Servire con anima larga la Chiesa

Di Lajos Javorka (Ungheria)

Nella spiritualità dell’unità un buon numero di sacerdoti in Ungheria hanno trovato la via non soltanto per instaurare tra loro una vera vita di famiglia, ma anche lo stimolo per dedicarsi con grande generosità alle vocazioni ed agli altri sacerdoti, a cominciare da quelli che stanno vivendo momenti di crisi.

Il giovedì di ogni settimana ci incontriamo con altri sacerdoti che vivono la spiritualità dell’unità. Alcuni sono parroci, altri formatori in seminario, un altro ancora insegna teologia pastorale. Cerchiamo di trovarci già il mercoledì sera in modo da poter trascorrere insieme 24 ore. È bello fare qualcosa con spirito di famiglia: una gita, comprare vestiti, vedere cosa sarebbe utile per la nostra casa, la nostra stanza. È bello, ma è sempre anche una sfida comunicare agli altri quello che noi viviamo, lasciare che gli altri possano entrare nella nostra vita personale. Abbiamo visto però che, quando facciamo spazio agli altri, Dio dimora in noi, Dio viene a noi.

A volte mi porto dentro qualche problema o semplicemente qualche domanda. Come sacerdote sarei portato a risolvere tutti i problemi da solo, ma il rapporto con gli altri sacerdoti con cui condivido l’ideale dell’unità mi fa capire che cercare soluzioni da solo non è la cosa migliore; bisogna riflettere ed agire con gli altri. Ho visto che è importante dire apertamente quello che vivo; donandomi in questo modo agli altri, ho spesso sperimentato che Dio, nei modi più impensati, ha preso lui in mano le cose e le ha portate avanti nel modo migliore.

Con uno di quei sacerdoti quasi ogni giorno ci telefoniamo per 5 minuti. Ho notato che spesso gli chiedevo soltanto: "Come va?"... In questi ultimi tempi, cerco di dire subito qualcosa dall’anima, come va in questo momento il mio rapporto con Dio, cosa soffro, cosa sto vivendo in quel giorno, e non soltanto quello che mi capita durante la giornata, ma quello che ne è il significato profondo. Ho visto che parlare di queste cose, e delle altre solo dopo, è tanto fruttuoso e fonte di gioia.

Da qualche tempo vivo con un altro sacerdote che conosce anch’egli la spiritualità dell’unità. È molto bello vivere insieme, ma non sempre è facile, perché egli è veramente diverso da me. Non in tutto la pensa come me, non gli danno gioia le stesse cose che danno gioia a me. Ma questo non è un ostacolo all’unità tra di noi. Non lasciamo mai che l’uno o l’altro rimanga fermo sulle proprie idee o posizioni, e così troviamo la via per andare avanti insieme.

Sono grato al carisma dell’unità per molte cose, ma per una lo sono in modo particolare: esso ha suscitato in me un amore appassionato per la chiesa. Il Focolare mi ha fatto questo grande dono: amare di cuore e con un’anima larga la chiesa. E quindi amare e fare con tutta l’anima ciò che vuole la chiesa, quello che il mio vescovo mi chiede.

Qualche anno fa il vescovo mi ha dato il compito di lavorare per le vocazioni. Insieme ad altri sei sacerdoti della diocesi abbiamo organizzato vari ritiri. Il mio lavoro era visitare i seminaristi che erano militari, perché da noi allora era obbligatorio prestare servizio militare per due anni. Spesso questo impegno portava i seminaristi molto lontano da casa, tanto da non avere neanche il tempo di visitare i genitori. Era tanto difficile per loro e così, io e un altro sacerdote, ogni mese, andavamo a trovarli. È nato con loro un bel rapporto con molti frutti: confessioni, colloqui... Ora cinque di loro sono superiori di vari seminari in Ungheria. Spesso ci chiamano e ci chiedono di venire a incontrare i loro seminaristi.

Abbiamo capito, però, che lavorare per le vocazioni non significa soltanto dedicarsi ai ragazzi, ma anche prendersi cura della vocazione di quelli che sono già sacerdoti, e specialmente di quelli che più soffrono: i sacerdoti malati, anziani e quelli che, al sopraggiungere di qualche problema, vanno in crisi e non sono più sicuri della loro vocazione. Attualmente in cinque diocesi dell’Ungheria i sacerdoti che vivono la spiritualità dell’unità animano incontri mensili con i sacerdoti giovani. Prima ancora di svolgere un programma, il loro impegno è volto soprattutto ad essere per gli altri motivo di gioia. Con la grazia di Dio, abbiamo potuto aiutare a rimanere sacerdoti più di dieci preti, che per vari problemi volevano abbandonare il ministero. Ricordo per esempio un sacerdote molto bravo che, per difficoltà col suo parroco, aveva pensato di lasciare il sacerdozio. Con un altro sacerdote, siamo andati ogni giorno a trovarlo; parlavamo molto con lui, anche due, tre ore. Ad un certo punto abbiamo potuto parlare anche col suo vescovo per risolvere il problema. Ora questo sacerdote ha ripreso a lavorare ed è molto contento.