Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

Di Doriana Zamboni

Doriana Zamboni è una delle prime compagne di Chiara Lubich e come tale è stata partecipe di quelle scoperte di vita evangelica dalle quali sarebbe fiorita la spiritualità dell’unità. In questa sua testimonianza racconta come, ancora agli albori del Movimento dei focolari, l’attenzione di Chiara e delle sue prime compagne è andata concentrandosi sull’abbandono di Gesù in croce come chiave all’unità – una dimensione della passione di Gesù cui la teologia si sta facendo sempre più attenta.

Quando ho conosciuto Chiara Lubich nell’ottobre 1943, andavo ancora a scuola. Nel primo incontro lei mi ha parlato di Dio-Amore cioè che Dio ama me immensamente, ed io per la prima volta l’ho un po’ compreso. Avrei voluto gridare di aver trovato il "Tutto" della mia vita, la scoperta, l’Eureka.

Ma perché questa scoperta di Dio-Amore è stata così forte da cambiare completamente la mia esistenza? Perché Chiara, mentre me lo spiegava, era per me quell’Amore. Per il carisma che si stava spiegando in lei e fuori di lei l’anima mia ignorante, impreparata, non spirituale, è stata come trafitta e questa realtà mi si è stampata dentro come un marchio.

Voi sapete che, nella storia del mondo, Dio via via ha mandato il suo Spirito con particolari ispirazioni a seconda dei bisogni dei tempi e molte anime sante, sotto la guida dello Spirito, hanno messo a fuoco momenti particolari della vita di Gesù che potevano essere una luce per le persone di quel secolo.

Quando suscitò questo Movimento, fra i tocchi di luce dei primi tempi, appena Dio vide che volevamo amarlo e traboccare sul prossimo questo amore, iniziando con un amore fra noi grande e totale "fino alla morte", egli fece scoprire a Chiara una chiave. Lei si chiedeva allora: Se amiamo veramente Dio, dato che s’è rivelato amore, dovremmo attendere la sua manifestazione solo nell’altra vita? Forse l’amore è così astratto che non si potrà mai sperimentare qui?

La scoperta

Dio invece si manifestò. Ecco come fu; ve lo posso raccontare in prima persona perché io ero con Chiara.

A quel tempo c’era la guerra e noi si andava a visitare, curare e amare i poveri, perché avevamo scoperto che in loro c’era Gesù. Da essi probabilmente avevo preso una infezione al viso. Forse era un herpes. Mi aveva riempito il viso di piaghe che la mancanza di medicine adatte faceva continuamente avanzare: ero tutta una piaga! L’accettavo come una purificazione, come un poter partecipare alla passione di Gesù ed ero felice, poiché mi sembrava di assomigliare un poco a lui.

Era inverno e si sa che il freddo nuoce alle piaghe aperte. Tuttavia partecipavo ogni giorno alla Messa coprendomi il più possibile il viso. Infatti vedevo che nutrendomi del corpo di Cristo avevo la forza di sopportare il dolore. I miei genitori però, pur stupiti della mia serenità, erano preoccupati del fatto che il male si allargava sempre di più. Così mi chiusero in casa affinché non uscissi al freddo.

Chiara, saputa la mia situazione, venne a casa mia con un sacerdote che mi portò la comunione. Cosa rarissima a quei tempi! Mentre io stavo raccolta, dopo aver ricevuto l’Eucarestia, sentii che il sacerdote chiedeva a Chiara qual era stato il momento, nella vita di Gesù, secondo lei, nel quale aveva più sofferto. E Chiara rispose di aver sempre sentito dire che era stato nell’orto degli ulivi. Lui però rispose: "No, secondo me, fu sulla croce quando gridò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Infatti – spiegò – nel Getsemani non aveva ancora sperimentato come uomo tutta la passione ed era stato consolato da un angelo. Sulla croce era solo!".

E Chiara: "Hai sentito? Se Gesù ha sofferto di più nell’abbandono, in quel momento ha amato di più, poiché l’amore in Gesù si è espresso nella passione e più ancora nell’abbandono. Se è così noi scegliamo Gesù abbandonato come nostro sposo, come nostro tutto".

Queste parole di Chiara furono poche e lapidarie, ma lei me le impresse nel cuore con tutte le implicazioni possibili che poi le si svelarono e comunicò via via a noi.

Pochi giorni dopo questa scoperta ero con Chiara per strada, in città; lei mi disse più o meno così: "Io ho capito che Gesù abbandonato è la soluzione di tutti i problemi per ogni uomo, di ogni paese, e che lui sarà un domani la chiave per risolvere, illuminare, spiegare, ogni realtà per tutto il mondo".

Ora, dopo tanti anni, tante esperienze nostre e di moltissime persone d’ogni paese vediamo che è proprio così, è vero.

Allora avevo aderito subito alle parole di Chiara e il piccolo dolore del mio viso ebbe un nome: Gesù abbandonato. Lo amai perché era una somiglianza con lui, un immedesimarsi di lui in me e di me in lui.

Da allora Gesù abbandonato divenne il centro della nostra vita, il Personaggio con cui vivere e confrontarsi.

Come vivere Gesù abbandonato

Voi sapete però che il cristianesimo non è solo contemplazione. Gesù nel vangelo dice: "Amate il prossimo, amate i nemici, fate del bene, date da mangiare a chi ha fame..." e di lui stesso si dice: "Iniziò a fare e poi a insegnare". Chiara ci metteva sempre a fare, a vivere: subito. Ella mi spiegò e ci spiegò come vivere Gesù abbandonato.

Davanti ad un dolore fisico o spirituale, davanti ad un imprevisto, ad una disgrazia, ad una incomprensione familiare o sociale, davanti a tutto ciò che ci urta e ci far star male è necessario fermarsi col pensiero e, con l’anima, mettersi davanti a Dio che è in noi e dirgli: "Questo dolore non è quello che sembra, cioè mancanza di pace, di luce, di gioia, di comprensione, di compagnia, non è quel peccato, quel tradimento, ecc., questo sei Tu". Infatti tutto il negativo di ogni uomo, tutto il nero del mondo, Gesù l’ha preso su dì sé, se ne è rivestito, l’ha compenetrato e ha redento tutto. Il Figlio, trasformato in quell’orrore, sembrò non essere riconosciuto dal Padre e Gesù non sentì più l’amoroso sguardo paterno su di sé e gridò non più: "Padre mio", ma: "Dio mio". Quelle parole di Gesù sembrano un grido di rivolta, di disperazione. Egli è Dio che sa tutto, eppure chiede: "Perché?"! Voleva donarci il Padre e per questo ad un certo momento non l’ha più visto, più sentito.

Perciò noi appena riconosciuta in quel nostro particolare dolore la sua realtà, dopo avergli detto "Sei Tu", lo si amava. Ogni dolore e ogni pena erano dunque un incontro con lui. Era come se Gesù in quel particolare dolore si affacciasse sulla nostra anima e ci chiedesse: "Mi ami... anche cosi?".

Lì si diceva pure: "Io non voglio la salute, la pace, la gioia, la soluzione, la luce, ecc., ma io voglio questo che mi fa soffrire perché questo sei tu". E, abbracciato Gesù abbandonato, si tornava al lavoro, al riposo, alla vita di quel giorno, sicuri di lui, tesi verso di lui, senza riguardare a quel nostro piccolo dolore che pur ci aveva presi tutti. E dopo un po’ vedevamo schiarire il cielo dell’anima nostra.

Via all’unità

Nella spiritualità dell’unità è possibile avere la pienezza della gioia. Nel vangelo c’è scritto: "... che siano una sola cosa, affinché la loro gioia sia piena".

"Consumarsi in uno", pronti a morire per l’altro realmente, non idealmente, esige la morte totale di noi, cioè non solo essere pronti a morire per Gesù nel fratello, ma morire realmente. Questo ha fatto Gesù in croce, si è fatto nulla, egli il Tutto.

Perché abbiamo in Gesù abbandonato il modello dell’annientamento possiamo arrivare alla vera unità. E quando non riusciamo ad esser uniti significa che noi non abbiamo accettato totalmente ciò che ci faceva soffrire. Forse l’abbiamo accettato ma non amato e abbracciato come un tesoro, come l’unica cosa desiderata. Significa che in noi c’è ancora qualche cosa di nostro: un’idea, un pensiero, forse anche bello, spirituale, ma se si vuole l’unità, la presenza di Dio fra noi, lo Spirito Santo fra noi, dobbiamo essere vuoti! Vuoti come Gesù in croce che non aveva più né Padre, né Madre. Era lì appeso tra cielo e terra a svenarsi e la pienezza del Padre era in lui e per questo in lui si abbandonò e risorse col corpo nella pienezza divina.

Ancora nei primi tempi della nostra vita avendo scelto Gesù nel suo abbandono come ideale, volevamo conoscere tutto di lui e Chiara ci diceva:

"È bello vivere Gesù abbandonato
nell’attimo presente
e chiamarlo per nome:
Egli è tutto!
È tutti i dolori.
È tutti gli amori.
È tutte le virtù.
È tutti i peccati
(perché si è fatto peccato,
si è fatto per amore tutti i peccati).
È tutte le realtà".
Ad esempio Gesù abbandonato è il muto, il sordo, il cieco, l’affamato, lo stanco, il disperato, il tradito, il fallito, il pauroso, l’assetato, il timido, il pazzo, è tutti i vizi, la tenebra, la malinconia. Il muto: perché non sa più parlare; il sordo: non sente neppure la voce di Dio; il cieco: non vede più il suo Paradiso; l’affamato: niente più lo sazia; lo stanco: è svenato; il disperato: non ha davanti nessuna luce; il tradito: gli sembra di esserlo persino dal Padre che nel momento culmine non si fa più sentire; il fallito: aveva fatto tanto e tutto per il Padre e in quel momento non vede nessun frutto, nessun riconoscimento. Ha paura tanto da urlare, ha sete, non ha più coraggio di chiamare "Abbà" il Padre del cielo. Sembra pazzo per ciò che dice al ladrone. Sembra tutti i vizi dei quali si è caricato e lo opprimono sino alla morte. È nelle tenebre più nere e sperimenta la malinconia di non essere a Casa.

Questa preghiera, questo immedesimarsi con Gesù, non è facile da farsi subito. Siamo in cammino, ma questo ci porta, attraverso lui, alla luce e alla pace in ogni momento della nostra vita.

Esperienze

In questa vita con Gesù abbandonato le esperienze possono essere molte perché per lui ogni dolore diventa amore, direi: gioia.

Quando iniziai a vivere questo ideale, a Trento ero conosciuta negli ambienti ecclesiastici poiché mio padre era il panettiere del seminario e degli istituti religiosi. La mia conversione la videro tutti e, soprattutto negli ambienti cristiani, ero guardata come un’illusa, una stravagante: vivere insieme in un appartamento quasi senza mobili, dar tutto ai poveri, senza un convento, senza una madre superiora, senza una formazione teologica, eravamo fuori da ogni regola. Per me questa incomprensione era Gesù abbandonato da amare e mi buttavo ad amarlo, e per lui potevo essere nella pace, amare ognuno che ci giudicava.

Dovevo fare l’ultimo esame delle scuole superiori e avevo studiato molto con Chiara (esami di guerra fra un bombardamento e l’altro) e fui bocciata, non ammessa. Gesù abbandonato – mi dissi – era il non ammesso fra i rabbì del suo tempo. Sapevo che i miei genitori, non avendo approvato il mio cambiamento di vita, avrebbero reagito contro i professori, contro la mia vita sempre tra i poveri, contro Chiara che ci aveva affascinato con un ideale appunto stravagante.

I miei erano sfollati in un paesino e andai da loro. Per strada mi ero messa d’accordo con Gesù per rimanere nella gioia. Appena arrivata portai la notizia. Si scatenarono le reazioni. Per me era Gesù abbandonato ed ero felice perché in me c’era lui. Ma davanti ai miei per un momento vacillò la mia serenità. Fu un attimo, ma riguardai lui in me e subito dentro di me sbocciò, in un impeto di gioia fin quasi alle labbra, una canzone della radio che noi allora si cantava a Gesù: "Tu sei la musica, la voce profonda del cuor...", per cui dovetti scappare fuori per non essere giudicata pazza.

Sono stata in molte nazioni del mondo. Ogni popolo mostrava un particolare aspetto di Gesù abbandonato: dalla Francia alla Spagna, al Portogallo, al Belgio. In Inghilterra, poi, la sete all’unità si sente forte.

Un giorno un Vescovo anglicano ci chiese: "Da dove viene la vostra capacità di unità? C’è stato Lutero che proponeva una riforma nella chiesa cattolica, ma non è riuscito ad attuarla e ne è venuta una divisione: la Chiesa Luterana. C’è stato Wesley che proponeva un risveglio nella Chiesa anglicana e ne è nata una nuova scissione: la Chiesa metodista. Voi proponete una riforma dentro la vostra Chiesa. Come mai siete accettati, approvati?". Rispondemmo: "Innanzitutto noi cerchiamo di vivere sempre in una completa unità con la nostra Chiesa, ma soprattutto alimentiamo un grande amore a Gesù abbandonato che richiede di farsi uno con lui, separati con lui separato, amanti di lui fattosi separazione. Egli però è l’unità, perciò in lui è l’unità. Amando Gesù abbandonato si è uno nell’anima e si prepara l’unità nella fede e nella prassi".

"Vuoi divorziare?"

Nei molti anni in cui fui in Gran Bretagna, dove ho cercato di far sempre festa a Gesù abbandonato, in ogni incontro con lui – e gl’incontri furono tanti! – ho vissuto come in nessun altro luogo l’esperienza che Gesù abbandonato riempie ogni vuoto, illumina ogni tenebra, accompagna ogni solitudine, annulla ogni dolore, riunisce i divisi.

Un anno, dopo tanto lavoro, finii in ospedale ed un mattino mi svegliai che avevo un lamento nel pensiero: ancora male? E una voce dentro mi rispose: "Vuoi divorziare?" Mi ripresi per confermare con forza in Gesù abbandonato il mio unico bene.

Doriana Zamboni