.

Naturalmente i giorni seguenti non sono insensibile alle offese che ricevo, ma cerco di non venir meno all’amore. Quanto a mio marito, evito di metterlo nell’imbarazzo sottolineando il negativo di sua madre; cerco anzi di sottolineare quel che di buono ha fatto nella giornata. Lentamente vedo mia suocera rasserenarsi ed essere ogni giorno più gentile.

Un mese fa sono andata per una settimana al mio villaggio di origine: lei mi aveva preceduta di qualche giorno, e ci eravamo date appuntamento a metà strada alla coincidenza delle corriere. Giunta alle 12, sono rimasta sorpresa: era già là ad attendermi dalle 8 del mattino: aveva preso il primo pullman per essere sicura di non tardare! Con sé portava anche del cibo, il mio piatto preferito; e oltre a ciò un pacco per la mia mamma.

L’attesa della corriera è trascorsa in un dialogo fitto e profondo, mai sperimentato prima. È proprio vero: l’amore è contagioso ed è capace di far emergere il bene che non vediamo nell’altro!

S. E., Africa

 

25 gennaio 2004 - 3a tempo ord.

Ne 8,2-4a.5-6.8-10 / 1Cor 12,12-31a / Lc 1,1-4; 4,14-21

Oggi si è adempiuta questa Scrittura

(Lc 4,21)

 

Nel Vangelo Gesù conclude le parole di Isaia che ha applicato a sé: parole di liberazione, di speranza, di gioia e ha concluso dicendo: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura”. C’è tutta una tensione che pervade l’Antico Testamento verso questo momento centrale della storia umana. È espressa molto bene dalla scoperta della Parola come sorgente di vita quale è descritta nella prima lettura all’attesa della realizzazione delle promesse racchiuse in essa.

Nella sinagoga di Nazareth Dio dice il suo sì definitivo all’uomo nel sì di Gesù; non è più il tempo delle promesse, ma il tempo della loro realizzazione.

Può sorgere però in noi una domanda: ma come, dopo 2000 anni di cristianesimo, gli uomini continuano ad essere oppressi, a subire violenza, il male sembra continuare a regnare in questo mondo? Mi sembra che la risposta stia ancora in quella parola “oggi”. Se in questo momento accolgo Gesù e il Vangelo allora sperimento la libertà, vedo nuove le cose, il creato gli avvenimenti della vita; se questo poi lo facciamo assieme ad altri allora inizia attorno a noi la rivoluzione che supera la nostra stessa immaginazione, nasce un popolo nuovo. Come hanno sperimentato tanti santi che hanno detto sì a Gesù; altrimenti siamo ancora nel vecchio mondo.

 

 

Organizzare un concerto rock all’aperto per diffondere la gioia e raccogliere soldi per i nostri progetti di solidarietà con i ragazzi più poveri del mondo, ci sembra un’idea ottima anche se alcuni adulti ce lo sconsigliano: impresa troppo ardua per dei ragazzi e poi in questa stagione a Solingen, in Germania, piove sempre.

Ma senza scoraggiarci partiamo con l’organizzazione: cercare fondi presso banche e negozi, affittare il palco e l’impianto suono, chiedere permessi al comune. Molti amici si aggregano a questa insolita macchina organizzativa e l’entusiasmo cresce. Ancora pubblicità e volantinaggio. Montiamo il palco e siamo alla vigilia, pronti per il collaudo con la visita dei pompieri. Ed ecco la doccia fredda. I pompieri esigono una recinzione per il pubblico altrimenti niente permesso e niente corrente elettrica.

Trovare e montare in un giorno una recinzione di 400 metri ci pare un’impresa disperata e poi siamo sfiniti per la stanchezza. Tutto sembra crollare e alcuni nostri amici piangono. Noi però ci stringiamo in unità: abbiamo voluto fare questo concerto per Dio e adesso ci fidiamo del suo aiuto.

Vista la nostra convinzione tutti si rianimano. A 50 chilometri di distanza troviamo la recinzione ed un camion per trasportarla. La montiamo sotto la pioggia. Alla sera arriva il sospirato permesso e come per incanto smette di piovere. Giungono le prime persone che diventano 600 e alla fine 1000. Durante il concerto si esibiscono due gruppi rock che si sono offerti di suonare gratis per noi e due gruppi nostri. L’incasso è un successo, l’atmosfera bella e la gente contenta. Sugli ultimissimi pezzi comincia a nevicare, ma ormai ce l’abbiamo fatta! Siamo felicissimi. Vale la pena di vivere per qualcosa di grande.

“Ragazzi per l’unità” di Solingen, Germania

Commenti a cura di Francesco S..