Quando istituzione e carisma vivono in rapporto trinitario, la Chiesa manifesta tutta la sua fecondità e la sua bellezza

L’Istituzione e i carismi
nella Chiesa sono coessenziali

Di Piero Coda

Quale posto hanno nella Chiesa i Movimenti e le nuove Comunità ecclesiali e, più in generale, quei carismi che il Concilio definisce "grazie speciali" e "doni straordinari"? Il teologo Piero Coda cerca di approfondire brevemente il significato e le implicazioni di quest’importante interrogativo.

Giovanni Paolo II, in occasione della Pentecoste ’98, ha sottolineato che la dimensione istituzionale e quella carismatica "sono coessenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo".

Il Papa si rifà all’ecclesiologia del Concilio Vaticano II. La Lumen gentium insegna infatti al n. 4 che lo Spirito Santo guida e "unifica la Chiesa nella comunione e nel ministero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti"; e, al n. 12, precisa: "Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il Popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma ‘distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a Lui’ (1 Cor 12, 11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, secondo la parola: ‘a ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio’ (1 Cor 12, 7)".

In realtà, la Chiesa, fin dall’origine e lungo il corso dei secoli, ha sperimentato d’essere generata ed edificata, allo stesso tempo e in provvidenziale sinergia, dai "doni gerarchici", costituenti la sua dimensione istituzionale, e dai "doni carismatici", costituenti appunto la sua dimensione carismatica. Grazie ad entrambi si realizza la promessa fatta da Gesù risorto agli apostoli, prima di ascendere al Cielo: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20).

La riscoperta della dimensione carismatica

Come ha notato Giovanni Paolo II, nel nostro secolo – che non per nulla è stato definito "il secolo della Chiesa" – e in particolar modo grazie al Concilio Vaticano II, la Chiesa "sotto la guida dello Spirito, ha riscoperto come costitutiva di se stessa la dimensione carismatica".

Essa, cioè, è stata spinta dallo Spirito Santo a prendere più profonda coscienza di sé, di come Cristo l’ha voluta e di come lo Spirito Santo la edifica continuamente, per poter testimoniare al mondo, quasi in un’epifania nuova della sua bellezza, l’amore di Dio.

La Chiesa, infatti, è nella sua essenza il segno e lo strumento attraverso cui Gesù stesso si rende presente agli uomini e alle donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi, per partecipare ad essi la comunione con Dio e tra di loro, che Egli dalla Trinità ha portato in terra. Il compito e la grazia propri della Chiesa non sono null’altro che la realizzazione della preghiera rivolta da Gesù al Padre: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17, 21).

Ciò avviene per opera dello Spirito Santo, il quale – come ha detto il Papa a Pentecoste – "già operante nella creazione del mondo e nell’antica alleanza, si rivela nell’Incarnazione e nella persona del Figlio di Dio, e quasi ‘esplode’ nella Pentecoste per prolungare nel tempo e nello spazio la missione di Cristo".

I doni gerarchici e quelli carismatici

È dunque lo stesso Spirito Santo l’origine e il dispensatore sia dei doni gerarchici sia di quelli carismatici.

Attraverso i primi, Egli garantisce oggettivamente la presenza di Gesù che si dona, attraverso la Parola e i Sacramenti, alla Chiesa generandola e nutrendola come sua sposa (cf Ef 5, 25ss). Si pensi, per un esempio soltanto che rappresenta al contempo il culmine di questo donarsi di Gesù alla Chiesa, all’Eucaristia.

Attraverso i doni carismatici, d’altro canto, lo stesso Spirito dischiude la soggettività dei credenti – e cioè le loro menti e i loro cuori, la loro intera esistenza – perché si facciano capaci di accogliere, di penetrare e di portare a piena efficacia di vita e di santità il dono oggettivo di Cristo che ricevono dalla Parola di Dio e dai Sacramenti. Essi vengono donati, normalmente, a una singola persona, ma in modo tale da "essere condivisi da altri e così vengono conservati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone", a vantaggio della Chiesa intera (ChL 24).

Il carisma oggettivo e quello soggettivo – così li definisce Hans Urs von Balthasar – sono perciò coessenziali nell’identità e nella missione della Chiesa, in quanto esprimono e realizzano il rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa. Cristo continua a donarsi nello Spirito alla Chiesa sua sposa attraverso la Parola e i Sacramenti; e la Chiesa sposa, plasmata dai doni carismatici che riceve dallo stesso Spirito Santo, accoglie, genera e fa crescere in sé il Cristo che le è donato dalla Parola e dai Sacramenti, vivendo il comandamento nuovo dell’amore reciproco e verso tutti.

Se c’è una differenza nel modo in cui il carisma oggettivo e quello soggettivo sono donati alla Chiesa, essa consiste nel fatto che, nel primo caso, questo dono è garantito oggettivamente dalla fedeltà di Cristo alla Chiesa (per cui, ad esempio, Gesù Eucaristia si rende presente indipendentemente dalla santità soggettiva del ministro), mentre nel secondo lo Spirito Santo è effuso quando chi è chiamato a ricevere il carisma soggettivo e a viverlo si configura esistenzialmente a Gesù crocifisso e abbandonato, unico mediatore dell’effusione dello Spirito Santo alla Chiesa.

Il carisma oggettivo e quello soggettivo, perciò, sono costitutivamente indirizzati l’uno verso l’altro.

I membri della gerarchia, configurati per il sacramento dell’ordine a Cristo, sono chiamati a essere segni e strumenti di Lui – agiscono infatti in persona Christi Capitis Ecclesiae (cf PO 2; LG 10) –, perché Egli possa donare Se stesso alla Chiesa sua sposa. In quanto pastori della Chiesa, hanno anche la grazia e il dovere di accogliere con gratitudine, di discernere la genuinità e di regolare l’ordinato uso dei doni carismatici a seconda del loro specifico ambito di competenza: quello della Chiesa universale per il Papa, e quello della Chiesa particolare per i vescovi uniti in comunione collegiale con Lui (cf LG 12).

Inoltre, in quanto essi stessi sono membri della Chiesa sposa, i ministri ordinati sono chiamati a vivere con quella soggettività aperta e accogliente che riceve in sé il dono di Cristo, e quindi possono essere aiutati dai doni carismatici a vivere il loro essere cristiani, e anche ad esercitare il loro ministero, più pienamente secondo il cuore di Cristo.

Da parte loro, "i veri carismi non possono che tendere all’incontro con Cristo nei Sacramenti" e a vivere una "fiduciosa obbedienza ai vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il successore di Pietro", secondo la parola di Gesù: "chi ascolta voi ascolta me" (Lc 10, 16).

Il compito dei pastori e quello dei carismatici

Dal punto di vista della missione, la coessenzialità si manifesta in vari modi. Ne vorrei richiamare almeno due.

Il primo consiste nel fatto che mentre il compito della gerarchia è innanzi tutto quello di garantire la fedeltà al "deposito della fede" e la sua integrità, quello dei doni carismatici è di dischiudere delle nuove esperienze e interpretazioni vitali del mistero di Cristo, per renderlo comprensibile e vivibile agli uomini e alle donne di un determinato tempo, aiutando così la Chiesa a rispondere alle sfide che via via la interpellano.

In ciò si manifesta l’assistenza creativa che lo Spirito Santo, sia attraverso i doni gerarchici sia attraverso quelli carismatici, assicura alla Chiesa, secondo la promessa di Gesù: "lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16, 13).

Universalità e radicamento locale

Un’altra modalità concreta è quella del rapporto, nella missione della Chiesa, tra il dinamismo dell’universalità e il radicamento nella particolarità. Lo ha sottolineato magistralmente il card. Ratzinger nella sua relazione al Congresso teologico di Pentecoste.

Guardando alla storia della Chiesa, Ratzinger ha precisato che "il modello ecclesiale locale, decisamente improntato dal ministero episcopale, è la struttura portante e permanente attraverso i secoli. Ma esso è altresì percorso incessantemente dalle ondate dei Movimenti, che rivalorizzano di continuo l’aspetto universalistico della missione apostolica e la radicalità del Vangelo, e proprio per questo servono ad assicurare vitalità e verità spirituali".

Di qui la naturale sintonia tra il ministero del successore di Pietro, che non è solo vescovo della Chiesa particolare di Roma ma, in quanto tale, pastore della Chiesa universale, e i Movimenti carismatici nella loro apertura universale. Si tratta di un fatto che acquista particolare rilevanza oggi, quando anche l’episcopato – secondo la dottrina del Vaticano II – riscopre di essere chiamato alla "sollecitudine per tutte le Chiese" (cf LG 23).

Come nella Trinità

Il rapporto tra dimensione istituzionale e dimensione carismatica, in definitiva, è un riflesso nella vita della Chiesa della vita stessa della SS.ma Trinità, in cui le divine Persone vivono in pienezza l’Una per, con e nelle Altre. Subito dopo aver descritto i doni gerarchici e carismatici, infatti, la Lumen gentium afferma che "la Chiesa universale si presenta come ‘un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’" (n. 4).

Quando le due dimensioni coessenziali della Chiesa vivono tra loro un autentico rapporto trinitario, la fecondità e la bellezza della Chiesa si manifestano in tutta efficacia e in pieno splendore.

Pietro e Giovanni

L’opportunità, poi, che proprio oggi venga in rilievo il carisma soggettivo, affinché il carisma oggettivo possa esprimere tutta la sua divina potenzialità, deriva dal fatto che la gente e la cultura del nostro tempo sono particolarmente sensibili alla coerenza tra la soggettività di chi vive e testimonia il Vangelo e l’oggettività del dono proposto e dell’istituzione che lo conserva e lo trasmette. Come ricordava Paolo VI, "l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (EN 41).

La coessenzialità tra doni gerarchici e carismatici può essere illustrata plasticamente dalla relazione che il quarto Vangelo ci presenta, nei capp. 20 e 21, tra Pietro e Giovanni.

Pietro è la "roccia" sulla quale Cristo risorto edifica la sua Chiesa; Giovanni, pur essendo anch’egli apostolo, rappresenta la Chiesa che, aperta all’azione dello Spirito, ama fedelmente e fino alla fine il suo Signore.

Così, quand’essi si recano di corsa al sepolcro, il primo giorno dopo il sabato, Giovanni è più veloce e giunge al sepolcro per primo: "Chi ama di più, corre più veloce e arriva più in fretta" – commentano i maestri dello Spirito. Tuttavia, Giovanni si ferma all’ingresso, aspetta Pietro e lo lascia entrare per primo. Quasi a sottolineare la dimensione carismatica della Chiesa che, spinta dallo Spirito d’amore, apre le vie di Dio e anticipa il futuro nella profezia, ma proprio così prepara la strada perché la Chiesa istituzionale possa arrivare e svolgere il suo insostituibile compito.

Alla fine del Vangelo, poi, dopo la triplice richiesta d’amore che Gesù gli rivolge conferendogli il ministero di pascere le sue pecorelle, Pietro, quando vede venir dietro il discepolo che Gesù amava, chiede al Maestro: "Signore, e lui?". Gesù allora gli risponde: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi" (Gv 21, 21-22). Un modo per dire – si pensa – che l’amore, il carisma dei carismi, vivrà e si rinnoverà continuamente nella Chiesa attraverso i doni carismatici finché torni Gesù, a sostegno e in unione col ministero di Pietro e degli apostoli.

Pietro e Giovanni. La dimensione istituzionale e quella carismatica della Chiesa, sposa di Cristo.

Maria, icona e madre della Chiesa

Viene spontaneo – in conclusione – volgere lo sguardo a Maria. Ella è la regina degli apostoli, così come la mostra la scena del cenacolo a Pentecoste, e colei alla quale è affidata la custodia anche della Chiesa carismatica, come ci dice la scena della croce, dove Gesù l’affida a Giovanni e a sua volta le dona Giovanni come figlio.

Icona e madre della Chiesa, Maria abbraccia dunque in sé tanto la dimensione istituzionale quanto quella carismatica della Chiesa. Ed è modello dell’una e dell’altra.

Ella, infatti, è madre di Dio, perché ha generato e donato al mondo Gesù. Quale modello, perciò, più sublime di Lei per chi è chiamato a donare Gesù nella predicazione della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti?

Ma Maria, al tempo stesso, è Colei che è tutta plasmata e resa nuova creatura dallo Spirito Santo (cf LG 56) e che, perciò, è rivestita di tutti i carismi di cui, lungo i secoli, lo Spirito Santo adornerà la sposa di Cristo.

Non è un caso, penso, che la Chiesa riscopra la coessenzialità proprio nel momento in cui lo Spirito Santo fa emergere in essa il "profilo mariano" che entrambi li contiene, svelando loro la forma della loro vocazione e del loro reciproco rapporto d’amore.

Maria – ha detto Giovanni Paolo II – "maternamente intercede per la Chiesa e l’attrae sulla via della santità e della docilità al Paraclito. All’alba del nuovo millennio, scorgiamo con gioia l’emergere di quel profilo mariano, che compendia in sé il contenuto più profondo del rinnovamento conciliare".

Piero Coda