Diverse religioni una sola umanità

di Enzo Maria Fondi

Enzo Maria Fondi, medico e sacerdote, È uno dei primi focolarini e membro della "scuola abbà", il centro studi dei focolari. Da molti anni, assieme a Natalia Dallapiccola, Al Centro del movimento è incaricato per il dialogo interreligioso. La sua testimonianza offre una lettura sintetica dell’esperienza assai rilevante dei focolari in questo campo.

È importante e significativo che questa conversazione vada sotto il titolo di testimonianza. In effetti non sarà tanto il frutto di una riflessione teologico-pastorale, quanto l’esposizione di fatti, di avvenimenti che hanno segnato le tappe di un dialogo che oggi come mai è di attualità. Non come "moda" – permettete questo gioco di parole nella lingua italiana – ma come modo di essere della Chiesa di oggi come lo è del Movimento dei focolari.

Il dialogo interreligioso è uno di quei campi in cui la spiritualità dei Focolari si esprime aprendo orizzonti e vie nuove proprio a partire dai suoi due cardini che sono Gesù crocifisso e Abbandonato e l’unità.

Il momento fondante

Ma, prima di tutto, un po’ di storia, per puntualizzare quegli eventi che hanno avuto quasi un sapore profetico.

Molte sono state, fin dagli inizi del Movimento, le occasioni di incontro con fratelli e sorelle di altre fedi religiose. Ma la prima forte esperienza fu quella vissuta da Chiara in una sperduta valle dell’Africa camerunese, a contatto con una tribù quasi sterminata dalla mortalità infantile che, dietro invito del vescovo, stavamo iniziando ad assistere con un ospedale, una scuola, e aziendine locali. Era una tribù fortemente radicata nella religione tradizionale. Con il suo re, il Fon, e con le migliaia di membri della comunità tribale si instaurò un rapporto di fraternità, di stima e di intesa spirituale. Un giorno, per una festa, tutti si radunarono in una grande radura della foresta per i loro canti e le loro danze e lì Chiara ebbe la forte impressione che l’Amore di Dio, come un immenso sole, abbracciasse tutti e ci facesse uno. Per la prima volta nella sua vita Chiara intuì che il carisma datole da Dio poteva essere una forza soprannaturale di coesione fra cristiani e fedeli di altre religioni.

Ma l’evento in qualche modo "fondante" del nostro dialogo interreligioso fu il Premio Templeton per il Progresso della Religione, che venne assegnato a Chiara nel 1977. A Londra, dopo il suo discorso alla cerimonia nella Guildhall davanti a rappresentanti qualificati delle grandi religioni mondiali, ebbe la profonda sensazione che tutti i presenti fossero una cosa sola, anche se di fedi diverse. Cercando una spiegazione a tutto questo, Chiara pensò che forse dipendeva dal fatto che la maggior parte dei presenti avessero una viva fede in Dio e che Egli, anche qui, ci avvolgesse col suo amore.

Quando uscì dalla sala i primi a salutarla furono proprio gli appartenenti ad altre religioni: buddisti, musulmani, ebrei, sikhs, induisti, ecc. Chiara intuì che questa circostanza dava al Movimento una nuova apertura: avremmo dovuto da allora in poi cercare di portare il nostro spirito, il nostro amore, la nostra vita, non solo nelle altre Chiese o Comunità ecclesiali cristiane, ma anche a questi nostri fratelli di altre fedi.

Dopo l’intuizione iniziale i primi sviluppi

Dopo l’intuizione iniziale si era in attesa di qualche fatto significativo nel quale scorgere la mano di Dio, per iniziare quel dialogo che era sentito ormai parte integrante degli scopi del Movimento.

Questo "segno" fu l’incontro di Chiara due anni dopo con il reverendo Nikkyo Niwano, una personalità buddista, nota nei circoli interreligiosi mondiali, per aver fondato in Giappone una fiorente associazione laica buddista, la Rissho Kosei-kai, con sei milioni di membri, e per aver contribuito alla fondazione della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP). Quest’incontro segnò l’inizio concreto del dialogo con le altre religioni e in particolare col buddismo.

Il rev. Niwano invitò Chiara a Tokyo a parlare della sua esperienza spirituale nella Grande Aula Sacra della Rissho Kosei-kai il 28 dicembre 1981 a migliaia di fedeli buddisti. Anche lì un’impressione nuovissima che Chiara annotò nel suo diario:

"È stato come non avessi mai parlato così. Mi sembrava che Dio fosse lì. Il pubblico era come un terreno ben arato, così preparato che il seme andava fino in fondo. E ho annunciato Gesù e la Trinità! E tutto era accolto come da chi non brama che sentire queste cose. (...) E che impressione unica ripetere a quelle persone, che non le conoscono, le parole di Gesù: "Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati" (Mt 10, 30), "Date e vi sarà dato" (Lc 6, 38), "Chiedete ed otterrete" (Cf. Mt 7, 7). Non sapevano di essere così amati; ora lo sanno. Qui c’è un avvenire per Gesù, per la Chiesa".1

Iniziava così nei rapporti con varie tradizioni religiose una serie di innumerevoli incontri a livello mondiale che avrebbero avuto sviluppi impensati. Basti pensare a quanto è accaduto negli ultimi due anni. Avvenimenti che Piero Coda ha condensato in ben tre libri di appunti di viaggio in Oriente ed in America con Chiara.2

Con il monachesimo buddista in Thailandia

È difficile riassumere in poche parole i fatti più salienti di questi viaggi. Attraverso varie circostanze in questi ultimi anni abbiamo avuto un contatto profondo con due monaci buddisti della Thailandia, ambedue maestri di meditazione, che sono venuti a trovarci qui a Roma ed hanno trascorso un periodo nella cittadella internazionale del Movimento a Loppiano presso Firenze. In seguito hanno invitato Chiara in Thailandia.

Il più anziano dei due, Ajahn Thong, raccoglie intorno a sé migliaia di discepoli ed è molto stimato anche dalla casa reale del suo Paese. Tornato in patria, è diventato un apostolo del dialogo col cristianesimo. Presentando Chiara all’Università di Chang Mai e al suo tempio, diceva: "Quando qualcuno accende una luce, non ci si domanda se esso sia uomo o donna, adulto o bambino. Chiara è qui per donarci la sua luce".

Un episodio toccante è stata la loro visita qui in Italia ad una chiesa nel comune di Nemi, a poca distanza da qui. Lì si venera un crocifisso scolpito in legno in modo molto bello e realistico. Bisogna sapere che per la tradizione spirituale e la sensibilità popolare buddista la figura del crocifisso è rifiutata e quasi ripugnante perché segno di violenza e di crudeltà. Ebbene, per la prima volta nella loro vita, i due maestri buddisti capiscono che quella immagine è espressione dell’amore più grande di un uomo che dà la sua vita per amore degli uomini. E così fu forte e positiva anche l’impressione di fronte alla deposizione e al gesto di Maria che tiene il Figlio morto sulle sue ginocchia. La conclusione è stata: "Questa è la vera compassione, questo è l’amore che tutti dovremmo avere".

Ho ancora davanti agli occhi quella folla di monache buddiste nelle loro vesti bianche e le teste rasate che si affollano intorno a Chiara, dopo il suo discorso a Chang Mai in Thailandia. Una di loro le dice: "In più di ottant’anni ed in tutti gli anni passati in India non ho mai ascoltato delle cose così belle".

Il frutto di quel viaggio è stato l’apertura di due centri del Movimento sul posto per mantenere i contatti con il mondo buddista, contatti che avevano avuto il loro punto più alto nell’udienza concessa a Chiara dal Supremo Patriarca del Buddismo thailandese a Bangkok, una persona molto profonda e spirituale che ha aperto le porte a Chiara e al Movimento per la collaborazione futura e l’approfondimento del dialogo iniziato.

L’altro monaco, il più giovane, che ha chiesto a Chiara un nome nuovo ed ha avuto quello di "Luce ardente", si mantiene in continuo contatto epistolare con lei che considera sua madre spirituale. è ora a capo di un monastero nelle montagne nel Nord e l’ha ristrutturato creando ambienti per ospitare i focolarini quando vanno a trovarlo. Ha scritto in una sua lettera: "Ho conosciuto l’amore vero dei fratelli cristiani. L’amore si capisce dall’amore, si risponde all’amore con l’amore".

Con gli ebrei nostri fratelli maggiori

E ora vogliamo dire due parole sui rapporti col mondo ebraico. L’ultimo libro di Piero Coda ha un titolo che indica l’avvenimento di dialogo più importante di Chiara in America Latina nello scorso aprile: "Le luci della menorah". La menorah è il candelabro ebraico a sette braccia ed è un simbolo sacro dell’ebraismo. Come si è arrivati a quell’incontro con la comunità ebraica in Argentina?

È tutta una storia quella dei nostri contatti con i fratelli maggiori, fatta di reciproci gesti di amore. E soprattutto da parte di noi cristiani solo un amore nuovo senza le remore dell’antisemitismo può farci perdonare 2000 anni d’inimicizia, di persecuzioni, di disprezzo.

Dopo i vari rapporti con rabbini e semplici fedeli in USA, in Francia, in Israele, maturò due anni fa l’idea di ritrovarci insieme qui al Centro Mariapoli di Castelgandolfo. Fu un incontro di vero dialogo e di gioia. Imparammo ad esempio dal Rabbino Rosen di Gerusalemme perché il secondo comandamento è uguale al primo. Molto tempo prima di noi se l’erano domandato tanti rabbini e la conclusione di Rabbi Akiva fu che l’unico motivo sta nel fatto che l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, per cui amare l’uomo significa amare Dio.

Ma la nostra gioia fu di vedere come, pur di tendenze così diverse fra di loro (c’erano i "liberali" e gli "ortodossi", ma anche i non praticanti), tutti si sentivano affratellati e attratti dal carisma dell’unità, dal dono di Dio condiviso. E fu una scena commovente, alla fine dell’incontro, quando una di loro propose un patto d’amore scambievole che fu subito accettato e che fece esplodere una grande gioia. Come dice un detto della tradizione ebraica anteriore ai Vangeli: "dove due o più sono uniti in nome della Torah, lì fra loro è la shekinah" e cioè la gloria di Dio.

Questa stessa cosa, quest’atmosfera si è ripetuta alla fine dell’incontro di Chiara a Buenos Aires e quell’abbraccio di riconciliazione fra ebrei e cristiani, a detta di una personalità ebraica presente, sembrò cancellare di colpo secoli di umiliazioni e di divisioni.

Ma cosa aveva detto Chiara di così forte e significativo? Vi riporto solo un brano del suo discorso, quando, facendo un parallelo fra la spiritualità ebraica e la nostra, parlò del dolore di Gesù sulla croce, gridato con quelle parole del Salmo 22, che per noi sono divenute così pregnanti:

"Mi ha commosso ciò che scrive un ebreo contemporaneo, recentemente scomparso, riguardo al Salmo 22. "Quale migliore personificazione si può trovare per il popolo ebreo di questo povero Rabbi di Nazareth?".3

Questo autore ebreo vede in quel grido di Gesù anche e soprattutto i dolori della Shoah, e dice: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? non è soltanto il Salmo di David e una parola di Gesù sulla croce, ma, direi quasi, il leitmotiv di coloro che furono deportati ad Auschwitz e Maidanek" . E continua: "Non è questo rabbino, che muore dissanguato sulla croce, l’autentica incarnazione del suo popolo sofferente, troppe volte ucciso sulla croce da quell’odio antiebraico, che noi pure abbiamo dovuto sperimentare nella nostra giovinezza?".

Eppure – continua Chiara – quel dolore indicibile della Shoah e di tutte le più recenti e sanguinose persecuzioni non può non portare frutto. Noi vogliamo condividerlo con voi, perché non sia un abisso che ci separa, ma un ponte che ci unisce. E che diventi un seme di unità. Sì, di unità!

Questa è la parola riassuntiva della nostra spiritualità, come lo è dei desideri di Gesù nel suo testamento: "Che tutti siano uno" (cf. Gv 17, 21)".

Dopo l’applauso commosso, al ritmo del salmo ebraico, prendendosi tutti per mano, hanno cantato "quanto è bello e quanto è giocondo che i fratelli abitino insieme!".

Il Presidente della B’nai B’rith ("I figli dell’Alleanza"), il dott. Kopec, diceva: "Con Chiara ci siamo detti che abbiamo cominciato" e il dott. Burman, dell’Amicizia ebraico-cristiana: "Il giorno tanto atteso è arrivato; il sogno si è compiuto, ora dobbiamo andare avanti".

Con il mondo musulmano

Ma poiché siamo in tema di religioni abramitiche, parliamo dei musulmani. Risulterà forse incredibile quello che sto per dire, ma è una realtà vissuta e sperimentata quello che è accaduto nei nostri rapporti col mondo islamico.

Anche qui bisogna cominciare con un po’ di storia.

Circa 30 anni fa un benedettino, che aveva costruito una piccola abbazia in stile arabo in un paese del Nord Africa con lo scopo di farne un centro di dialogo fraterno, dovette lasciare il paese e ci chiese se volevamo trasferirvi un focolare. Fu così che cominciò la nostra avventura in un paese islamico in cui i cristiani si potevano contare sulle dita. Ma la testimonianza dei focolarini colpì un imam del posto e la sua famiglia. Cominciò così un primo contatto di amicizia e di stima reciproca.

Nonostante questo, ci sembrava per la verità un po’ sprecato un focolare con poca o nessuna possibilità di irradiazione e molti insistevano con Chiara perché trasferisse il focolare in luoghi più promettenti. Ma Chiara si oppose e solo oggi possiamo spiegarci come mai. è nata infatti, attorno a quel piccolo centro, una nuova realtà fortemente radicata nel mondo islamico. Si cominciò con un’esperienza che, pur essendo una cosa del tutto nuova, fu accolta con grande interesse dalla Conferenza episcopale della regione. Si pensò di invitare gli amici musulmani per una vacanza estiva sullo stile di quelle che vengono chiamate "Mariapoli vacanza" e cioè convivenze caratterizzate da una grande fraternità e da uno spirito di comunione.

Ogni giorno veniva scelta una Parola di vita dalla Bibbia per i cristiani e, per i musulmani, una frase del Corano o un hadith (dalla raccolta dei detti di Maometto) che illustravano quel particolare aspetto spirituale che si voleva mettere in pratica e che poteva servire di base per lo scambio di esperienze. Già la sola scelta di queste frasi, fatta insieme, costituiva un momento importante dell’incontro e dello scambio.

L’esperienza, fatta in quei giorni, a detta dei partecipanti, è rimasta scolpita nei loro cuori, per la luce, la fede viva, il rapporto nuovo fra tutti.

Questi incontri si sono ripetuti ogni anno con un numero sempre più grande di partecipanti che poi desideravano rimanere in contatto col focolare per approfondire quella vita di unità che tanti lì affascinava. Intanto, anche in altri paesi si moltiplicavano i contatti, tanto che otto anni or sono gli amici musulmani proposero di incontrarsi in questo Centro Mariapoli.

Sono stati incontri di alcune centinaia di musulmani in rappresentanza dei circa 6.000 che sono in contatto col Movimento. Anche i cattolici che partecipavano erano sorpresi ed edificati dall’atmosfera che trovavano. Tutti avvertivano la presenza del divino.

In fondo cos’è che si fa in questi incontri? Sono in gran parte loro, i nostri amici, a comunicare le loro esperienze fatte in famiglia, a scuola, al lavoro vivendo quell’amore che è il fulcro della nostra spiritualità e che loro chiamano: "l’ideale di Chiara". Nella sua essenza non sembra loro contrastare con i principi fondamentali dell’Islam.

Nel 3° incontro del giugno 1998, un ruolo centrale l’ha avuto l’intervento di Chiara che ha tracciato un parallelo fra alcuni aspetti della spiritualità del Movimento e vari brani del Corano e della tradizione islamica.

Si tratta di convergenze che la maggior parte dei partecipanti avevano già potuto intuire nella pratica del vivere quotidiano. Ma il discorso di Chiara è stato per molti di loro una "rivelazione". Scoprivano quel senso profondo del Corano e della più genuina tradizione islamica in cui tutti si riconoscevano. Partendo dalla "regola d’oro" comune a tutte le religioni, Chiara Lubich si è addentrata all’interno della spiritualità islamica, negli aspetti che abbiamo in comune, quali l’amore di Dio, l’amore al prossimo, l’unità, e Maria, la madre di Gesù e modello di tutti i credenti.

Chiara ha anche sottolineato la nascita di un’Opera che abbraccia ogni tipo di fedele, ogni uomo e nella quale il rapporto fra cristiani e musulmani sarà particolarmente forte, per dare testimonianza che un mondo unito nei più alti valori è finalmente possibile. Da sottolineare che anche gli Statuti generali del Movimento dei focolari contemplano la presenza attiva, nel Movimento, di fedeli di altre religioni che vengono definiti come "collaboratori".

Gli echi a questo intervento di Chiara sono stati estremamente positivi tanto che hanno voluto scriverle un messaggio nel quale si diceva tutta la gioia e la gratitudine di poter partecipare al grande dono di Dio che è l’unità.

L’incontro è stato vissuto come un evento sacro e con un alto livello spirituale, scandito anche dai due momenti di preghiera durante la giornata. Come diceva uno di loro: "Poter essere qui, nel cuore della cristianità, e pregare con altri fratelli musulmani, mi è sembrato il segno più grande che abbiamo lo stesso Padre".

Come in ogni incontro del Movimento, anche questo è stato caratterizzato dalla grande varietà dei partecipanti: dall’umile marocchino extracomunitario dalla fede semplice e profonda, all’alto ufficiale dell’esercito pakistano, dalla teologa di grande valore alla madre di famiglia, dal giovane studente al docente universitario.

Il commento più forte e appropriato è stato quello di un giovane studente del Marocco: "Se mi chiederanno cosa ho fatto a Roma, dirò che ho incontrato Dio". Tutto questo non ci deve meravigliare. Come ha detto Giovanni Paolo II:

"Il frutto del dialogo è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio... Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio".4

La chiave del dialogo

Se ora a distanza di anni ci si domanda come mai il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari abbia avuto un’evoluzione così rapida e feconda, una prima risposta la troviamo nelle intuizioni del Concilio Vaticano II.

Presentando lo Spirito Santo come il protagonista della missione cristiana, il Decreto Ad Gentes spiega che egli "chiama tutti gli uomini a Cristo attraverso i semi del Verbo e la predicazione del Vangelo" (n. 15).

Sono questi i due elementi: semi del Verbo in tutte le culture e Parola di Dio vissuta nella testimonianza del Focolare, che per la loro sinergia hanno attratto molti fedeli di altre religioni.

C’è però un aspetto della sua spiritualità che è, più di ogni altro, la chiave per comprendere alla radice il senso e il frutto del dialogo interreligioso del Movimento: Gesù crocifisso e abbandonato.

Fin dagli inizi e cioè fin dal suo primo viaggio in Estremo Oriente, Chiara, avvertì che "sui fedeli delle religioni orientali quel tipico dolore di Gesù, che l’ha portato all’annientamento totale, suscita un fascino tutto particolare". Forte l’esperienza che Chiara annota nel suo diario:

"Notai che quando qualcuno muore a se stesso per "farsi uno" con loro e lascia con ciò vivere Cristo in sé, o quando vengono a contatto col Risorto in mezzo a cristiani uniti, frutto anch’esso dell’amore alla croce, sanno distinguere quella luce e quella pace, effetti dello Spirito, che irradiano dal loro volto; ne sono attratti e chiedono spiegazione".5

Finora gli strumenti della spiritualità cristiana hanno permesso incontri e scambi profondi con quella buddista, attingendo alla dottrina e alla prassi dell’ascetica tradizionale. E lo dimostrano le esperienze di dialogo inter-monastico così gratificanti e promettenti. Ma quello che è accaduto in Thailandia ha fatto sì che il buddismo e il suo cosiddetto "ateismo" potessero confrontarsi con una spiritualità che ha fatto proprio cardine essenziale Gesù abbandonato e cioè "un Dio che – come dice Chesterton – è apparso per un momento ateo".6

Così quei maestri di meditazione vipassana, e quelle guide autorevoli sul sentiero del nirvana, hanno intravisto attraverso un "nulla d’amore" vissuto concretamente da cristiani, quel "Tutto d’amore" che si rivela ai puri di cuore.

Come ha detto un grande studioso di religioni:

"il buddismo ha bisogno di essere compreso all’interno di una profonda esperienza religiosa, ha bisogno di uno sguardo mistico, perché venga riconosciuta la verità di cui si fa portatore".7

Quattro dimensioni del dialogo interreligioso

A mo’ di conclusione e per lasciarci guidare nel descrivere in sintesi il nostro dialogo interreligioso, prendiamo un momento in considerazione il paradigma proposto dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

Lo trovo uno schema molto utile per rispecchiarsi nelle sue quattro modalità:

1) La forma più elementare, e forse anche la più impegnativa, è quella chiamata: dialogo della vita. è quello che si pratica nell’esistenza quotidiana che ci mette a contatto con fedeli di altre religioni. E le occasioni si moltiplicano sempre di più. è il grande campo in cui siamo chiamati a vivere quell’arte di amare cristiana che Chiara ha riassunto in quattro punti e che sono perfettamente condivisibili da tutte le tradizioni religiose, cosa che abbiamo potuto constatare in tutti i nostri incontri.

Come vedete non sono che una "inculturazione" del vangelo in un linguaggio che tutti possono accettare e vivere:

Amare tutti: al di là di ogni sentimento o pregiudizio legato alla razza, alla nazionalità, al carattere, alla parentela, alla simpatia o all’antipatia ("perfetti come il Padre...");

Amare l’altro come sé: è la "regola d’oro" comune a tutte le religioni;

Amare per primi: non aspettarsi nulla, ma cominciare col fare il primo passo o anche farne 99 su 100 se l’altro ne fa solo uno (Dio ci ha amato per primo);

Farsi uno: è la caratteristica di questa spiritualità. "Farsi uno" con l’interlocutore non è una tattica o un modo di fare esterno; non è solo atteggiamento di benevolenza, di apertura, di simpatia, di stima e di rispetto, un’assenza di giudizi e di pregiudizi. è tutto questo e qualcosa di più.

Questa pratica del "farci uno" con gli altri non è cosa semplice. Afferma un teologo anglicano esperto nel dialogare con le religioni mondiali:

"Conoscere la religione dell’altro significa qualcosa di più dell’essere informato sulla sua tradizione religiosa. Implica entrare nella pelle dell’altro, camminare con le sue scarpe, vedere il mondo come l’altro lo vede, porsi le domande dell’altro, penetrare nel senso che ha per l’altro essere indù, musulmano, ebreo, buddista o altro".8

2) Tornando allo schema ufficiale del dialogo, un altro aspetto è il dialogo delle opere, cioè la collaborazione in organismi interreligiosi e in azioni di solidarietà, per la pace, per i diritti umani, contro la fame e la povertà. Qui potremmo raccontare un’esperienza quasi ventennale con la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace di cui Chiara è uno dei Presidenti onorari.

3) C’è poi un dialogo degli esperti che viene portato avanti da studiosi delle varie religioni. All’inizio fra noi non c’erano persone particolarmente competenti, ora invece abbiamo un discreto gruppo di esperti, che fanno parte anche del nostro centro studi, la Scuola Abbà, in cui, alla luce della spiritualità, si apprezzano e vengono messi in luce i semi del Verbo, quei raggi dell’unica verità presenti nelle varie religioni e che sono un arricchimento per la stessa comprensione della nostra fede.

Rendendosi conto di quanto sia importante per il dialogo la conoscenza della religione altrui, Chiara Lubich ha promosso ovunque scuole di formazione e di studio per i membri del Movimento.

4) E finalmente abbiamo il dialogo dell’esperienza religiosa. Su questo vorrei spendere una parola di più, perché ci trova in perfetta consonanza con quanto il Magistero ha recentemente sottolineato. Parlando ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Giovanni Paolo II ha detto:

"Il tema della spiritualità costituisce un naturale punto di incontro fra seguaci di diverse tradizioni religiose e un argomento profondo di dialogo interreligioso. (...) Il "dialogo della spiritualità" costituisce una forma essenziale ed elevata di dialogo fra uomini e donne di differenti esperienze religiose. (...) Sebbene il dialogo possa assumere altre modalità, (...) il dialogo della spiritualità può contribuire a quella profondità e qualità che preserverà le altre forme di dialogo dal rischio di un puro attivismo.

Questo dialogo della spiritualità richiede una spiritualità di dialogo e cioè una visione capace di sostenere gli sforzi di promuovere buone e armoniche relazioni fra seguaci di diverse religioni".9

Si può capire come con il dialogo dell’esperienza religiosa si arrivi alla radice, all’essenza del vero dialogo e al suo fondamento teologico che è la presenza nascosta ma operante del mistero di Cristo nelle altre tradizioni religiose. Nello scambio che si attua in questa forma di dialogo animato dalla carità più profonda è Cristo che si comunica.

Il Sinodo dei Vescovi del 1985 affermava:

"Il dialogo autentico tende a far sì che la persona umana si apra e comunichi la sua interiorità al suo interlocutore", cosicché "Dio può servirsi del dialogo (...) come via per comunicare la pienezza della grazia".10

È questa forse la chiave per comprendere e partecipare a certe esperienze di dialogo interreligioso che si realizzano là dove c’è autentica reciproca comunione, perché tutto nasce da un amore che è pronto a dar la vita, ad affrontare e superare fallimenti e chiusure, dove si ricerca sinceramente ciò che ci unisce e dove è certamente all’opera lo Spirito Santo il quale solo fa sì che "tutti siano uno e che l’unità sia moltitudine".11

Vorrei concludere con le parole di Giovanni Paolo II dal suo libro "Varcare le soglie della speranza". Sono parole che il Papa dice a proposito del dialogo ecumenico ma si possono estendere, penso, al dialogo interreligioso:

"Deve giungere il tempo in cui si manifesti l’amore che unisce. Numerosi indizi lasciano pensare che quel tempo sia effettivamente giunto".

Enzo M. Fondi