Il sacerdote uomo del dialogo

Di Thomas Norris

Thomas Norris è professore di dogmatica nel seminario di Maynooth in Irlanda. Impegnato da molti anni nella formazione sacerdotale e nel dialogo teologico fra le Chiese, dal 1998 è membro della Commissione teologica internazionale. Con un approccio allo stesso tempo teologico e pastorale, qui delinea l’immagine del sacerdote nelle condizioni culturali e sociali del nostro tempo.

Con questa conversazione vorremmo chiederci: che cosa domanda lo Spirito Santo ai sacerdoti oggi, alle soglie dell’anno giubilare della nascita di Cristo? Ovvero, quale è la caratteristica principale che contraddistingue la figura del sacerdote nel nostro tempo?

Affronteremo questo tema con uno sguardo teologico e al contempo con un taglio esistenziale. Terremo presente che il sacerdote deve essere in tutti i tempi come Gesù l’ha pensato e come la chiesa, guidata dallo Spirito lungo due millenni, l’ha sempre visto. Ma cercheremo anche di guardare alle particolari circostanze in cui si svolge oggi il ministero sacerdotale.

Nel portare avanti questa riflessione, mi rifaccio alle idee di fondo di un discorso tenuto da Chiara Lubich nel 1982 nell’Aula Paolo VI in Vaticano a 7000 sacerdoti e religiosi riuniti in congresso.1 Ero presente allora anch’io e trovo tuttora molto attuale questo intervento.

"Una visione universale delle cose"

Il mondo odierno, lo si sa, esige ormai una visione universale delle cose. Nonostante tutti gli ostacoli, l’umanità si avvia all’unità. E ciò non è solo un fenomeno di tecnologia e di comunicazione sociale attraverso i mass media, il turismo e l’industria, ma è anche, e soprattutto, un fatto morale e spirituale. È un cambiamento epocale di mentalità e di aspirazioni.

Sta proprio qui una nuova e speciale chance per la vita e l’annuncio della chiesa. Scrisse il grande teologo Henri de Lubac: "Fondamentalmente, il vangelo è posseduto dall’idea dell’unità della società umana",2 cioè, della famiglia umana intera. Oggi, è il kairós dello sbocciare di questa famiglia umana a livello mondiale. E, proprio per questo la parola "dialogo" è attuale.

Seguendo le vie indicate da papa Paolo VI nella sua prima e programmatica enciclica Ecclesiam Suam, vie che hanno poi trovato ampio sviluppo nell’insegnamento del Vaticano II, potremmo dire dunque che, come nel nostro tempo la chiesa è chiamata ad un dialogo universale, così anche il sacerdote deve essere decisamente uomo del dialogo.

Quale icona per i sacerdoti oggi?

Ma dove guardare, per essere uomini del dialogo non soltanto in qualche atteggiamento esterno, bensì in modo da raggiungere lo scopo di tale dialogo, e cioè l’unità? È proprio qui che Gesù crocifisso e abbandonato, da sempre modello umano-divino del sacerdote, rivela tutta la sua straordinaria attualità.

È appunto sulla croce, e più esattamente attraverso il suo abbandono, che Gesù ha riunito l’umanità col Padre e gli uomini fra di loro.

Egli ha amato il genere umano fino a sperimentare la perdita di quanto aveva di più prezioso: l’unione col Padre. "Non è forse lì – chiese Chiara Lubich nel suo discorso ai 7000 sacerdoti – (…) che egli si realizza come mediatore fra gli uomini e Dio? Non è lì sulla croce che si presenta al Padre come sacerdote e vittima per l’intera umanità? Quella divina piaga spirituale che gli si è aperta in cuore, quando anche il Cielo fu chiuso per lui, non è forse una porta spalancata, attraverso la quale l’uomo può finalmente unirsi a Dio e Dio all’uomo?". Ed attirò l’attenzione anche su un altro aspetto di questo grande mistero: "... perché gli uomini, per Gesù crocifisso, hanno potuto ristabilire il dialogo con Dio, ne è scaturito il dialogo anche fra di loro: Gesù crocifisso è il vincolo d’unità anche fra gli uomini. E l’unità è il frutto del dialogo: è il dialogo consumato".3

Dimensioni del dialogo

Ma che cosa può significare più in concreto, per i sacerdoti, essere uomini del dialogo?

Vorrei procedere secondo tre grandi ambiti che si rifanno al noto trinomio mistero-comunione-missione che – secondo l’autorevole interpretazione dei Sinodi dei vescovi del 1985 e del 1987 – contraddistingue l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II:

- il dialogo con Dio ovvero il radicamento nella dimensione del mistero;

- il dialogo intraecclesiale ovvero i rapporti di comunione;

- il dialogo ad extra ovvero la proiezione in una missione che è vasta quanto l’umanità.

Il dialogo fondamentale: con il Sacerdote per eccellenza

È ovvio che il dialogo fondamentale al quale è chiamato il sacerdote non può non essere quello con il sacerdote per eccellenza, che compì la sua suprema offerta sul legno della croce, nell’abbandono.

Come mette in luce l’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis (nn.13-15), Gesù è nei sacerdoti in forza della grazia e dell’ordinazione, ma questa presenza deve crescere fino alla perfezione dell’amore. E per questo, il nutrirsi della costante preghiera, della fedele meditazione, dell’Eucaristia che deifica, della Parola che santifica, della comunione fraterna.4

Ma la Pastores dabo vobis (n. 30) va ancora oltre ed afferma: "Il sacerdote deve avere gli "stessi sentimenti" di Gesù, spogliandosi del proprio "io", per trovare... la via maestra dell’unione con Dio e dell’unità con i fratelli (cf Fil 2,5)". Per lasciare che Cristo viva pienamente in noi come sacerdoti, siamo chiamati dunque a conformarci attimo per attimo a Gesù crocifisso, nel totale annientamento di noi stessi per amore degli altri.

Ogni giorno noi sacerdoti ci imbattiamo in tanti fatti e circostanze, nelle aspettative e nei "perché?" delle persone che ci passano accanto. Non di rado ciò significa tensione, sentirsi interpellati da una molteplicità di esigenze e necessità, diventare partecipi di dolori e di angosce. Certamente, i sacerdoti non possono evitare il peso che ciò comporta e non lo vogliono. Ma devono vivere sempre nella coscienza che, in definitiva, non possono diventare loro il punto risolutivo né per le persone né per i problemi.5

È qui che viene in luce l’importanza di vivere sempre immersi nel mistero di Gesù crocifisso. Ogni divisione, ogni senso di lontananza, ogni peso, ogni incapacità, ha un volto, il volto di Gesù crocifisso e abbandonato. Egli ha preso su di sé tutte le "lontananze" sofferte dagli uomini. Chi mai è stato più lontano da Dio di Colui che gridava "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Chi ha portato su di sé più pesi di Colui che è stato tormentato fino alla morte, sino a farsi "peccato" e "maledizione" (cf Gal 3, 13)? La Commissione Teologica Internazionale lo esprime così: "Per quanto sia profonda l’alienazione del peccatore da Dio, non è mai così profonda come il senso di distanza che il Figlio sperimenta di fronte al Padre nello svuotamento kenotico di sé (cf Fil 2,7) e nell’angoscia dell’abbandono (Mt 27, 46)".6

Anche quando i sacerdoti non vedono subito la soluzione agli interrogativi propri e a quelli altrui, nel dialogo con Gesù crocifisso e abbandonato scoprono l’Uno che in ogni sofferenza e in ogni problema li riporta alla "casa" del Padre, a Colui che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio diletto per riempire di Dio ogni oscurità. E in lui sempre di nuovo potranno aprirsi al Padre con la dolce parola "Abba" e riscoprirsi allo stesso tempo fratelli con tutti gli uomini della terra.

Il dialogo dell’uomo-chiesa

Un secondo ambito è quello ecclesiale: il sacerdote è chiamato ad essere uomo-chiesa, anima-chiesa.

Se la chiesa è "popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo",7 popolo che incarna la vita trinitaria portata in terra dal Figlio, non sorprende che la chiave per comprendere ed esercitare correttamente il ministero ordinato sia proprio la comunione. L’identità presbiterale è essenzialmente "relazionale"8. Riferito per Cristo e nello Spirito a Dio Padre, il sacerdote è riferito al contempo alla chiesa, e, nella chiesa, vive diversi rapporti e dialoghi di comunione che sono insiti nella sua vocazione.

Per questo il ministero ordinato ha necessariamente una "forma comunitaria" e dev’essere messo in pratica come "un’opera collettiva"9, come ribadiscono il Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis e la Pastores dabo vobis.

Ma quali sono questi dialoghi costitutivi della vocazione sacerdotale?

Innanzi tutto i sacerdoti sono chiamati a svolgere il loro ministero in un costante e sentito dialogo con il successore di colui al quale è stato chiesto di amare di più (Gv 21, 15-19) e che ha un particolare carisma per confermare i suoi fratelli (cf Lc 22, 31-32). Come "la pietra ferma e solidissima, sulla quale il Salvatore ha edificato la chiesa",10 il papa è infatti il garante dell’unità della chiesa.

Un secondo dialogo che non può non stare alla base della vita dei sacerdoti è quello con il proprio vescovo. La motivazione di quest’unità non è, e non potrebbe essere, solamente l’ordine, oppure l’organizzazione, della vita pastorale in diocesi. Il Concilio ci fa vedere il presbiterio come un corpo solo col vescovo.11 Sant’Ignazio di Antiochia poteva fare quest’elogio ai sacerdoti della chiesa d’Efeso: "...il vostro collegio presbiterale, giustamente famoso, degno di Dio, è armonicamente unito al vescovo come le corde alla cetra".12

Per raggiungere questa meta certamente impegnativa, la spiritualità dell’unità indica ai sacerdoti, quale modello, Gesù in croce. È l’amore a lui che ci rende staccati da quanto pensiamo e da quanto facciamo, pronti ad accogliere quanto lo Spirito ci vuole dire attraverso il vescovo, pronti anche a collaborare cordialmente con qualunque altro sacerdote.

E con ciò è già enunciata una terza dimensione del dialogo nella comunione ecclesiale. Dice il Decreto Presbyterorum Ordinis: "Tutti i presbiteri hanno la missione di contribuire a una medesima opera (…) Pertanto (…) ciascuno dei presbiteri è legato ai confratelli con il vincolo della carità, della preghiera e di ogni specie di collaborazione, manifestando così quella unità con cui Cristo volle i suoi resi perfetti in uno, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre" (n. 8).

I sacerdoti sono quindi chiamati ad instaurare un profondo dialogo con gli altri sacerdoti. Devono stabilire con tutti una comunione di pensiero e d’anima e, per quanto possibile, una comunione di beni. E sono chiamati soprattutto al dialogo con i più soli, i più poveri, quelli in prova.13

Tanti sacerdoti potrebbero raccontare come tale comunione, quando è profonda e vera, porta frutti sorprendenti nelle parrocchie, nelle scuole, nelle missioni e in tutte le opere apostoliche. Ed ancora come questa vita d’unità fra i sacerdoti rende attraente per i giovani la vocazione sacerdotale.

D’altra parte, mantenere sempre viva questa comunione è tutt’altro che facile. Richiede, da parte dei sacerdoti, di non agire come leaders solitari, ma di lavorare in modo più comunitario, di progettare insieme agli altri, di dialogare con loro, di sapere stare in ascolto.

È proprio per questi rapporti che Gesù crocifisso e abbandonato è modello. Egli insegna come stabilirli, come portarli avanti, come ricomporli quando si fanno difficili o addirittura si rompono. Le difficoltà che incontriamo nelle relazioni non sono mai anonime. Hanno un volto: il suo.

Ed è ancora lui il modello per il rapporto dei sacerdoti con il proprio vescovo e col papa, nei momenti di oscurità. Sentendo, al culmine della sua missione in terra, venir meno la relazione col Padre, ha continuato ad amare; ed anche nell’esperienza dell’abbandono ha riconsegnato la sua vita nelle mani del Padre.

Assicurata questa unità fra di loro, i sacerdoti sono chiamati al dialogo con gli altri fedeli.14 Ed anche qui, Gesù è il modello decisivo. Egli venne in questo mondo non per essere servito, ma per servire e per dare la vita in riscatto per tutti (Mc 10, 45). L’apostolo Paolo ne è stato il fedele riflesso, facendosi tutto a tutti per guadagnare a Cristo il maggiore numero (cf 1Cor 9, 19s). Si capisce da ciò quale debba essere l’atteggiamento dei sacerdoti verso tutte le persone a loro affidate: la prontezza di servire ed il dono di sé.

Richiamandosi all’esperienza di numerosi sacerdoti che vivono la spiritualità dell’unità, Chiara Lubich nel 1982 ha così espresso l’effetto di questo atteggiamento: "Se il servizio sacerdotale avrà come supporto questo sviscerato amore, questo servizio del cuore, il sacerdote vedrà fiorire, nella porzione di chiesa affidatagli, quella meraviglia che oggi lo Spirito Santo chiama i cristiani a svelare al mondo: il sacerdozio regale: fedeli convinti, che non esauriscono i doveri della loro fede nelle poche pratiche domenicali, ma vivono il loro battesimo morendo, momento per momento, in Cristo, nell’amore a lui e fra loro, e in lui risuscitando".15

È evidente come i laici, così, non sono più cristiani di seconda categoria e come venga alla ribalta, di conseguenza, quella "epifania matura e feconda del laicato" che si è augurato ancora recentemente il Santo Padre.16

Dialogo dalle dimensioni universali

La chiesa è per sua natura una chiesa in missione, perché mandata dal Signore risorto nella potenza dello Spirito Santo. Di conseguenza, il sacerdote è chiamato ad essere – come afferma la Pastores dabo vobis – "servitore della chiesa come missione perché fa della comunità un araldo ed un testimone al vangelo".17

La notte prima della sua passione, Gesù pregò: "che tutti siano uno" (Gv 17, 21) e, prima di salire al cielo, disse ai suoi discepoli: "Andate ed ammaestrate tutte le genti" (Mt 28,19). Portando nel mondo la vita trinitaria, ha voluto che ne fossero partecipi tutti. E per aprire la via a questa meta ha preso su di sé tutte le disunità. È disceso attraverso tutti i gradini della kénosi, "fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2, 8). E proprio così, ed in nessun altro modo, ha generato l’unità del suo Corpo, la chiesa, affinché il mondo sappia che il Padre ha mandato il Figlio (cf Gv 17, 23).

Purtroppo, ai nostri giorni gli stessi cristiani sono divisi. "Tale divisione – afferma il Vaticano II – contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura".18 Ecco perché tutte le chiese e tutte le comunità ecclesiali sono chiamate, anzi interpellate, ad impegnarsi nel dialogo.

Il sacerdote non può non sentire profondamente quest’imperativo. Il lavoro ecumenico è bello ma altrettanto difficile. E chi può dare ai sacerdoti la forza di non stancarsi mai nel costruire rapporti d’amicizia e di dialogo con i ministri ed i pastori d’altre tradizioni se non il volto di Gesù crocifisso? E non solo la spinta a stabilire giorno per giorno tutta quella comunione che è già possibile, ma anche il metodo per portare avanti tale dialogo?

Il sacerdote che vuole costruire dei ponti con altri cristiani deve per esempio sapere amare la chiesa altrui come la propria. Nel dialogo ecumenico occorre inoltre saper vivere gli inevitabili malintesi che qualche volta sorgono perché i caratteri sono diversi e gli argomenti ed i temi complessi. Ma chi è stato più malinteso di Gesù crocifisso e abbandonato, e nonostante ciò ha continuato ad amare? E chi più di lui ha amato coloro che erano distanti ed anzi opposti?

"Egli che, nel cuore della storia, ha pagato ogni divisione del mondo e la nostra, fra cristiani, – ha affermato nel 1982 Chiara Lubich – non ha ancora visto tutto il frutto di quel suo immenso dolore".19

Ma i sacerdoti del terzo millennio hanno davanti a sé anche il dialogo con i fedeli delle altre religioni. Il grande storico e filosofo Arnold Toynbee prevedeva che una caratteristica del prossimo millennio sarebbe stata proprio l’incontro fra le culture e le religioni del mondo. Ormai, nell’Europa Occidentale, questo è un tema all’ordine del giorno e, in alcuni posti, esso assume risvolti drammatici. È difficile per tutti noi accettare fino in fondo colui che è "altro" o "diverso" da noi, dal nostro Paese, dalla nostra cultura, dalla nostra religione.

Anche qui lo sguardo a Gesù abbandonato è di grande luce. Egli, sappiamo, è morto per amore di tutti. Ed è la chiave per rapportarsi con il diverso, con colui che è altro da me. Nel suo totale svuotamento, egli ci insegna come entrare nella cultura dell’altro fino in fondo. Sta qui una chiave decisiva per realizzare l’esortazione della Nostra Aetate che i figli della chiesa "con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi" (n. 2).

Ma l’Ecclesiam Suam prospetta ancora un altro dialogo: quello con coloro che non riconoscono esplicitamente Dio. Anche per il dialogo con tutti loro, Gesù crocifisso ed abbandonato è la via privilegiata. Egli ha sperimentato l’assenza del Padre nella sua passione. Si è identificato con tutti i "perché?", con tutte le "assenze" di questo mondo, con lo stesso dramma dell’assenza di Dio nella coscienza di queste persone.20 Ecco perché possiamo vedere in tutti gli uomini di convinzioni non religiose il suo volto, ed in lui riscoprirci chiamati al dialogo con loro.

Egli è la chiave per dialogare con tutti gli uomini: anche con i violenti, i peccatori, i drogati, i ladri, gli omicidi, con chiunque rappresenta un volto di dolore, di abbandono, di divisione. Perché egli ha trasformato ogni divisione in amore ed ogni lontananza in vicinanza. Scrive Romano Guardini: "Nel suo abbandono il Figlio infinitamente diletto e crocefisso del Padre raggiunge le profondità assolute donde l’onnipotenza dell’amore solleva la nuova creazione".21 È questa anche la straordinaria vocazione dei sacerdoti chiamati a rassomigliare in tutto al loro Signore.

Profilo mariano

Il sacerdote, dunque, come uomo del dialogo, in vista della comunione e dell’unità: con Dio innanzi tutto; all’interno della chiesa, con il papa, con il vescovo, con gli altri sacerdoti e con i fedeli tutti; e ancora: con tutte le persone.

Ma c’è un ultimo dialogo che ogni sacerdote è chiamato a vivere e che oggi riveste attualità nuova e particolare: il dialogo con Maria.

In una delle sue recenti catechesi all’Udienza generale, Giovanni Paolo II ha parlato – e non per la prima volta – dell’emergere di un "profilo mariano" della chiesa che compendia in sé il contenuto più profondo del rinnovamento conciliare";22 l’emergere, cioè, nella coscienza della chiesa, della sua dimensione mariana, a fianco a quella apostolico-petrina, non solamente a livello d’intuizione mistica ma a livello d’operatività storica.

È di particolare rilevanza, qui, quel cenno del quarto Vangelo che ci presenta Maria e Giovanni ai piedi della croce, quale "prima cellula" della chiesa.23 Gesù si rivolge a Giovanni e, indicandogli Maria, dice: "Ecco tua madre"; e a Maria: "Ecco tuo figlio" (Gv 19, 26-27). "E da quel momento – commenta l’evangelista – il discepolo la prese nella sua casa" (Gv 19, 27).

È partendo da questo testo che Giovanni Paolo II, nella sua lettera ai sacerdoti del Giovedì Santo 1988, ha affermato che prendere Maria a casa è compito speciale di ogni sacerdote. La missione di Maria, infatti, continua nella chiesa. È guardando a Maria che possiamo apprendere come vivere e come costruire la chiesa secondo i piani di Dio per oggi. Ed è da lei che, come nessuno, ha contemplato il mistero trinitario, che possiamo imparare come rendere viva ed effettiva la comunione.

Dice a questo riguardo Hans Urs von Balthasar: "Particolarmente nella nostra epoca, forse, è necessario guardare Maria, vederla come si manifesta e non come ci piace immaginarla... Siamo continuamente impegnati a riformare e ad adeguare questa chiesa alle necessità dei tempi... Non dovremmo, nelle nostre riforme, tenere in permanenza lo sguardo fisso su Maria, certo non per moltiplicare feste o devozioni... ma semplicemente per imparare a capire che cosa è la chiesa...?".24

Maria, in effetti, non è solo oggetto di devozione, ma modello da imitare, e questo specialmente da parte dei sacerdoti i quali hanno la missione di indicare al mondo il divino, di costruire la chiesa-comunione e di condurre il dialogo della salvezza con un’apertura universale.

Concludo con l’augurio finale di Chiara Lubich: "Se i sacerdoti vivranno in comunione con Maria, ella, madre dell’unità, svelerà loro come va ordinata nei cuori e fra i cuori la carità, come va edificato il corpo di Cristo secondo quell’eterno supremo dialogo d’amore che è la Santissima Trinità".25

Thomas Norris