Insieme oltre la morte

di Etienne Catzeflis

Per circostanze quasi casuali, un seminarista viene in contatto con un bambino musulmano gravemente malato e la sua madre adottiva, agnostica. inizia un cammino comune, nel rispetto dell’identità di ciascuno.

Nell’estate del ’97 ho fatto conoscenza della madre adottiva di Medhi, bambino tunisino di 10 anni, che da vari anni veniva a Ginevra per cure contro il cancro. La signora Luise, sapendo che io ero seminarista, mi ha detto senza mezzi termini di non essere credente e che, più dei discorsi, rispettava coloro che si mettono al servizio degli altri.

Era umiliante sentirsi giudicato in questo modo a causa della propria fede, ma non volevo fermarmi davanti a questo ostacolo. Riconoscevo in questa donna generosa un dolore che mi pareva essere quello di Gesù stesso che in croce ha perso tutto. Ho preso dunque la decisione di mantenere il contatto con Medhi e la sua famiglia di adozione e di far loro sentire la mia amicizia, attraverso qualche telefonata o cartolina e anche con brevi visite, nel limite del possibile. Così a poco a poco la fiducia di Luise cresceva: mi parlava della sua preoccupazione per l’avanzare della malattia e spesso mi chiedeva consigli. Soprattutto aveva bisogno di essere ascoltata.

Un giorno mi disse: "Medhi morirà fra poco! Vieni a Ginevra, perché egli vorrebbe essere preparato alla morte; vuole sapere che cosa ci sarà dopo. Io non lo so fare. Tu credi in Dio e così anche lui, come musulmano. Aiutalo tu!".

Appena possibile, ho trascorso un pomeriggio con loro. Erano passati alcuni giorni e la situazione nel frattempo era cambiata. Luise mi diceva che Medhi non voleva più sentire parlare di morte e cercava solo di imparare tante cose e di giocare: voleva vivere! Sentivo dentro di me un grande dolore: Medhi era così vicino alla morte, il grande passaggio, ed io non ne potevo parlare con lui. Sia lui che lei sembravano fuggire la realtà. Ho passato tutto quel pomeriggio a giocare con Medhi e a parlare di tante cose che egli voleva scoprire. Alla fine, con tanta semplicità, abbiamo potuto parlare della morte, della sua malattia, della fiducia in Dio, della vita dopo la morte. Ha trovato una grande pace e sicurezza.

Dopo qualche giorno è entrato in coma. Continuavo a telefonare a Luise per sostenerla, finché lei ha potuto dire a Medhi (nel coma): "Se vuoi partire, ti lascio, non lottare per me, sono sicura che ci ritroveremo un giorno". Il giorno dopo Medhi è morto.

Luise mi ha chiesto di organizzare un momento di preghiera per tutti gli amici in Svizzera, prima del funerale in Tunisia. Era una cosa molto delicata. Ci sono voluti due giorni di colloqui con varie persone per poter rispettare la sensibilità di tutti: gli amici cristiani, gli agnostici e la comunità musulmana. Cercavo di vedere in ogni ostacolo una chiamata a riconoscere Gesù sofferente nella disunità. Alla fine si è tenuta un’ora intera di preghiera, canti, condivisione tra amici, cristiani, musulmani e la famiglia adottiva che è agnostica. Alcuni giorni dopo, il responsabile musulmano ha voluto parlare con me. E’ stato un colloquio molto cordiale e per ben tre volte mi ha abbracciato.