Come il chicco di grano

di Firmin Niyonemeye

Nella difficile situazione del conflitto etnico in Burundi, un seminarista prende coscienza che essere sacerdote significa conformarsi a Gesù in croce per essere, come lui, strumento d’unità. Rinasce la vocazione.

Mi trovai in parrocchia per un anno di pratica pastorale, quando nel mio Paese scoppiò una guerra da tempo nell’aria per i forti contrasti che andavano dilagando fra le due etnie.

Insegnavo religione in quattro scuole ed ero costantemente a contatto coi giovani. Notai quanto essi, pur in mezzo alla confusione che regnava nel Paese, aspiravano ai valori spirituali. Nacquero bellissimi rapporti con tutti ed ero contento di poter essere, attraverso il dono di me, fonte di speranza per questi giovani. Posso dire che in quell’anno ho avuto chiara, come mai prima, la mia vocazione al sacerdozio. Vedevo, infatti, che cosa significa essere un testimone del vangelo.

L’anno successivo ripresi a studiare, in seminario. Notai ben presto che, per la situazione politica, i rapporti tra noi seminaristi erano profondamente mutati. Non avevamo più gli stessi punti di vista di fronte alla situazione tragica che viveva il nostro popolo. Avevo l’impressione che ciascuno parteggiasse per la propria etnia.

Cominciai allora a domandarmi se non avevo forse sbagliato strada. Non intravedevo, infatti, come in un domani, da preti, avremmo potuto dare una testimonianza comune. Vidi così crollare tutti i miei sogni e mi sembrava che i quattro anni che dovevo ancora passare in seminario sarebbero durati un’eternità. Non me la sentivo di continuare così e decisi di non rientrare in seminario l’anno seguente.

Fu proprio in quel periodo che qualcuno mi propose di fare un anno di vita comunitaria all’insegna della spiritualità dell’unità, per poter riflettere e cogliere quello che Dio veramente voleva da me.

Ancora nei primi giorni di questa esperienza, durante un incontro, presi coscienza della centralità di Gesù crocifisso specialmente per la vita dei sacerdoti. Capii che il sacerdote deve essere un altro Cristo crocifisso ed avere un amore tale da saper attuare quell’unità che Gesù ha portato tra l’umanità e Dio e fra gli stessi esseri umani.

Ripensai immediatamente ai motivi che mi avevano spinto ad uscire dal seminario e mi parve tutt’un tradimento nei confronti di quest’amore infinito di Dio. Egli non mi chiedeva forse in quelle circostanze di essere ancora di più suo strumento e di portare l’unità proprio là dove veniva meno, nel mio ambiente, nel seminario, nel presbiterio, in futuro nella parrocchia...? Capii che Dio mi voleva, in questa via del sacerdozio, come costruttore di unità a partire dalla scelta di Cristo solo e di Cristo crocifisso. Ripresi allora i contatti col mio vescovo e col suo consenso ricominciai a studiare.

Sono ormai un buon numero, nel mio Paese, i sacerdoti che condividono questa spiritualità dell’unità. Attorno a loro, nelle parrocchie, c’è una fioritura di persone che cercano di vivere il Vangelo e si comunicano a vicenda i frutti della Parola vissuta. Sono nate da ciò, in questi anni, testimonianze bellissime. Tanti hanno rischiato anche la vita per salvaguardare l’unità al di là delle barriere etniche. Fu così di un sacerdote, ucciso due anni fa mentre ritornava da una celebrazione eucaristica.

Per questi fatti, i nostri vescovi considerano la spiritualità dell’unità sempre più come una strada privilegiata affinché il Paese possa ritrovare la sua "anima". Viene in mente la parola del vangelo: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto".

E come non ricordare la testimonianza fino al sangue di 40 seminaristi minori di Buta che hanno perso la vita durante un assalto notturno al loro dormitorio! Era stato intimato a quelli di un’etnia di mettersi da parte per essere risparmiati, ma hanno gridato che preferivano morire insieme anziché tradire Cristo, il loro ideale.

Nei giorni seguenti, i primi ad offrirsi per lavorare nei campi del seminario sono stati i cristiani anglicani e pentecostali che vivono vicino al seminario. Erano colpiti da questi giovani che hanno mostrato con la loro vita che l’unità è possibile e che il martirio è ancora attuale. Successivamente il vescovo ha voluto erigere alla loro memoria un santuario dedicato a Maria Regina della Pace.

Sono questi eventi che mi hanno fatto riflettere seriamente sulla mia donazione a Dio come sacerdote e me ne hanno fatto scoprire la fonte: Gesù nella sua offerta totale in croce.