Quotidiana conversione all’unità

di Gregorio Politti

Non di rado sono i piccoli gesti a dare un sapore nuovo alla vita di tutti i giorni. Se sono portati avanti con perseveranza, possono incidere su un’intera comunità. Si rinnovano tanti modi di fare e nascono rapporti più veri.

Vivo da due anni in un collegio a Roma. È un’esperienza interessante ed arricchente. Proveniamo, infatti, da tanti Paesi diversi, dall’America Latina e dal Continente asiatico e c’è una grande varietà di culture e di realtà ecclesiali.

Cerco di far tesoro dell’esperienza di ognuno, ma non posso nascondere che a volte ci sono alcuni aspetti che mi lasciano un po’ scoraggiato. Mi accorgo, ad esempio, di divisioni fra Paesi diversi o anche fra seminaristi dello stesso Paese. Vedo in questa ed in altre difficoltà una speciale opportunità di amare Gesù in croce. E spesso mi ripeto interiormente: "Sei tu, Signore, il mio unico bene".

Sento dentro di me un forte richiamo. È come se qualcuno mi dicesse: Tu hai questo ideale dell’unità. Non puoi accomodarti, non puoi lasciarti frenare dalle paure. Buttati!

E allora cerco sempre di nuovo di amare concretamente, mettendomi a servizio di tutti e facendo ogni sforzo per non giudicare nessuno.

Più compivo questa quotidiana conversione e più forte si faceva dentro di me la spinta ad essere soltanto vangelo vivo. Era come se lo Spirito Santo mi guidasse e mi suggerisse di volta in volta come donarmi con un amore intelligente a Gesù in quel fratello che avevo davanti.

Ricordo alcune esperienze piccole che si sono ripetute in tanti modi e che hanno fatto crollare molte barriere.

Quando qualcuno era malato, cercavo di cogliere la prima occasione per fargli visita; gli portavo qualcosa: un dolce, una buona notizia, un tè se era il caso, e mi mettevo a sua disposizione.

Quando qualcuno mi chiedeva di prestargli un libro o qualcos’altro, cercavo di darglielo subito e di fare il primo passo: andavo nella sua stanza e glielo portavo.

Cercavo anche di essere attento a quelli che mancano del necessario in vestiti, scarpe o altre cose; mi interessavo di loro e condividevo con loro quanto avevo.

Vedevo poi che tante volte a pranzo si formavano gruppi della stessa nazionalità che non si mescolavano mai con gli altri. Ho incominciato a mettermi a tavola non soltanto con quelli del mio Paese, ma anche con tutti gli altri. Spesso mi chiedevano: "Come mai ti metti qui?". Ed era l’opportunità di comunicare loro il motivo del mio agire. Oggi vedo che la maggioranza sta cambiando questo modo di fare.

Tutti questi piccoli gesti hanno fatto in seminario un grande effetto. Vedo che, nonostante i pregiudizi e le divisioni, aumenta il clima di famiglia e di reciprocità. E le conferme sono tante; sono orali e a volte scritte o si esprimono semplicemente attraverso un gesto da parte di compagni e formatori, e dicono come questo stile di vita evangelico contribuisca alla vita del seminario nei più vari settori della nostra formazione.

Ho cominciato da solo e con difficoltà. Oggi constato con gratitudine che l’amore a Gesù crocifisso trasforma tutto e tramuta il dolore e l’indifferenza in amore, gioia, vita.