IL “DISARMO”DEL CUORE
Mentre scrivo, porto negli occhi e nel cuore il
profondo dolore per l’ultimo sanguinoso attentato in Iraq. È forte la
tentazione dello scoraggiamento, insieme alla triste constatazione che la
violenza non può che produrre altra violenza.
Ma proprio con questo stato d’animo riprendo in mano
una storia, letta già altre volte, che ritrovo pubblicata in un settimanale: «Erano i tempi di guerra (la seconda guerra
mondiale) e tutto crollava…». È l’inizio della storia di Chiara Lubich e
del movimento dei Focolari, a Trento nel 1943: «Per le generali distruzioni della guerra, ci sentivamo invitate ad
apprendere una grande lezione: “Tutto è vanità…”. Tutto passa. E ci
domandavamo: ci sarà un ideale che non viene meno, che nessuna bomba può far
crollare? Sì, questo ideale c’è: è Dio. In mezzo al furore della guerra, frutto
dell’odio, Dio si manifestò a noi per quello che egli veramente è: amore. E
decidemmo, tutte insieme, di fare di Dio il perché della nostra vita».
Metto questa storia, questa esperienza di vita,
accanto ai titoli di prima pagina del giornale di questa mattina: quando tutto
crolla, solo Dio rimane. Casualmente butto l’occhio su una frase, di un autore
contemporaneo: “La crisi del nostro tempo
si deve a tanti motivi, che si riassumono in uno: penuria d’amore” (I.
Giordani).
Qui troviamo il segreto della vera pace, della
costruzione di un mondo nuovo: nella capacità, da chiedere anzitutto al cuore
di ciascuno di noi, di mettere amore, di porre gesti di perdono, di ascolto, di
comprensione, di accoglienza anche dove sembrano regnare le macerie dell’odio e
della violenza.
Pace è la prima parola che ci viene chiesto di
scrivere sulla nostra agenda nuova, all’inizio di un nuovo anno. Sia allora
anche la parola che ci accompagna ogni altro giorno; e, soprattutto, sia sempre
meno una parola e sempre più un atteggiamento concreto di vita. Osiamo il “disarmo del cuore” perché cresca in noi
la volontà e la forza di cercare la pace!
Umberto S.
6 gennaio 2004 - EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60,1-6 / Ef 3,2-3.5-6 / Mt 2,1-12
Abbiamo visto sorgere la sua stella
(Mt 2,2)
Il periodo delle festività
si conclude con l’Epifania che significa manifestazione.
È Gesù che viene mostrato a tutti i popoli della terra rappresentati dai magi.
Il loro camminare, imparando
a vedere i segni della presenza di Dio, è emblematico per ogni uomo di buona
volontà che ricerca la verità. Quella stella in quei giorni l’hanno potuta
vedere tutti gli abitanti della Palestina, ma solo i magi hanno saputo cogliervi
un segno di Dio, si sono lasciati guidare dalla sua luce. Quante realtà, anche
naturali, ci parlano di Dio, quanti avvenimenti nella nostra esistenza sono
delle stelle che si accendono nella nostra vita: un incontro, una gioia
autentica, un atto di amore gratuito, una buona lettura... ma spesso la
distrazione, o la pigrizia, o la nostra comodità ci impediscono di metterci in
cammino.
Non dimentichiamo che la
stella nella Bibbia è un glorioso segno messianico e l’Apocalisse chiama Gesù “radiosa stella del mattino” (Ap. 2,28;
22,16). L’Epifania, proprio perché è la celebrazione di una rivelazione della
luce divina dovrebbe essere il giorno in cui il credente ritrova la sua stella
interiore e giunge a contemplare in pienezza il suo Signore.
L’immergerci nella luce di
Dio, della sua Parola, della sua presenza in mezzo a noi, diventa sorgente di
luce in noi e ci costringe ad abbandonare le povere lampade dei nostri calcoli,
dei piccoli progetti, del nostro io, per abbracciare quelli di Dio. Così il
nostro quotidiano, grigio e ripetitivo, sarà illuminato e diventeremo coloro
che portano un annuncio di speranza.
Un amico filosofo e un po’ poeta, mi ha raccontato questa storia. Un
passante si fermò un giorno davanti a una cava dove lavoravano tre uomini. Egli
chiese al primo: “Che cosa fai, amico?”. Quello rispose senza alzare la testa:
“Mi guadagno il pane”. Chiese al secondo: “Che cosa fai amico?”. E l’operaio,
accarezzando l’oggetto delle sue cure, spiegò: “Vedete? Taglio una bella
pietra…”. Chiese all’ultimo: “Che fai, amico?”. E l’uomo, alzando verso di lui
degli occhi pieni di gioia, esclamò: “Costruiamo una cattedrale!”.
Tutti e tre compivano lo stesso lavoro. Il primo si accontentava di
ricavarne da vivere; il secondo gli aveva già dato un senso; ma solo il terzo
gli conferiva la sua grandezza e dignità. Oh giovani, costruite anche voi la
vostra cattedrale! Col vostro sforzo di tutti i giorni. Perché ogni lavoro è
nobile quando è appeso a una stella. Il segreto della felicità e di fare tutto
con amore. Un uomo, anche solo, se dà ogni giorno il suo colpo di piccone nella
stessa direzione, senza lasciarsi distrarre o distogliere, se ogni giorno
insiste nel suo sforzo con gli occhi fissi ad un’unica stella, finisce sempre
con l’aprire una strada.
Dal messaggio ai giovani di Raoul Follereau, 1973
La stella non si è ingannata
quando ha chiamato chi era
più lontano,
perché s’incamminasse verso
il Dio a lui vicino.
La stella non si è ingannata
indicando la via del
deserto,
la più umile, la più dura.
La stella non si è ingannata
fermandosi sopra la casa di
gente umile:
è nato là il grande futuro.
Il tuo cuore non si è
ingannato
mettendosi in cammino
in cerca dell’ignoto.
Il tuo cuore non si è
ingannato
non cedendo
alla vana impazienza.
Il tuo cuore non si è
ingannato
nell’inginocchiarsi
dinanzi al Bambino.
Klaus Hemmerle
11 gennaio 2004 - BATTESIMO DEL SIGNORE
Is 40,1-5.9-11 / Tt 2,11-14; 3,4-7 / Lc
3,15-16.21-22
Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco
(Lc 3,16)
Nel battesimo di Gesù tutta
la Trinità è protagonista, dallo Spirito che appare sotto forma di colomba, al
Padre che fa sentire la sua voce: “Questi
è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo”. Ma è soprattutto lo Spirito Santo
il grande protagonista dei primi capitoli del Vangelo di Luca. Agisce in Maria,
ricolma Elisabetta, scioglie il canto a Zaccaria, fortifica il piccolo
Giovanni, spinge Simeone al tempio, conferma Gesù e lo conduce nella via
tracciata dal Padre.
Sarà Colui - annuncia
Giovanni Battista - che battezza in Spirito Santo e fuoco.
Con san Paolo, poi sappiamo
che Dio nella sua bontà “ci ha salvati e
mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo
effuso su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza,
della vita eterna”. Tutto questo è avvenuto sacramentalmente nel nostro
battesimo; dobbiamo però prenderne coscienza e lasciarci guidare dallo Spirito,
che anche oggi agisce in noi e nella Chiesa, e come fuoco brucia ciò che deve essere
eliminato per crearci persone e comunità nuove.
Un giorno entrò a pranzo con noi un uomo sulla trentina, molto
sofferente. Aveva un bastone come quello dei pastori, una bisaccia a tracolla,
un vestito molto dimesso, due occhi vivissimi, una barba nera. Si mise a sedere
a tavola alla mia destra. Mangiava, ogni tanto lasciava il cucchiaio e batteva
il pugno destro leggermente sulla tavola con un gesto di meraviglia guardando
negli occhi me e i miei figli senza proferire parola. E riprendeva a mangiare.
Finito di mangiare la minestra, gli offrimmo un altro piatto. Mangiò anche
questo sempre ripetendo di quando in quando il gesto di meraviglia. Tutti si
taceva come se si assistesse ad un mistero. Quell’uomo con la sua espressione
“dominava l’aria”. Consumato il secondo piatto si alzò, prese il bastone che
aveva appoggiato alla parete accanto alla bisaccia, mise la bisaccia a tracolla
e si avviò energicamente all’uscita della saletta da pranzo, che metteva sulla
strada.
Alla porta prima di uscire, si volta indietro, ci guarda con occhi
scintillanti di riconoscenza. Esclama: “Vi dico che se farete sempre così
salverete il mondo”. E se ne andò allontanandosi dalla strada. Ci guardammo in
faccia fra noi, ancora silenziosi e impressionati. Alcuni ragazzi interruppero
il silenzio domandando a me e agli altri: “Che sia Gesù?”
Quando raccontavo questi fatti al mio Vescovo mi diceva: “Sono casi che
non sono casi”. Che fosse Gesù in persona, come lo videro risorto i primi, non
lo so; ma che quell’uomo lo rappresentasse quanto all’aspetto e all’espressione
così profonda, così vera, così commovente anche al solo ripensarvi, è un fatto.
Che sia vera la sua affermazione che facendo così si salva il mondo, è Vangelo.
Don Zeno racconta, Nomadelfia una proposta.
18 gennaio 2004 - 2a tempo ord.
Is 62,1-5 / 1Cor 12,4-11 /Gv 2,1-12
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Vi do la mia pace
(Gv 14,27)
Ogni popolo, ogni persona
avverte un profondo anelito alla pace, alla concordia, all’unità. Eppure,
nonostante gli sforzi e la buona volontà, dopo millenni di storia ci ritroviamo
incapaci di pace stabile e duratura. Gesù è venuto a portarci la pace, una pace
- ci dice - che non è come quella che dà il mondo, perché non è soltanto
assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. La sua pace è anche
questo, ma è molto di più: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale
della persona, è libertà, è fraternità nell’amore fra tutti i popoli. Lui
stesso è la nostra pace, per questo può dirci: “Vi do la mia pace”.
E cosa ha fatto Gesù per
donarci la sua pace? Ha pagato di persona. Morendo sulla croce, dopo aver
sperimentato per amore nostro l’abbandono del Padre, ha riunito gli uomini a
Dio e tra di loro, portando sulla terra la fraternità universale. Anche a noi
la costruzione della pace richiede un amore forte, capace di amare perfino chi
non contraccambia, capace di perdonare. La pace inizia dal rapporto che so
instaurare con ogni mio prossimo.
In questo mese, nel quale
preghiamo in modo particolare perché si arrivi alla piena e visibile comunione
fra le Chiese, avvertiamo ancora più forte il legame tra l’unità e la pace.
Come infatti testimoniare
quella pace profonda portata da Gesù se tra noi, cristiani, non c’è la pienezza
dell’amore, se non siamo un cuore solo e un’anima sola come nella prima
comunità di Gerusalemme?
Il mondo cambia se cambiamo
noi. Proviamo a vivere così, per essere lievito di una nuova cultura di pace e
giustizia. Vedremo rinascere in noi e attorno a noi una nuova umanità.
stralci da un commento di
Chiara Lubich
Da quando mi sono sposata ho mia suocera in casa. Pur sapendo della sua
scarsa stima nei miei confronti e della sua opposizione al nostro matrimonio,
mi impegno a dare il meglio di me per essere accettata. Purtroppo la situazione
peggiora progressivamente: capricci, parole che mi feriscono, false accuse
riferite a mio marito e alla mia famiglia di origine. Persino il rapporto di
coppia è a volte messo in pericolo...
In questa situazione, dopo aver confidato ad un’amica le mie
difficoltà, mi sento chiedere: “Al di là di tutto questo, l’hai veramente amata
come te stessa?”.
Ritorno a casa turbata; quella sera rifletto a lungo, interrogandomi a
fondo; e prego: “Illuminami, Signore, mostrami quello che non ho saputo fare e
quello che ancora devo fare...”.
Rivivo come in un film tutti i torti subiti, ma nel caos dei miei
pensieri ne emerge uno. È vero, ho amato, ma a modo mio. Per cominciare tutto
da capo devo usare misericordia, dimenticare; spetta a me il primo passo; in
mia suocera non devo più vedere la donna maldicente e capricciosa, dal
carattere scontroso, ma semplicemente un prossimo da amare, sfruttando ogni
occasione.
Mi accorgo che sto andando a letto senza augurarle la buona notte, come
mi è già successo. Vado a trovarla nella sua stanza. Mi accoglie freddamente,
ma non ne provo offesa.
Naturalmente i giorni seguenti non sono insensibile alle offese che
ricevo, ma cerco di non venir meno all’amore. Quanto a mio marito, evito di
metterlo nell’imbarazzo sottolineando il negativo di sua madre; cerco anzi di
sottolineare quel che di buono ha fatto nella
giornata. Lentamente vedo mia suocera rasserenarsi ed essere ogni giorno più
gentile.
Un mese fa sono andata per una settimana al mio villaggio di origine:
lei mi aveva preceduta di qualche giorno, e ci eravamo date appuntamento a metà
strada alla coincidenza delle corriere. Giunta alle 12, sono rimasta sorpresa:
era già là ad attendermi dalle 8 del mattino: aveva preso il primo pullman per
essere sicura di non tardare! Con sé portava anche del cibo, il mio piatto
preferito; e oltre a ciò un pacco per la mia mamma.
L’attesa della corriera è trascorsa in un dialogo fitto e profondo, mai
sperimentato prima. È proprio vero: l’amore è contagioso ed è capace di far
emergere il bene che non vediamo nell’altro!
S. E., Africa
25
gennaio 2004 - 3a tempo ord.
Ne
8,2-4a.5-6.8-10 / 1Cor 12,12-31a / Lc 1,1-4; 4,14-21
Oggi si è
adempiuta questa Scrittura
(Lc 4,21)
Nel Vangelo Gesù conclude le
parole di Isaia che ha applicato a sé: parole di liberazione, di speranza, di
gioia e ha concluso dicendo: “Oggi si è
adempiuta questa Scrittura”. C’è tutta una tensione che pervade l’Antico
Testamento verso questo momento centrale della storia umana. È espressa molto
bene dalla scoperta della Parola come sorgente di vita quale è descritta nella
prima lettura all’attesa della realizzazione delle promesse racchiuse in essa.
Nella sinagoga di Nazareth
Dio dice il suo sì definitivo all’uomo nel sì di Gesù; non è più il tempo delle
promesse, ma il tempo della loro realizzazione.
Può sorgere però in noi una
domanda: ma come, dopo 2000 anni di cristianesimo, gli uomini continuano ad
essere oppressi, a subire violenza, il male sembra continuare a regnare in
questo mondo? Mi sembra che la risposta stia ancora in quella parola “oggi”. Se in questo momento accolgo
Gesù e il Vangelo allora sperimento la libertà, vedo nuove le cose, il creato
gli avvenimenti della vita; se questo poi lo facciamo assieme ad altri allora
inizia attorno a noi la rivoluzione che supera la nostra stessa immaginazione,
nasce un popolo nuovo. Come hanno sperimentato tanti santi che hanno detto sì a
Gesù; altrimenti siamo ancora nel vecchio mondo.
Organizzare un concerto rock all’aperto per diffondere la gioia e
raccogliere soldi per i nostri progetti di solidarietà con i ragazzi più poveri
del mondo, ci sembra un’idea ottima anche se alcuni adulti ce lo sconsigliano:
impresa troppo ardua per dei ragazzi e poi in questa stagione a Solingen, in
Germania, piove sempre.
Ma senza scoraggiarci partiamo con l’organizzazione: cercare fondi
presso banche e negozi, affittare il palco e l’impianto suono, chiedere
permessi al comune. Molti amici si aggregano a questa insolita macchina
organizzativa e l’entusiasmo cresce. Ancora pubblicità e volantinaggio.
Montiamo il palco e siamo alla vigilia, pronti per il collaudo con la visita
dei pompieri. Ed ecco la doccia fredda. I pompieri esigono una recinzione per
il pubblico altrimenti niente permesso e niente corrente elettrica.
Trovare e montare in un giorno una recinzione di 400 metri ci pare
un’impresa disperata e poi siamo sfiniti per la stanchezza. Tutto sembra
crollare e alcuni nostri amici piangono. Noi però ci stringiamo in unità:
abbiamo voluto fare questo concerto per Dio e adesso ci fidiamo del suo aiuto.
Vista la nostra convinzione tutti si rianimano. A 50 chilometri di
distanza troviamo la recinzione ed un camion per trasportarla. La montiamo
sotto la pioggia. Alla sera arriva il sospirato permesso e come per incanto
smette di piovere. Giungono le prime persone che diventano 600 e alla fine
1000. Durante il concerto si esibiscono due gruppi rock che si sono offerti di
suonare gratis per noi e due gruppi nostri. L’incasso è un successo,
l’atmosfera bella e la gente contenta. Sugli ultimissimi pezzi comincia a nevicare,
ma ormai ce l’abbiamo fatta! Siamo felicissimi. Vale la pena di vivere per
qualcosa di grande.
“Ragazzi per
l’unità” di Solingen, Germania
Commenti
a cura di Francesco S..