Un cuore largo come quello di Dio

di Carlo Malavasi

Un sacerdote si rende conto che ogni persona, praticante o no, è una storia sacra. Cambia lo sguardo sulla pastorale: non si possono far differenze. Si tratta di mettere in atto un ascolto profondo, senza il desiderio di convertire. E tanti scoprono il vangelo.

Ho incontrato la spiritualità dell’unità da seminarista, all’età di 22 anni. è stato un incontro che ha cambiato la mia vita. Attraverso una semplice testimonianza, ho scoperto in modo folgorante che Dio è Amore e per la prima volta ho provato una pace che non conoscevo e che dura tuttora.

Ero tanto affascinato da questa scoperta che dicevo a tutti: Dio ti ama immensamente! Certo di questa verità ancora oggi, mi accorgo che ogni persona, praticante o no, è una storia sacra. E allora nell’attività pastorale mi sforzo soprattutto di lasciare posto a Dio. Ho sperimentato infatti che è lui che converte le persone e che io devo soltanto amarle gratuitamente, rinunciando al desiderio di cambiarle.

Mi ricordo di un dialogo. Una donna mi precisa subito che non intende confessarsi, non è pentita; vuole solo sfogarsi, non le interessa neppure il mio parere. Mi racconta che vive fra due affetti, ma da entrambi ricava solo sofferenza, una lunga serie di sconfitte. Ascolto in silenzio. Ad un tratto mi chiede: "Lei cosa ne pensa?". "Non pensavo a nulla - rispondo - ero perso con lei in questo suo vivere difficile". Poi, ascoltando quella voce che è in me: "Sì, qualcosa da cambiare lo vedrei...". E lei di contro: "Anche lei è il solito prete che mi dirà di lasciar perdere, di tornare alla mia famiglia...". "No, non pensavo a questo... - le rispondo -. Vedi, hai dato il tuo amore ad un uomo, e non sei stata contenta, poi ad un altro e non sei contenta. L’amore va dato a Dio, lui solo va amato con tutto il cuore. è anche la mia esperienza. Io non ho dato il mio amore al sacerdozio, ma a Dio". Ad un tratto mi dice: "Voglio provare, mi dia l’assoluzione".

La certezza del lavoro di Dio nel cuore delle persone mi spinge ad ascoltarle senza pensare a nulla mentre parlano. Piuttosto mi lascio invadere senza riserve dai loro problemi, fino ad essere sicuro che l’altro sia entrato dentro di me. Sovente capita che le persone, liberate dal loro peso, riescano già da sole ad intravedere il lavoro di Dio dentro di loro e a cogliere quella "luce" che è la soluzione alle loro domande. Alla fine, perché siano più contente, le invito ad un gruppo della Parola di vita, specificando che non c’è intenzione di condurle alla pratica religiosa.

Dopo appena quattro anni, sono circa 200 le persone che una volta al mese vengono in parrocchia per approfondire a piccoli gruppi il vangelo. Ascoltano la lettura della Parola di vita commentata da Chiara Lubich e poi fanno uno scambio di esperienze. Ben oltre la metà non ha nessuna pratica religiosa e circa un terzo vive situazioni familiari non regolari. Colgono uno speciale clima di gioia che dapprima le rassicura, poi le coinvolge.

Ricordo Antonio, un uomo molto retto, ma non credente. Convive con Silvia, divorziata, che da poco si è avvicinata alla fede. Si commentava quel mese la Parola della donna malata che tocca il mantello di Gesù e viene guarita. Marco dice: "Io non so se Gesù è Dio. Però venendo qui, mi sembra di toccare il suo mantello, perché vengo sempre guarito dalla mia tristezza. Inoltre qui non sento differenza fra chi va in chiesa e chi non ci va. Voi non fate differenze".

Tutti sono certissimi che non vogliamo imporre nulla, si sentono liberi di raccontare anche i loro dubbi, i fallimenti personali o di famiglia o di lavoro, la loro ricerca. E a poco a poco passano a narrare i primi gesti di amore agli altri.

Una quindicina di loro frequentano ora la messa quotidiana e tre coppie hanno scelto di sposarsi in chiesa dopo anni di convivenza o di matrimonio con rito civile. Alcuni sono diventati sensibili alla comunione di beni e donano quanto hanno di superfluo, chi regolarmente, chi occasionalmente.

Concludo con un’esperienza recente. In parrocchia esiste un circolo ricreativo eretto da persone animate, per motivi storici, da sentimenti di ostilità alla chiesa. Nessuno mi accoglieva in casa, tutti facevano il funerale civile... Ho iniziato ad amare questo circolo, che essi considerano la loro comunità, come amo la mia chiesa, ho fatto visite frequenti. A Natale porto la stessa candela da accendere in famiglia che distribuisco in parrocchia. Ora va molto meglio, ma ancora non desiderano la benedizione pasquale e continuano i funerali civili.

Si sa che per un sacerdote non è facile posporre il desiderio che gli altri conoscano Gesù, ma ho riscelto Gesù abbandonato come unico bene e con slancio mi sono interessato delle difficoltà per la nuova sede che vogliono costruire. Poco alla volta mi rendevo conto che non eravamo più io di qua e loro di là; io ero come passato dalla loro parte. Eravamo uno. Quando ci siamo lasciati la vicepresidente a sorpresa mi ha detto: "Lei preghi per noi". Cos’era successo? Non so. Forse Gesù abbandonato era stato ponte fra Cielo e terra e li aveva uniti a Dio... forse anche attraverso la mia umanità.