Chiesa-comunione alle soglie del 2000

di Aldo Giordano

Aldo Giordano, sacerdote e docente di filosofia, dal 1995 è Segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) ed è stato uno dei principali organizzatori della II Assemblea Ecumenica Europea che si è svolta nel giugno ’97 a Graz. Da quell’osservatorio privilegiato, nel forum d’apertura del Congresso, ha tratteggiato alcune linee emergenti della vita della Chiesa in questi ultimi anni.

Domenica 29 giugno 1997, in un grande parco della città austriaca di Graz, si concludeva la II Assemblea ecumenica europea che per una settimana aveva riunito più di 10 mila partecipanti di circa 200 Chiese, Conferenze Episcopali ed organismi ecumenici da tutte le nazioni dell’Europa ed anche dagli altri continenti. Attorno a me la festa era grande, ma io in cuore, in quel momento, avevo un problema serio, legato all’organizzazione di cui condividevo la responsabilità, e mi era difficile gioire.

Mi ricordo precisamente l’istante in cui ho fissato la grande croce che dominava il parco ed ho sentito in me questa certezza: sarà il Dio Crocifisso e Abbandonato che realizzerà l’unità tra i cristiani e saranno quelli che avranno il coraggio di seguirlo che saranno strumenti di essa. All’apertura dell’assemblea Chiara Lubich aveva indicato proprio questo segreto per far finalmente "funzionare" tutte le intuizioni ecumeniche maturate in questi decenni. Ed è la considerazione delle vicende dell’umanità e della chiesa in questo momento storico che ci conferma che è giunta l’ora di questo Dio.

Il "perché" dell’umanità

Due questioni, mi sembra, interpellano in modo speciale l’umanità che sta per entrare nel nuovo millennio.

In una terra dove lo spazio e le distanze si vanno riducendo sempre più velocemente, come è possibile un abitare insieme delle "diversità" (di cultura, di religione, di razza…)? Il nostro secolo, cosiddetto breve, ha visto due guerre mondiali, centinaia di sanguinosi conflitti regionali ed il permanere di tragiche ingiustizie. Come è possibile pensare ad una polis (una città) senza cadere nelle forme di totalitarismo che in nome di un potere eliminano le libertà? E come non restare in una incomunicabilità o nel conflitto tra le diversità? Chi ci permette di riconoscere il volto dell’altro nella sua unicità, misteriosità, bellezza, nel suo tralucere l’infinito, in modo da far sorgere la meraviglia e suscitare la mia responsabilità?

Una seconda domanda è ancora più seria. Esiste un senso al vivere ed alla storia? C’è un bene o qualcuno che possa rispondere al mio desiderio di una vita che non finisca, di un amore senza tradimento, di una festa senza tramonto? Oppure il tempo inesorabilmente rapinerà e distruggerà ogni cosa, anche la più sacra, facendola precipitare nella morte? Sono persuaso che dietro a tutto ciò che l’uomo fa, ci sia il tentativo di fermare il tempo per sottrargli la sua forza di corrosione. Ma è possibile fermare il tempo?

Drammi storici e personali sembrano testimoniare che queste domande rimangano senza risposta e che alla fine il destino inevitabile sia la disperazione. Ma dal profondo dell’abisso sempre riemerge un perché. è un "perché" che sorge dall’impressione di essere soli, ma che in realtà è rivolto ad un Altro.

Mi è rimasta in cuore la prima visita che ho fatto al Lager di Dachau negli anni 80. Appena entrati nel campo di concentramento avevamo potuto visitare un museo dove erano documentati i crimini compiuti in quel luogo con foto, testi e filmati. Appena usciti dal museo, mentre camminavamo in silenzio sulla distesa di sabbia bianca dove un tempo c’erano le baracche dei prigionieri, una ragazza che era con me mi ha chiesto improvvisamente: "E Dio dov’era quando succedevano queste cose?". Il silenzio è diventato ancora più profondo, ho continuato a camminare, senza tentare alcuna risposta. Poco dopo abbiamo raggiunto la cappella del monastero in fondo al Lager e abbiamo pregato l’ora media della liturgia. L’introduzione al salmo conteneva l’espressione: "Non ha più bellezza, non ha più splendore, non ha più nulla che attiri i nostri sguardi…" e nel salmo abbiamo letto: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il mio sguardo e quello della ragazza si sono incrociati. In quel perché gridato dal Dio in croce intuivamo la risposta.

La chiesa come "sentinella nella notte"

La chiesa, in questi decenni, ha sentito la sua responsabilità di essere come una sentinella (secondo l’espressione del profeta Isaia) che sa avvistare la presenza del "nemico" (del male), sa ascoltare il grido di aiuto, ma soprattutto sa rintracciare, anche nella notte, i passi e la voce di Dio.

Mi riferisco in particolare alla Chiesa cattolica a cui appartengo. Essa, con il Concilio, diventa cosciente del primato dell’ascolto e dell’annuncio della Parola. C’è una buona notizia per l’umanità che s’interroga sul senso della vita, sul perché del dolore, sull’esistenza dell’eterno. I credenti sono chiamati a riconcentrarsi sull’essenziale, a ritornare dalla periferia al centro, a ripartire dalle origini, da Dio. Dopo il Concilio s’intraprendono con coraggio i sentieri dell’evangelizzazione, della lectio biblica, del rinnovamento liturgico, della riscoperta dei Padri della chiesa, della esigenza di catechesi, soprattutto per gli adulti, del diffondersi dell’interesse per la teologia.

D’altro lato la chiesa coglie che la grande sfida dell’umanità attuale è il trovare la via per una possibilità di vita insieme. Lo Spirito la spinge verso l’ecclesiologia di comunione. Si tratta innanzitutto di cominciare a casa propria: ripensarsi come popolo, dove i credenti come tali hanno un ruolo costitutivo; creare le strutture di collegialità come sinodi, conferenze episcopali, dicasteri e, a livello delle chiese particolari, i consigli presbiterali, i consigli pastorali… Ma la comunione non può restare entro le mura. Essa spinge ad avviarsi con decisione sul cammino ecumenico, ad aprirsi all’incontro con i credenti delle altre religioni ed anche al dialogo interiore con la cultura.

Tutto sembra promettere una nuova primavera.

Primavera o inverno?

Oggi, in realtà, sono in tanti a chiedersi se la stagione che stiamo vivendo abbia i segni della primavera o non veda piuttosto un ritorno dei geli dell’inverno.

Ho trascorso le prime due settimane di dicembre ad Harare, nello Zimbabwe, dove ho partecipato alla VIII Assemblea del Consiglio ecumenico mondiale delle Chiese (CEC). Erano presenti delegati da tutto il pianeta e da tutte le Chiese e quindi si poteva cogliere un po’ lo "stato di salute" di questa vigilia del millennio.

Ancora una volta sono affiorate, impressionanti, le diversità di sensibilità ad ogni livello.

Il cammino ecumenico istituzionale è apparso piuttosto scivoloso. Proprio nel momento in cui celebra il suo 50° giubileo, il CEC è chiamato a ripensarsi radicalmente. Laici ed in particolare donne hanno rivendicato un posto adeguato nella chiesa, perché si sentono emarginati. Una ragazza della Germania ha espresso il suo dolore per il vuoto di giovani nella propria Chiesa. Molti si interrogavano sulla superficialità di una fede cristiana che non trasforma la vita, lasciando lo spazio al diffondersi impressionante delle sette. Gli africani ci hanno parlato della tragedia delle lotte tribali, dello sfruttamento e degli altri drammi che soffrono. In qualche paese il 30 % della popolazione è affetta dal virus dell’AIDS.

Ma nell’assemblea riemergeva anche la grande ricchezza delle esperienze, la forte volontà di stare insieme, il desiderio di una chiesa giovane e viva, l’esigenza di ritornare al vangelo, il voler contribuire alla costruzione di una società giusta e in pace.

Ancora una volta la domanda: dove sta il segreto per far diventare realtà questo sincero desiderio di comunione, di dialogo, di testimonianza evangelica? Come non tradire il soffio dello Spirito del Concilio? Dove imparare a fare dell’umanità una famiglia?

Il nuovo è già all’opera

Ci sono segni indicanti che il nuovo è cercato ed è già all’opera. Continuo a riferirmi alle esperienze che ho potuto vivere personalmente.

I francesi stessi, conoscendo bene la propria storia "laica", si sono sorpresi per il milione di giovani che nell’agosto del ’97 si sono riuniti per l’incontro con il papa a Parigi. Diversi cronisti si sono interrogati sul perché i giovani si erano messi in cammino. Cosa cercavano andando da quel papa anziano che a loro affidava in particolare una croce? In tanti non è cosciente, ma ancora una volta è la ricerca di una festa, di un amore, di una verità che affascina i giovani. Essi colgono la paternità di chi sa consegnare loro il segreto dell’esistere.

Quando abbiamo iniziato ad organizzare l’Assemblea ecumenica europea di Graz, pensavamo ad un incontro di delegati ufficiali delle Chiese, ma progressivamente ed in modo inatteso abbiamo cominciato a vedere crescere attorno e rivelarsi un popolo ecumenico, come qualcuno lo ha chiamato. Ci siamo accorti che una nuova spiritualità ecumenica è già vissuta e sempre più numerose sono le persone che salgono sulla barca dell’ecumenismo della vita, cioè credono che l’amore concreto del vangelo è più forte di ogni divisione.

All’inizio del mese di settembre sono stato a Bucarest per l’incontro Uomini e Religioni, organizzato dalla Comunità di S. Egidio. Ad esso partecipavano rappresentanti delle religioni di tutto il mondo, con la presenza di diversi patriarchi e cardinali, ma si è rivelato in particolare un evento ecumenico. Gli incontri accaduti tra il patriarcato ortodosso della Romania e la Chiesa greco-cattolica locale sono stati una prima storica e sono apparsi come un miracolo, conoscendo le ferite dolorosissime che la storia ha creato fra le due Chiese. Ma anche qui: dove stava il segreto dell’incontro? Alle spalle c’era la vita della comunità di S. Egidio, ma c’era anche la stretta e gratuita collaborazione con il Movimento dei focolari locale. Lì potevo già vedere i frutti della nuova stagione di comunione tra i movimenti e le comunità della Chiesa cattolica che aveva avuto la sua consacrazione e promessa poco tempo prima nel grande incontro di Pentecoste in piazza S. Pietro.

Questi luoghi di novità sono quelli più visibili, ma i segni di speranza che mi colpiscono di più sono le numerosissime persone che incontro e che sono disposte a dare la vita per il prossimo e per la realizzazione dell’unità. Mi hanno riferito che un sacerdote di Graz, entrando in sala operatoria per un delicato intervento, proprio il giorno di inizio dell’assemblea ecumenica, ha espresso il desiderio di offrire la sua vita perché a Graz si affermasse il miracolo dell’unità. Quando ho saputo questo ho avuto la certezza che l’Assemblea era una realtà sacra.

Un nuovo volto della chiesa

Lo Spirito Santo è all’opera e sta realizzando un nuovo volto della chiesa. Si tratta di una chiesa che impara da quella cattedra dove Cielo e terra si sono incontrati: il Cristo crocifisso fuori le mura che sperimenta l’abbandono dal Padre.

Il primo passo per la chiesa è avere il coraggio di seguire Gesù dentro le ferite delle divisioni, delle violenze e di ogni figura del dolore. Non si può stare a guardare le lacrime, le non riconciliazioni dal di fuori, come spettatori o come giudici, ma occorre entrare dentro, per "soffrire" le divisioni ed i fallimenti fino in fondo.

Il Dio entrato nelle ferite, diventa lui stesso separazione e ferita. Quando esplodono conflitti, normalmente, l’uno trasmette all’altro il conflitto e si pensa di sanarlo cercando il responsabile. Il Cristo in croce non ha cercato il colpevole, ma ha assunto su di sé la divisione. Il conflitto s’interrompe solo quando qualcuno non lo trasmette più ad un altro, ma lo consuma in sé. Questo è un secondo passo per generare l’unità.

Il Crocifisso che assume in sé la separazione e la ferita, diventa Lui stesso uno spazio immenso, aperto, che è in grado di accogliere tutti, anche i lontani da Dio. Anche le Chiese che, nella sequela del Cristo, prendono su di sé le fratture, diventano luogo di accoglienza senza riserve e senza frontiere.

Ancora un altro volto del cammino dell’unità emerge nella Pasqua di Gesù. La violenza, la divisione, non riescono alla fine a rubare la vita a Gesù, perché quella vita Egli la dona per puro amore e non si può rubare ciò che è stato già regalato. Il Cristo rivela che il senso della vita sta nel donarla. Ma una morte per amore (donare tutto) non è morte, ma vita. Il Cristo innalzato sulla croce è già il volto nascosto del Risorto. Questa è la realtà che è stata affidata dal Signore alla chiesa. Tutti gli uomini conoscono le lacrime, ma nella chiesa dovrebbero poter incontrare la presenza del Risorto che rivela che nessuna lacrima va persa. La novità assoluta che la chiesa può offrire al mondo è questa esperienza. Essa è la chiave dell’ecumenismo, dell’incontro con le altre religioni e di una società che abbandona la logica della violenza.

Se la chiesa si realizza là dove c’è la Presenza del Risorto fra i suoi, grazie all’amore reciproco, essa diviene quello spazio nuovo che l’umanità di oggi attende. Uno spazio che accoglie tutte le diversità e le realizza nella loro identità e libertà, ma insieme fa di esse una cosa sola. Nello spazio della chiesa le diversità di confessione, di cultura, di storia, di popoli possono divenire dono reciproco. è un nuovo sociale che supera la mera tolleranza idealizzata dalla cultura laica, illuminista, razionale e neppure è frutto di qualche forma di compromesso.

Il Risorto che abita tra noi fino alla fine dei tempi è anche il tempo nuovo. Il tempo diviene in grado di accogliere l’eterno e perde il suo potere di morte. Tutto passa, ma non l’amore portato nella storia dal Risorto e vivibile da ciascuno nell’attimo presente.

Conclusione

Gesù ha sperimentato l’abbandono per aprire il cammino dell’unità davanti a noi. Guardando a Lui, la chiesa ai nostri giorni sta riscoprendo che il suo cuore è di carne e che la sua essenza è l’amore. A partire da lui si delinea quel profilo mariano della chiesa che è maternità e vita. A partire da lui l’umanità può tentare di "funzionare" su altri principi.