La vita trinitaria, misura e criterio dei rapporti nella Chiesa

Nuovi Movimenti e unità trinitaria

di Enrique Cambon

L’autore, in questa relazione tenuta in un incontro di Movimenti e Comunità ecclesiali, sviluppa tre punti essenziali: espone brevemente uno dei nodi, teorico e pratico, che oggi essi affrontano all’interno della Chiesa; poi propone uno spunto teologico e spirituale fondamentale per tutta la vita ecclesiale; e infine cerca di tirare qualche conseguenza pratica.


Ancora su istituzione e carismi

Una delle difficoltà nella Chiesa d’oggi è come conciliare le strutture ecclesiali già esistenti (diocesi, parrocchie) con i nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali, pur essendo l’aspetto ministeriale e quello carismatico "complementari" e "coessenziali" – per usare le espressioni del Papa1. Il tema è già stato accennato negli altri articoli di questo numero, qui offriamo qualche altro elemento.

Cosa vuol dire "istituzione"?

Fondamentalmente due cose. La prima ha un fondamento teologico. Dio non può comunicarsi con l’umanità se non attraverso mediazioni. È costitutivo dell’amore farsi uno con l’altro per farsi capire da lui. Dato che "nessuno ha visto Dio" perché "abita in una luce inaccessibile" (1Tim 6, 16), lui si dona a noi attraverso la "pedagogia dell’incarnazione", cioè attraverso segni visibili, realtà sensibili. Lo troviamo perciò nella natura, in modo unico in Gesù di Nazaret, e quindi nella Scrittura, nella Chiesa, nei suoi ministri, nei suoi sacramenti, nella comunità ecclesiale viva....

Un altro approccio possibile all’istituzione ecclesiale è sociologico. Quelle mediazioni volute da Dio si concretizzano in tanti modi, influenzati dalla cultura del tempo, dai modi correnti di organizzazione sociale in ogni epoca, ecc. Inoltre ogni organismo sociale ha bisogno di darsi forme di amministrazione, organizzazione, coordinamento.

Quelle prime realtà sono essenziali e quindi date per sempre nella Chiesa; queste ultime sono condizionate, evolvono, mutano nel tempo. Diceva il teologo K. Rahner che non c’è cosa più urgente che distinguere nella Chiesa ciò che è permanente da ciò che è transitorio e riformabile. È questa convinzione di base una delle ragioni per cui mons. L. Giussani diceva che quando qualcuno si scandalizza della Chiesa, è perché nega con ragioni secondarie ciò a cui per ragioni fondamentali si deve acconsentire2. D’altronde, quante volte attraverso la storia ci si è irrigiditi e si è perso tempo discutendo tra cristiani su realtà opinabili e che ammettono una legittima e arricchente diversità.

Tuttavia nella pratica non appare sempre così ovvia questa distinzione fra il perenne ed il provvisorio. Innanzitutto perché spesso non è facile discernere con tutta evidenza quali sono le strutture pensate da Dio da quelle create da noi. E inoltre perché anche quelle volute da Dio sono storicamente veicolate attraverso delle forme che hanno aspetti relativi, temporanei, soggetti a cambiamenti.

Un solo esempio tipico: il ministero petrino. È molto noto il coraggioso appello di Giovanni Paolo II nella sua enciclica sull’ecumenismo. Da una parte afferma che l’esistenza di un servizio "petrino" per l’unità della Chiesa è volontà di Cristo, per cui deve restare. Però la forma di esercizio di questo ministero, che ha assunto caratteristiche diverse attraverso i tempi, può variare, deve aprirsi alla nuova situazione che viviamo. Per cui chiede ai responsabili e teologi di tutte le Chiese cristiane, d’instaurare su tale argomento un dialogo fraterno, paziente, affinché "questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (cf. Ut unum sint, nn. 95-97). Ci vuole contemporaneamente la fedeltà al Vangelo e l’adattamento alle giuste esigenze della nostra epoca.

Cosa sono i carismi?

Sono dei doni che tutti i cristiani ricevono da Dio, per il servizio del prossimo, l’edificazione della Chiesa, la costruzione del mondo secondo il progetto di Dio (cf. 1Cor 7, 7; 12 e 14; 1Pt 4, 10-11; Rom 12, 4-8). Naturalmente non sono in contraddizione con la dimensione "istituzionale" della Chiesa ma in stretta simbiosi. Si richiamano e si verificano a vicenda. Ci limitiamo a citare questo magnifico testo del Vaticano II: lo Spirito Santo "introduce la Chiesa in tutt’intera la verità (cf. Gv 16, 13) e la unifica nella comunione e nel ministero, la edifica e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici e la arricchisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo mantiene la Chiesa continuamente giovane, costantemente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo" (LG 4).

Al ministero sono chiamati soltanto alcuni, mentre alla vita evangelica siamo chiamati tutti. Perché questo "sacerdozio comune" che deve precedere ogni altro stato o funzione nella Chiesa, cresca nei cristiani, lo Spirito suscita sempre nuovi carismi, affinché ci aiutino tutti a convertirci, a purificarci, a crescere nell’amore e nella santificazione. E tali carismi possono essere donati da Dio attraverso dei laici, o anche attraverso dei ministri che, come diceva il card. Ratzinger, devono essere degli "uomini dello Spirito", persone che hanno "fiuto" per lo Spirito Santo e il suo agire3.

Quando si trova difficoltà ad incarnare queste realtà, diceva ancora il card. Ratzinger, "in larga misura si tratta di questioni prettamente pratiche, che non vanno spinte troppo in alto nei cieli del teorico"4. Infatti faremo riferimento nel terzo punto ad alcuni degli atteggiamenti pratici necessari. Ma essi si basano su motivazioni teologiche e spirituali. Qui vogliamo menzionarne una fondamentale.

Trinità modello della Chiesa

Tutta la storia insegna che quando sono apparse realtà nuove nella vita ecclesiale, normalmente hanno suscitato delle difficoltà. Per molti motivi. Alcuni meno nobili, come gelosie, interessi economici o di potere, che quelle correnti di rinnovamento questionavano con la loro vita. Tanti altri, dovuti semplicemente alla storicità della natura umana. Come l’inerzia che resiste a cambiare le abitudini consolidate e a perdere le proprie sicurezze. L’incapacità da parte di tanti (per struttura psicologica o per la formazione ricevuta) a cogliere i segni dei tempi ed a capire le forme inedite necessarie per rispondere ad essi. L’effettiva complessità di certe situazioni o la mancanza d’immaginazione creativa e delle nuove idee e categorie necessarie, che spesso non si trovano subito. E altri ancora. Sono delle "leggi" psicosociologiche che rallentano il cammino di tutta la storia umana.

Ovviamente, altri motivi di conflitto si trovano negli stessi Movimenti ecclesiali. Come per es. i limiti o immaturità di alcuni dei loro membri. Certe esagerazioni e unilateralità con cui magari si esprimono. A volte la loro mancanza di conoscenza e comprensione di altre realtà ecclesiali. Una certa persuasione – non sempre manifestata esplicitamente ma avvertita dagli altri – per cui in fondo si considerano "gli unici" o "i migliori". E così via.

C’è un approfondimento teologico che si fa strada oggi e che può essere di grande aiuto per superare queste difficoltà. Si tratta della riscoperta della vita trinitaria come "modello" della vita interpersonale, comunitaria, ecclesiale, oltre che sociale.

Il messaggio fondamentale di Gesù potrebbe concentrarsi in due cose che sono una sola: chi è Dio, e in conseguenza come dobbiamo rapportarci con lui e fra di noi. Tutto ciò che Gesù ci ha insegnato non è altro che imparare a vivere "così in terra come in Cielo". La meta della nostra vita di cristiani è tendere a vivere sempre di più "a mo’ della Trinità". La Trinità è "il mistero centrale della fede e della vita cristiana" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 234).

"Dio è Amore" (1Gv 4, 8.16). E proprio "perché è amore, è Trinità" (C. Lubich). Dal momento che noi esseri umani siamo fatti "a immagine e somiglianza" di Dio (Gn 1, 26), le nostre esperienze d’amore reciproco secondo lo stile evangelico, ci aiutano a intuire la dinamica della vita divina unitrinitaria; ed a nostra volta guardando come sono le relazioni d’amore in Dio, riceviamo luce per capire come devono essere i nostri rapporti. Vediamo qualche esempio.

Come ci si deve rapportare?

Nella Trinità ogni Persona è un dono totale d’amore per l’Altra. Perciò il Vaticano II dice che noi riviviamo la vita trinitaria, attraverso "un dono sincero" di noi stessi (GS 24). Quindi tutto ciò che facciamo nei riguardi della Chiesa universale o locale e degli altri Movimenti e Comunità, dev’essere un dono d’amore, senza proselitismo e senza cercare di "convertire" (è Dio l’unico che può trasformare le persone, a noi tocca solo amare sinceramente), e senza interessi personali o di gruppo.

L’altro come se stessi

Uno dei tanti modi in cui si può sintetizzare la dinamica della vita divina intratrinitaria è dire che ogni Persona ama l’Altra come se stessa. Perciò Gesù ci ha chiesto di amarci nello stesso modo, per poter vivere sempre di più come Dio e in Dio. In questo senso non è amore trinitario muoversi per spirito di corpo, godendo dei "successi" del nostro Movimento senza farlo allo stesso modo per quelli della Chiesa e degli altri Movimenti e Comunità ecclesiali. L’amore a noi stessi è inseparabile dall’amore al prossimo; così dobbiamo amare le altre realtà ecclesiali come la nostra. Quindi interessarci per gli altri organismi della Chiesa come lo facciamo per il nostro, gioire con le loro gioie e soffrire con le loro sofferenze, condividere i beni spirituali e, quand’è possibile – come comincia già a succedere – anche quelli materiali. "Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri" (Fil 2, 4).

In Dio "le tre Persone sono coeterne e coeguali tra loro", però allo stesso tempo si potrebbe dire che ognuna "fa superiore" l’Altra, riconoscendo e accogliendo il suo modo proprio d’essere. È in questo senso trinitario che san Paolo ci dice "siate sottomessi gli uni agli altri" (Ef 5, 21), "non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stessi" (Fil 2,3). Quanto più grande è il carisma che Dio ci ha donato, più è necessaria l’umiltà. La fondatrice di un Movimento diceva una volta ai suoi: "dicono che siamo presuntuosi; sarà anche perché non ci capiscono, ma se lo dicono, qualcosa ci sarà; se non abbiamo un’umiltà proporzionata alla grandezza del dono che abbiamo ricevuto, roviniamo l’Opera di Dio".

Amore ordinato

I rapporti fra le Persone della Trinità non sono un caos o un’anarchia, perché l’amore è sempre ordinato. Così noi non dobbiamo fare niente nelle Chiese locali senza l’unità con il vescovo e senza tenerlo al corrente della nostra vita e delle nostre attività. "Chi lavora di nascosto dal vescovo, lavora per il diavolo", diceva sant’Ignazio d’Antiochia, un grande Padre della Chiesa, già nei primissimi tempi del cristianesimo. D’altra parte, come diceva il card. Ratzinger nella relazione teologica già menzionata: "occorre che si dica chiaramente anche alle chiese locali, anche ai vescovi, che non è loro consentito indulgere ad alcuna pretesa d’uniformità assoluta nelle organizzazioni e programmazioni pastorali. Non possono far assurgere i loro progetti pastorali a pietra di paragone di quel che allo Spirito Santo è consentito operare: di fronte a mere progettazioni umane può accadere che le chiese si rendano impenetrabili allo Spirito di Dio, alla forza di cui esse vivono. Non è lecito pretendere che tutto debba inserirsi in una determinata organizzazione dell’unità; meglio meno organizzazione e più Spirito Santo!"5. Recentemente Chiara Lubich, parlando alla Conferenza episcopale croata a Zagabria, diceva da una parte che i Movimenti devono essere capaci di "accettare il discernimento dei Pastori nei loro confronti", di "apprezzare le loro paterne esortazioni" e, infine, di "armonizzare la propria attività col piano pastorale della diocesi". Mentre riguardo alle difficoltà da parte di alcuni vescovi e parroci, ha usato una metafora che ha fatto allo stesso tempo sorridere e riflettere: "Quando un bambino è piccolo fa confusione e sporca, ma quando è grande aiuta i genitori. Chiedo perciò ai vescovi e ai parroci di avere pazienza"6.

Senza strumentalizzare

Nella Trinità ogni Persona si dona totalmente facendo essere l’Altra, ed è quello stesso atto che la fa essere Se stessa (l’Amore eterno che sgorga dal Padre fa Figlio il Figlio e fa Padre il Padre). Così, se il nostro amore reciproco con le persone della Chiesa locale e degli altri Movimenti e Comunità ecclesiali saprà essere veramente trinitario, un suo frutto sarà che nessuno sarà strumentalizzato, deformato, assorbito, ma ognuno diventerà più pienamente se stesso, secondo il disegno di Dio su di lui. Chi ama sa essere se stesso perché gli altri possano diventare a loro volta ciò che debbono essere. L’amore trinitario non uniforma né omologa, ma con lo stesso atto che unisce, distingue. Madre Teresa di Calcutta soleva ripetere a Chiara Lubich: "Andiamo avanti, perché io faccio ciò che tu non puoi fare, e tu fai ciò che io non posso fare"7.

Rispettare i tempi di maturazione

Questo saper "ritirarsi" per amore, questo lasciare spazio all’altro perché sia se stesso, è tipico dell’amore trinitario. E nella storia uno dei modi in cui ciò si traduce è attraverso la pazienza. Non per niente Dio è chiamato nel Nuovo Testamento "Dio della pazienza" (Rm 15, 5). Basta vedere come agisce con l’umanità: non si sostituisce ad essa, non la violenta, la storia è "il tempo della pazienza di Dio" (Rm 3, 26) affinché l’umanità possa essere veramente protagonista, costruttrice del suo proprio destino. Così dobbiamo saper aspettare reciprocamente all’interno della Chiesa i tempi di maturazione, avere pazienza ad esempio nel rapporto fra Chiesa locale e nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali. A riguardo il card. Ratzinger diceva: "Le due parti devono lasciarsi educare dallo Spirito Santo… devono apprendere una dimenticanza di sé, senza la quale non è possibile il consenso interiore alla molteplicità delle forme che può assumere la fede vissuta. Le due parti devono imparare l’una dall’altra a lasciarsi purificare, a sopportarsi e a trovare la via che conduce a quei comportamenti di cui parla Paolo nell’inno alla carità (1Cor 13, 4 ss.)"8. Per ciò che riguarda invece il rapporto fra gli stessi Movimenti e Comunità ecclesiali, riferendosi ai contatti che ultimamente si stanno sviluppando fra di loro, Salvatore Martinez, leader del Rinnovamento carismatico in Italia, diceva: "Lo Spirito Santo ci ha presentati gli uni agli altri, nel grembo della Chiesa da cui siamo nati e per la quale viviamo: come il chicco di frumento siamo chiamati a dar la vita gli uni per gli altri, in Cristo, per risorgere nuovi e uno in lui"9.

Essere se stessi attraverso l’altro

In Dio l’unitrinità ècostituita dalla mutua interpenetrazione delle Persone (pericoresi): ognuno abita nell’altro, ognuno è se stesso attraverso l’altro, grazie all’altro, nell’altro. Così dev’essere fra di noi. Uno dei modi di manifestarlo è attraverso l’ascolto. Non c’è, né vera conoscenza reciproca, né dialogo, senza un ascolto profondo e totale. Solo questo fa possibile nella Chiesa quello che Andrea Riccardi chiama una "pluralità concorde", in altre parole, un’unità di pensiero "trinitaria", dove si arrivi a poter dire fra due realtà ecclesiali: "io sono io in te, e tu sei tu in me" (G. M. Zanghì).

La chiave di tutto

Nella vita della Trinità è costitutivo un elemento di kénosis, "di non essere perché l’altro sia". Per questo la teologia oggi riconosce che la croce, e soprattutto l’abbandono di Gesù, è il punto più alto dove si vede nella storia che cos’è la vita della Trinità. "È l’altissima, divina, eroica lezione su cosa sia l’amore" (C. Lubich). Quella dev’essere quindi la misura della nostra donazione. Non si fa crescere il Regno di Dio senza passare per la croce. Perciò quando arriva la persecuzione, l’incomprensione, quando ci criticano, prima di tutto bisogna senza rancore né permalosità cercare di capire cosa ci possa essere di vero per eventualmente correggerci; e poi vivere il detto paolino: "non rendete a nessuno male per male… ma vinci il male con il bene" (Rm 12, 17.21). Ha ragione Kiko Argüello quando mette l’amore al "nemico" (che a volte non è fuori ma, anche in buona fede, dentro le nostre stesse comunità cristiane) come massima verifica dell’amore vero10. Trasformare il dolore, anche ingiusto, in amore, perdonare e ricominciare guardandoci ogni volta con occhi rinnovati, è il più alto grado di maturità cristiana. Ed a lungo andare, l’amore fa crescere la verità.

Sono soltanto degli esempi indicativi. Si potrebbero esprimere meglio o in modo più esteso, e soprattutto approfondire e moltiplicare. Ma bastano per farci intravedere che è alla luce dei rapporti d’amore trinitario che dobbiamo sempre cercare di capire come devono essere i rapporti nella Chiesa, sia fra istituzione e carismi, sia dei carismi fra di loro.

Conclusione

Dobbiamo essere degli "innamorati" della bellezza di Dio in tutti i suoi doni, ovunque si trovino.

Nei "cieli nuovi e terre nuove", le funzioni, i ministeri, i sacramenti, le istituzioni, sono mezzi che non saranno più necessari. Invece l’amore – che come Maria genera Gesù e lo rende presente attraverso la comunione –, sarà la realtà che rimarrà, avvolgendo e informando tutto, in sempre nuove armonie e novità. Lì saremo "l’uno dell’altro paradiso", perché il Paradiso consisterà anche nel contemplare quanto di bello Dio ha fatto in ognuno. La cosa più grande che ci può succedere è cominciare a vivere ciò già da questa vita. È quello che si desidererebbe con questa nuova unità tra i Movimenti e con quella "maturità ecclesiale" a cui il Papa li ha chiamati11.

Enrique Cambón


1. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla II Conferenza internazionale sui Movimenti, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X/1 (1987), LEV, Roma 1988, pp. 477-478; ha espresso lo stesso concetto nel discorso ai Movimenti in Piazza San Pietro alla vigilia di Pentecoste ’98, al n. 4.

2. Perché la Chiesa. Tomo 2/Il: Segno efficace del divino nella storia, Jaca Book, Milano 1993, pp. 145-146.

3. Movimenti ecclesiali e loro collocazione teologica, in "Il Regno-Documenti" 13 (1998), p. 401.

4. Ibid., p. 400.

5. Ibid., p. 407.

6. In "Mariapoli" (notiziario interno del Movimento dei focolari) 4 (1999), pp. 30-31.

7. I nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali prendono sempre più coscienza dell’importanza di questa unità nella diversità, e quindi della necessità di una collaborazione nella complementarietà. "Gli altri Movimenti o le altre Comunità hanno doni che noi non abbiamo, hanno qualità diverse dalle nostre: è normale e giusto lavorare insieme", commentava un esponente della Comunità "Emmanuel", I carismi alla prova, a cura di G. FERRO’ - V. PRISCIANDARO, in "Jesus" 5 (1999), p. 71.

8. Movimenti ecclesiali, cit., p. 406.

9. Cit. in P. CODA, I Movimenti ecclesiali, dono dello Spirito, conferenza inedita (Bologna, 20.1.1999); cfr. ID., I Movimenti ecclesiali, dono dello Spirito al nostro tempo, in "Gen’s" 5 (1998), pp. 143-149.

10. Cfr. M. M. BRU, Testimoni dello Spirito. Movimenti e Comunità, Grafite, Napoli 1999, pp.23-24.

11. GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’incontro dei Movimenti nella vigilia di Pentecoste ’98, n. 6.