Cercare di ascoltare lo Spirito Santo anche nell’impegno artistico

 

Spiritualità dell’unità e arte

Riportiamo la testimonianza di due artiste: Liliana Cosi, étoile di balletto classico, e Sarah Finch, attrice, raccontate nel convegno di cui si parla in questo numero della rivista.

Il sogno di ogni artista

Liliana Cosi – Come ogni arte si esprime col suo proprio linguaggio e strumento, la danza si esprime col corpo, con tutto il corpo o meglio con tutta la persona.

Viste con l’occhio della danza, si scoprono nel corpo umano qualità espressive eccezionali: lo si potrebbe paragonare, nelle sue diversi parti, quasi ad un’orchestra, ad un’intera tavolozza di colori, ad un ricchissimo poema, in certi casi ad una scultura vivente. È un’arte che evidenzia l’unitarietà complessiva di esso, soprattutto quando è in movimento. Potrebbe essere il miglior strumento per comunicare.

Nel mio percorso artistico ormai abbastanza lungo e variegato tra Est e Ovest, l’incontro con la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, all’età di 23 anni, ha giocato un ruolo del tutto imprevisto. Mi sembra di poter dire oggi, valido per ogni cultura artistica.

Chiara non mi ha mai insegnato un passo di danza, né mi sembra abbia mai parlato di balletto, ma ha messo l’accento sul motore della vita, di ogni vita umana e quindi anche della mia vita di artista e ballerina: l’amore.

Come la punta di un compasso

È come se mi avesse affinato l’udito per ascoltare e capire la musica, dato occhi per scoprire e ricercare la vera estetica, migliorato il senso della mia corporeità nei confronti degli altri e dello spazio attorno, e così via; mi ha sviluppato un nuovo gusto del bello, mi ha dato un’energia che non sapevo assolutamente di avere, e che ammiravo invece nei grandi artisti.

È dai punti cardine della spiritualità dell’unità, così come li ho vissuti nella mia vita d’artista, che comprendo che può nascere un’espressione tutta nuova dell’essere artista.

Il primo di questi é Dio. Lui, e neanche l’arte, la mia arte, andava messa al primo posto. L’arte è invece uno dei più bei doni che Lui ha fatto all’uomo.

Questo concetto ha segnato la mia vita, come quando per fare un cerchio perfetto si fissa bene la punta del compasso, poi tutto gira attorno, tutto trova il suo spazio.

Sentite cosa dice Gabriela Mistral, premio Nobel per la letteratura, nei primi due punti del suo decalogo dell’artista: "Amerai la bellezza, che è l’ombra di Dio sull’universo. Non esiste arte atea. E se non ami il creatore, lo affermerai creando a somiglianza sua".

Ma ancor prima mi aveva entusiasmato quanto disse Chiara in una sua ardita riflessione sull’arte: "Gli artisti veri, senza saperlo, hanno una missione apostolica: coi loro capolavori ci donano angeli invisibili e silenziosi che ci indicano il cielo".

Come un raggio verso il sole

Il secondo punto é quasi ancor più importante perché è più pratico.

Se Dio è al centro, ovunque sono e qualsiasi cosa faccio, mi rivolgo sempre a Lui, quindi tanto più quando esplico il talento che Lui mi ha dato. L’arte diventa vocazione, diventa la strada, come un raggio che va verso il sole, la via sicura per realizzarmi pienamente come persona, per sentirmi davvero me stessa, libera. Questo vuol dire per me fare la Sua volontà, rispondere al Suo amore.

E, dicendo così, ho presente tutto quello che c’è nella strada di un artista, non certo solo soddisfazioni e applausi, ma soprattutto incertezze, umiliazioni, fatiche, ore interminabili di studio, senso di fallimento, situazioni a volte insostenibili, ma tutto facente parte di quella strada che è rivolta sempre verso il centro dell’anima, dove sta Dio. Tutto acquista una sua luce, il buio non è mai del tutto fitto. Si impara con gli anni ad intessere un colloquio con Lui proprio in questa strada, ed ho sperimentato che non si è più soli.

Con l’Artista per eccellenza

Un altro dei regali di Chiara lo chiamerei "il sogno" per ogni artista.

È l’amore quando diventa reciproco e genera la misteriosa presenza di Colui che é l’Amore, che é l’Artista per eccellenza e crea quell’atmosfera di incanto, di pace, di luce, di forza di lavoro, e dove l’ispirazione si staglia, si amplifica. È l’esperienza più esaltante per un’artista, e certamente la più rara. Andrebbe provata per crederla veramente, e poi riprovare il contrario, per crederci ancora di più!

Mi piace leggere le vite dei grandi artisti del passato e, pensando a loro, alle loro durissime vite, quanto vorrei che per almeno un attimo avessero provato questa ebbrezza, che si potrebbe anche chiamare: "Come in cielo così in terra!".

Ancora una perla: l’amore al dolore

Questa sembrerebbe già una specialità degli artisti, ma Chiara vi aggiunge qualcosa di più. In quel tipo di amore si ritrova Dio, il dolore diventa sempre sacro. Così si ritrova la strada, la forza, la fecondità, si fanno miracoli! E non ci si ferma! …tentazione sempre in agguato per un artista!

Dall’esterno sembra che si sia acquisito un grande equilibrio interiore, un carattere forte, e invece si tratta solo di amore. Amore a Dio crocefisso.

La bellezza in realtà non ha schemi, non ha limiti: basti guardare la natura, che mai si ripete, che è bella anche negli angoli più nascosti, e poi tutta la creazione. Una bellezza così eleva sempre, ma per l’uomo è una conquista, che costa a volte tantissimo. Ma senz’altro ne vale la pena, perché questo è il più bel regalo che l’artista può fare: contribuire a rendere più bella la vita sulla terra.

 

Il coraggio di andare contro corrente

Sarah Finch – Frequentavo ancora la scuola quando ho fatto l’esperienza che Dio mi amava immensamente, e volevo fare della mia vita una risposta a quest’amore. A scuola mi incoraggiavano a diventare attrice. Mi chiedevo come queste due chiamate – Dio e il teatro – potevano conciliarsi. Un giorno, mi sono trovata in un posto molto bello in Inghilterra, accanto ad un fiume, dove la natura cantava la bellezza di Dio. Ho messo le mani nell’acqua, sentendo il bisogno di farmi uno con quella natura. In quel momento un’intuizione: quest’esperienza di Vita è un’esperienza di Dio bellezza, ed è questo che avrei dovuto comunicare attraverso il teatro.

Il prezzo della coerenza

Passano gli anni, tanti lavori, ma sempre con questa ricerca. Ad un certo momento, dopo un bellissimo film per la BBC, in cui ho avuto un ruolo principale, ho ricevuto l’offerta di fare un film ad altissimo livello insieme a due stelle internazionali. Vedo il copione e noto che certe scene sono quasi pornografiche. Ho subito detto che quelle scene non mi andavano, ma ancora mi volevano. In un secondo incontro con i direttori del film ho spiegato che, secondo me, certe scene erano contro la dignità della persona umana e non in consonanza con la mia concezione dell’arte. Comunque continuavano a cercare di convincermi – veramente, tranne quelle scene, ero la persona giusta per interpretare quel ruolo. Era una tentazione fortissima avere davanti a me una carriera meravigliosa, ma sarebbe stato un tradimento al mio ‘io’ più profondo.

Inoltre il mio agente avrebbe anch’egli guadagnato tanti soldi. Ho parlato con lui chiaramente. Egli ha compreso e ha detto: "Ti capisco, io non sarei contento di fare quelle scene". Raccontando quest’esperienza ad altri attori, tanti hanno preso coraggio di rifiutare altri ruoli. Finalmente qualcuno aveva il coraggio di dire di no.

E così non ho preso quel lavoro. Seguirono tre mesi molto difficili: nessun lavoro, nessuna intervista mentre si stava girando quel film. Ad un certo momento, volevo lasciare l’arte, perché mi costava troppo. Ma ho capito che la scelta più profonda è la coerenza, costi quel che costi. Un sì al prezzo dell’arte.

"Tu in me ed io in te"

Poi un’intervista per un piccolo lavoro. Parlando col direttore ho scoperto dentro di me una nuova libertà. Quel patire forse mi aveva staccato dall’arte, per poterla fare in un modo più vero. Era un incontro fortissimo, nella verità. Ho capito quanto fosse stato un momento forte anche per il nuovo direttore, che mi ha poi telefonato dicendo che quella produzione era stata cancellata, ma lui voleva sostituirla con dei monologhi di Samuel Beckett, fatti da me. Una sfida enorme, perché questa parte di solito era affidata ad attrici molto più mature.

Lavorare in quello spettacolo è stata un’esperienza ricchissima: avevo una nuova libertà, una nuova profondità. Nel fare il monologo "Not I" sentivo di dovermi far uno con l’anima di Beckett. Durante le prove erano importantissimi per me come nutrimento artistico i quadri di Caravaggio, senza capirne il perché. Più tardi ho scoperto che l’ispirazione per questo monologo è venuta a Beckett proprio da un quadro di Caravaggio, quello di Giovanni Battista, che ora, penso, si trova a Venezia: "una voce che grida nel deserto". Un grido dell’umanità.

Lo spettacolo ha fatto furore e ogni sera in quel teatro vi era il cartello ‘esaurito’. Mi hanno proposto per un premio. Su un giornale era scritto: "Qui è Beckett che si esprime". Uno spettatore mi diceva: "Anche se non capivo Beckett, capivo tutto, mi ritrovavo in te". Ho compreso che sul vuoto di me, il pubblico poteva entrare in me, e il teatro esprimeva "tu in me, ed io in te": l’unità. Senz’altro tutto nell’arte nasce dal dolore, il nostro ‘parto’ sarà sempre così, e dobbiamo affrontarlo con coraggio, aiutandoci gli uni gli altri.

Da quello spettacolo è nata una piccola compagnia Clarus, (che vuole dire claritas, luce, Spirito Santo), perché c’erano varie richieste di rifare lo spettacolo in alcuni festival. Abbiamo potuto così dar lavoro ad un altro attore. Non sapevamo che aveva appena perso un fratello in circostanze tragiche. Alla fine dei nostri spettacoli, ci ha ringraziato ed ha detto che lavorando insieme a noi aveva ritrovato speranza per vivere.

Cosi Liliana e Finch Sarah