"Un Dio perfetto ci scoraggia e un Dio vero ci oltrepassa, ma se entriamo dalla porta del bello, ogni resistenza cade"

La mia esperienza artistica

La presente esperienza faceva un tutt’uno con diverse espressioni artistiche: musiche e teatro interpretati al vivo, dias e filmati, che costituivano un’unica performance. Qui possiamo offrire solo ampli stralci del testo letto. Chi volesse la versione completa, assieme ad altro materiale riguardante il convegno, la può trovare nel sito Internet <http://www.focolare.org/centromaria>.

Dio Bellezza

Negli anni della mia giovinezza, era opinione di tanti che Dio e bellezza, o per lo meno arte e religione, si opponevano. Si giudicava santità e vita d’artista una contraddizione in termini. Per me erano un tutt’uno, al punto che la fede in Dio era stata intaccata dal pensiero che l’avessi confusa con l’esperienza estetica, dando al Bello, che sperimentavo, il nome di Dio che magari non esisteva.

Dio, in quanto Bellezza, era un’esperienza costitutiva della mia identità. Risaliva ai miei primi ricordi di bambino e non si era mai smentita. Mi sentivo chiamato, insieme, al sacerdozio e all’arte.

La sottile attrazione del nulla

Il tempo anteriore al mio incontro con Chiara Lubich, fu, per questa ragione, un tempo di profondi e forti scossoni, perché quello che sentivo e capivo della mia identità mi pareva senza possibilità d’attuazione.

Non c’era posto per me in un mondo diviso in due parti: il religioso e il profano. Rimpiangevo altri tempi che pensavo avessero reso possibile l’arte di un Beato Angelico, o la fede di un Michelangelo.

E mi veniva in mente l’assurdo: poiché non esisteva, fondare io una comunità d’artisti tutti dati a Dio Bellezza.

Dubitavo. Cercai per anni la prova della non esistenza di Dio, o quella della sua esistenza. Ma nessun ragionamento mi convinceva.

Ero allora studente a Parigi. Tutto dava di me l’immagine di un giovane felice. Lo ero. Ma il dubbio installato nella mia mente rendeva precari tutti gli agi. Ricordo quando una certa notte, dopo uno strepitoso Don Giovanni all’Opera, un abbattimento più acuto mi obbligò a domandarmi se avessi ragioni sufficienti per vivere. Non ne avevo. Ma non trovai nemmeno una ragione per togliermi la vita. E ancora una volta superai la sottile attrazione del nulla.

A Fiera di Primiero

Nel 1959, durante la Mariapoli di Fiera di Primiero, l’intimità con Dio si staccò di colpo dal godimento estetico. Provavo Dio molto vicino a me, ma ogni gusto estetico era sparito. La natura, che sapevo stupenda, era disanimata, simile ad uno scenario di teatro. Dio era sparito dal Bello. Ne rimasi sconvolto e turbato.

Una voce interiore mi disse: "Smettila col confondere Dio con la bellezza, al punto di negare la sua esistenza perché lui ti viene incontro nella bellezza. Credi. Stai attento perché questa può essere l’ultima occasione!". Infatti in Mariapoli mi è stata data l’opportunità di decidere di credere in Dio e di sceglierlo, mettendolo al primo posto.

Un’idea nuova si faceva strada in me: la tua arte sarà vivere Maria, nel senso di dare Gesù Bellezza al mondo. Questo sarà pure il tuo sacerdozio, attraverso le tue opere: dare corpo alla bellezza di Dio.

Lasciando Fiera di Primiero, scrissi una lettera a Chiara dove narravo, nei particolari, tutta la mia storia fino a quest’intuizione della mia vocazione, e chiedevo il suo parere. Ella mi rispose: "Riguardo a quanto mi hai detto nella tua lettera, spero poterne parlare più a fondo quando ti rivedrò, forse a Parigi. Per ora continua per la strada intrapresa. Certo che Gesù mi sembra abbia un disegno su di te. Ma si manifesterà".

Visione estetica del mondo

Nell’inverno 1961 si andava in due macchine verso Roma. Mi sono girato per salutare gli occupanti della seconda macchina. Il sole era già basso. Ho ancora oggi negli occhi la sua bellezza. Pareva vivere, palpitare, danzare nell’azzurro terso.

Il cuore batteva lentissimo. Non respiravo quasi più. Ad un tratto uscirono dal sole delle ondate di luce dolcissima, come un respiro che allargava sul cielo intero, alternando tutti i colori dell’iride.

Pensai al sole come immagine di Cristo, ma la luna come immagine di Maria mancava. Intanto il santuario di Ronchamp sagomava, invitante. Le sue forme bianche di donna forte mi strinsero nella loro potente pace. Compresi che, nel simbolo che mi era stato dato da vivere, Maria era presente, non come la luna, ma come il cielo azzurro che conteneva il sole. Fu quella sera che sentii, più che compresi, che lei era madre del Bell’Amore, e volli esserle figlio.

Il sole era tramontato, ma la sua luce dorata faceva sì che non esisteva ombra, ma solo luce. In questa luce, tutto quanto i miei occhi vedevano, era bello. Dei mistici ebbero una visione religiosa del mondo. Da artista, la mia fu una visione estetica.

Da quel giorno ogni bellezza è relativizzata da questa visione di una bellezza inconfondibile; d’altronde, da quel giorno, so di poter trovare ovunque un seme di bellezza.

L’arte è vanificata, e nello stesso tempo trova una struggente ragion d’essere. Infatti, se Dio vede il mondo così, urge mostrarlo come lui lo vede. E questa è l’arte.

Il gallerista

Un amico di famiglia mi presentò ad un grande gallerista parigino che apprezzò i lavori del giovane artista. Generoso, mi spiegò i requisiti per essere assunto nella sua scuderia, con futuro assicurato. Bastava scegliere una caratteristica formale, facilmente individuabile dal mercato, e attenervisi. Mi mostrò lavori dei suoi protetti. Sì, ognuno aveva sviluppato uno stile di moda, neanche sgradevole per la verità, ma già chiuso su sé stesso, già vecchio. Fuggii, disgustato. (...)

L’Arte moderna

La mia formazione artistica fu sostanzialmente classica, perciò poco aperta all’arte contemporanea. Come tanti ero perplesso davanti ad un’arte che pareva non avesse come meta la bellezza. Ero tentato di rifugiarmi in un passato esteticamente sicuro, quando nessuno dubitava che la meta dell’arte fosse la bellezza, e che il brutto ne fosse il contrario.

Per secoli, l’arte per definizione aveva teso all’armonia, cioè al godimento estetico. In musica le dissonanze erano bandite. Esistevano regole di composizione, d’accostamento di colori. Certe realtà della vita erano considerate banali, non abbastanza nobili per essere oggetto della creazione artistica.

Gli artisti moderni non vollero essere al servizio del mero piacere. Rifiutarono un’arte di divertimento, di consolazione, magari religiosa, aliena dalla realtà.

Rovesciarono la definizione dell’arte. Il bello, in quanto gradevole, cessò d’essere la meta dell’arte. Non ci furono più soggetti tabù. Accostare colori contrastanti e forme disarmoniche, dissonare in musica, usare un linguaggio popolare in letteratura, rompendo con ogni convenzione, ogni regola di composizione, diventò un credo estetico.

Come tanti, ero sconcertato dall’arte moderna. Facevo fatica a conciliare l’idea della bellezza come attributo di Dio e un’arte che, di fatto, si presentava sovente appunto come materialista e di proposito non cercava l’armonia.

Però, come tanti, mi sorprendevo a sentire che certe opere mi toccavano nell’intimo. Rivelavano realtà umane nascoste, dolore, orrore, smarrimento, solitudine e tutti i mali del secolo. Senza compiacenza con il male, anzi si provava compassione e non compiacimento.

D’altra parte non riuscivo a sopportare la letteratura edificante, le immagini pie, e tutta la produzione all’acqua di rose d’artisti così detti credenti.

Il mio interesse per l’arte moderna, per tale film sconcertante, tale romanzo difficile, tale pittura grottesca, tale poesia ermetica, era forse una debolezza o un’imperfezione? Sentivo istintivamente che la verità e il bene erano dalla parte di questo brutto e non di quel bello.

Chiara ha risolto il dilemma col suo consiglio alle prime focolarine che incominciavano a studiare. Diceva loro di non lasciarsi intimorire dalle idee stampate nei libri, ma di amare i pensatori come dei prossimi, vedendo in loro Gesù, magari abbandonato, magari morto, e di ricevere la parte di verità che ognuno aveva da dare. (...)

Così ho fatto con gli artisti. Ho imparato ad amarli. Ho incontrato forse disarmonia nelle loro opere, ma, al di là della piaga del brutto, ho pure trovato tanta bellezza. (...).

Il Risorto
con le stigmate della Passione

Quattro anni fa, alla Mariapoli Faro in Croazia, l’amico Ivan Bregant voleva farmi dipingere. Non ero nella condizione mentale favorevole e, per via della guerra, mancava il materiale. Ho trovato un vecchio lenzuolo, sporco, strappato e qualche resto di colore. Ho dipinto.

Un altro amico, Bostian, sorpreso del mio lavoro, pensò che dovesse esistere, da qualche parte, il secondo lenzuolo del paio. Trovato, pulito, stirato, me lo consegnò per un altro capolavoro. Era consumato, bucato, sbrindellato, da buttare. Ero desolato. Come non disilludere Bostian?

Guardavo con angoscia il relitto che si sfilacciava, e mi venne in mente Gesù abbandonato. Anche lui si sfilacciava. Consummatum est. Abbozzai il gran viso di un uomo dei dolori, incoronato di spine, sanguinante. Ma, con stupore, mi accorsi che non stavo dipingendo l’Abbandonato, ma il Risorto. Due icone opposte unificate. Il Risorto, con le stigmate dell’abbandono.

Sconvolto, guardai per ore l’immagine che si era imposta al mio pennello. Si chiariva nella mia mente l’esperienza estetica di questo secolo.

La Bellezza eterna si è fatta uomo in Gesù. Ha vissuto tutte le vicende della vita umana, le più sublimi come le più banali, le più gioiose come le più dolorose, fino all’abbandono, alla morte. Fino alla risurrezione.

A volte nell’arte contemporanea la Bellezza è ridotta ad un grido inarticolato, ma così si esprime nel modo più totale. Dà a noi il suo Spirito. Sembra morta, seppellita sotto la pietra del brutto. Ma il terzo giorno la tomba è vuota. Qualcuno ci dice che è risorta e che ci aspetta.

Cammina con noi. Ci parla. Il cuore ci arde in petto. Si fa tardi. La fermiamo a cena, ma gli occhi si aprono nel momento che sparisce. La Bellezza risorta non s’impone mai: sparisce, si nasconde nell’anonimato dell’uomo qualunque, nel banale, nel quotidiano. Il sole tramonta, lasciando posto alla luna, Maria, riflesso della Bellezza risorta, sempre presente lì dove la Bellezza è sparita, per guidarci a lei.

La Bellezza è sulla riva del lago, irriconoscibile. Un occhio puro l’intuisce e ci apre gli occhi. Ci buttiamo nell’acqua, e la Bellezza nutre la nostra mente e i nostri sensi, col pane cotto sulla pietra calda.

Ma non quella tutta fascinosità, la bellezza leccata, seducente, sdolcinata fino alla nausea, profumata come un fiore velenoso, eventualmente pia come un baciapile, in verità luciferina perché non incarnata.

La bellezza è forte, ardita, coraggiosa, paziente, non si fa valere, non si prostituisce. A volte può apparire disarmonia, cacofonia, buio, perché, nella sua gloria, porta le stigmate della passione e della morte.

Arte in comunione

Una conseguenza del carisma dell’Unità, molto sentita dagli artisti, è un’arte nuova. Anzi certe espressioni della conversazione di Chiara facevano intravedere un legame intimo – quasi un’identificazione – tra bellezza e verità, tra anima dell’artista e anima del santo... che chiederebbe una riflessione approfondita. (...)

Dimensione individuale e collettiva
dell’ispirazione

La posta in gioco è altissima. Non si tratta solo di lavoro in équipe: in questo senso ogni attività artistica richiede unità. Nell’elaborazione di certe opere tanti artisti sono coinvolti necessariamente in esperienze che assomigliano a quelle più forti della vita d’unità.

Credo che la pietra di paragone sia l’ispirazione artistica. Se esiste nell’arte qualcosa di personale, di solitario, di sacro, è proprio l’ispirazione. Quando l’artista è ispirato, la sua opera è una sorpresa per lui, prima ancora che per il pubblico. È lui il primo sconcertato, il primo sconvolto, dall’audacia di quello che sta creando. Ha bisogno di coraggio, di forza, per non accontentarsi di quello che già sa fare, che già è riconosciuto come bello dal pubblico. La sua solitudine è estrema. È l’ispirazione che lo sprona per la sua evidenza. E tante volte la scelta è eroica.

Parlando della vita spirituale, Chiara ci ha spiegato che Gesù in mezzo a noi è l’altoparlante di Gesù in noi. L’artista che fruisce della presenza di Gesù tra quelli che si amano, sperimenta l’amplificazione della sua ispirazione artistica. Distingue meglio la novità, trova la forza di crederci e il coraggio di buttarsi a crearla con la sua arte.

Dio Bellezza parla a tanti, ma pochi sono grandi abbastanza da infondere nella loro arte la sua esigente novità. Non tutti siamo Picasso o Stravinskij, Joyce o Fellini. Se Gesù tra noi sarà altoparlante di Dio Bellezza, penso che anche noi, piccoli, avremo l’ispirazione, la forza e il coraggio della novità.

L’esperienza con Dori

Ho avuto la fortuna d’essere responsabile del Movimento dei focolari in Belgio insieme con Dori, una delle prime compagne di Chiara. Ero giovane, all’inizio della mia vita di focolarino, e lei mi faceva uguale a sé, rispettava in modo esemplare ogni idea, che poi magari nell’unità tra noi si rivelava essere un’ispirazione.

Alcuni giorni fa mi ha confidato che dopo momenti d’unità, dove avevamo affrontato problematiche della vita del Movimento nel Belgio, certo non dell’estetica, lei si sentiva portata a scrivere poesie e pensava che io avrei dipinto. Non avevamo messo Gesù in mezzo a noi per dipingere o scrivere poesie – sarebbe stato strumentalizzarlo e tutto sarebbe morto – ma lui in mezzo a noi ispirava non solo decisioni riguardanti il Movimento, ma, perché avevamo un talento artistico, ispirava a Dori poesia, e a me pitture.

L’Ideale alla perfezione

Qualche mese fa, è venuto in mente a Chiara di incontrare il mondo dell’arte. Ha scelto personalmente la data di questo convegno, per parlare lei stessa di Dio Bellezza. Ha dato le grandi linee del programma, scelto le conferenze, e certi contributi artistici. Voleva che fosse non un congresso sull’arte, ma un congresso d’arte. Mi sembrava importante. (...)

Oggi abbiamo sentito quanto Chiara si aspetta dagli artisti. Si tratta di attualizzare una terza fase del Movimento. Pensate che la prima volta che Chiara ha intuito che ci sarebbe stata una terza fase dell’Opera, è stato il 22 gennaio 1955!

Diceva: "Verrà una specie di Hollywood, che è il mondo, una specie d’altra città che rappresenta il mondo a doversi fondere in unità con Assisi e con Parigi (cf sopra pp. 72-73); e pazienza lo studio, che è sempre una cosa ancora pura, intellettuale, bella, fatta anche da tanti sacerdoti, ma quando viene il mondo con tutti i suoi divi e le sue dive, con la sua eleganza, le sue mode, i suoi gusti, le sue scienze, la sua letteratura stupida, ecc., tutte queste cose, l’arte, i balli, le danze! E dobbiamo fare unità anche con tutto questo! E dobbiamo farla. Ah, che fusione meravigliosa: Assisi, Parigi, Hollywood! Certo, viene fuori l’Ideale dell’unità alla perfezione, quello che al mondo va proprio a genio".

La perfezione del nostro Ideale. Questo Chiara ci affida. Niente di meno! La sua perfezione, perché è l’incarnazione, cioè il più grande amore, portata alle sue ultime conseguenze. (...).

Dio è Verità, è Bene, ed è Bellezza.

La porta della verità, per i nostri contemporanei s’apre alle volte difficilmente, perché hanno un senso innato dello scetticismo.

Accedere a Dio dalla porta del bene è più difficile di una volta: "Sì, Dio è buono, egli è troppo buono per me. Non sono capace di fare il bene".

Un Dio perfetto ci scoraggia e un Dio vero ci oltrepassa. Se entriamo dalla porta del bello, ogni resistenza cade. La Bellezza è la porta verso Dio per l’umanità contemporanea.

Ma Dio è uno e chi incontra la bellezza, col tempo o nell’eternità, troverà il vero e il bene.

Senza gli artisti, la porta resta chiusa. Siamo noi i professionisti della bellezza. Diversamente, altri, senza talento artistico, sarebbero costretti ad improvvisarsi artisti, e a creare una pseudo-arte ideale. Che tristezza!

Chiara si fida di noi. Vogliamo sviluppare l’Arte in comunione? La comunione delle Arti? La comunione nel lavoro artistico? L’unità tra gli artisti?

Ho chiesto a Chiara quale sarà il prossimo passo. Mi ha detto che, come nasce fra noi una corrente di pensiero politico e il Movimento dell’Unità, come nasce una corrente di pensiero economico e l’Economia di comunione, così gli artisti troveranno il modo per non essere più isolati, e che rifletteranno sull’estetica dell’Arte in comunione.

Quando ero giovane, sognavo una famiglia spirituale d’artisti, ma Gesù mi chiamava ad una famiglia spirituale universale. Oggi questa famiglia inizia una terza fase della propria storia. Sente la vocazione specifica di dare bellezza al mondo.

Dopo tanti anni consacrati a volere bene, e poi a volere vero, eccoci tutti insieme, artisti e non, chiamati a volere bello! A fare bellezza. A fare unità non solo di carità e di verità, ma di bellezza. Tanti dialoghi quasi impossibili sul piano della dottrina o dell’etica, sono già in atto su quello della bellezza. A me pare il centuplo, promesso a chi abbandona tutto per seguire Gesù!

Io ci sto. E voi?

Michel Pochet