Flash di vita

Mauro Bartolini

Tanti nostri lettori hanno conosciuto, personalmente o attraverso i suoi articoli, don Mauro Bartolini, redattore della nostra rivista dall’‘83 al ‘94. Egli è scomparso per un incidente stradale l’11 novembre scorso all’età di 39 anni. Ricordiamo la sua intensa esperienza di vita attraverso due brevi articoli.

"Vado via qualche minuto prima – aveva detto ai suoi alunni – perché devo preparare il pranzo!". In quella sua ultima frase, pronunciata in tono scherzoso, è contenuta paradossalmente la sua breve ma intensissima esperienza. Non era strano, infatti, per lui preparare il pranzo, lo faceva regolarmente, una volta la settimana, per noi sacerdoti con cui condivideva l’ideale dell’unità.

L’incontro forte con Dio amore, Mauro l’ha sperimentato per la prima volta nell’età dell’adolescenza, in un periodo molto difficile per lui. Cresciuto in una famiglia spezzata si era chiuso in se stesso, duramente segnato dall’avvento precoce del dolore. Negli anni in cui frequentava il liceo scientifico, conobbe un gruppo di giovani del Movimento Diocesano dell’Opera di Maria e ne fu profondamente colpito. Si aprì pian piano ad una vita nuova, a un’esperienza di fede e di comunione in cui il suo dolore si faceva dono, amore, spazio per gli altri. Il suo sì a Dio è stato, da subito, una scelta totale e incondizionata. La chiamata al sacerdozio ministeriale è arrivata a Mauro all’interno dell’esperienza di comunione vissuta insieme a tanti altri giovani.

Egli racconta così l’inizio della sua verifica vocazionale, avvenuta negli anni in cui si stava brillantemente laureando in Filosofia:

"Durante un colloquio, un sacerdote che in quegli anni mi seguiva e con cui c’era un rapporto profondo, di colpo mi dice una cosa che non mi aspettavo: guarda che, conoscendoti, mi sembra che in te ci siano le possibilità che Dio ti chiami al sacerdozio. Ci hai mai pensato?

Io sinceramente non ci avevo mai pensato; anzi pensavo in quel momento ad altro: pensavo alla possibilità concreta di formarmi una famiglia, una famiglia bella, cristiana, mi si ponevano davanti anche delle prospettive professionali.

Però avevo capito, dall’esperienza di vita comunitaria che avevo vissuto fino a quel momento, che il fratello era importante per me e quello che mi veniva dal fratello, se c’era la luce dell’amore a rischiarare le sue parole, era un segno di Dio di cui, in qualche modo, dovevo tener conto.

E mi sono fidato. Ricordo bene il momento in cui dentro di me ho fatto questo passo davanti a Dio e ho detto: "Io sinceramente non vedo quello che Tu vuoi da me, però mi fido di Te. Io posso fare una cosa, solo una, il massimo: posso darTi tutto, dirti il mio sì totale, senza riserve, definitivo e mi affido a Te. Io adesso mi metto in cammino, dico sì a questa prospettiva del sacerdozio poi sarai Tu, se questa non è la mia via, a farmi capire che sto sbagliando".

Questo passo mi ha messo tanta pace nel cuore perché era un consegnarmi nelle mani di chi, conoscendomi, poteva fare di me le cose più alte.

Dopo soli due anni di sacerdozio, nel 1989 il vescovo gli chiese di esercitare il suo ministero come Parroco in una parrocchia della città. Mauro accettò con la generosità che lo contraddistingueva così come d’altronde fece tre anni più tardi quando, per venire incontro ad un sacerdote con problemi di salute, il vescovo gli chiese di sostituirlo come parroco nella comunità più grande e problematica della diocesi, in un tipico quartiere popolare dormitorio della periferia italiana. Quelli che lo hanno conosciuto, sanno quale grande passo rappresentasse per lui accettare questo incarico che lo privava tra l’altro della possibilità di coltivare in modo sistematico lo studio verso il quale nutriva una vera passione. Aveva delle capacità speculative, riconosciutegli da tutti, certamente fuori dall’ordinario e che erano come clarificate dall’intensa esperienza di comunione che viveva. Grande risonanza ebbe nell’ambiente accademico la tesi di licenza in Cristologia sul tema: "Il fondamento staurologico dell’analogia in ‘Dio mistero del mondo’, di E. Jüngel".

L’aspetto a cui decise di dare priorità in parrocchia fu proprio quello della comunione presbiterale stabilendo prima di tutto, con i due sacerdoti ed un giovane diacono lì residenti, un patto di unità.

Sottolineava spesso come ciò che conta, anche nell’azione pastorale, non è il fare ma l’essere, eppure in pochissimi anni sono veramente tante le cose realizzate: creazione del consiglio pastorale, valorizzazione del laicato introdotto sempre più in un’autentica esperienza di Chiesa-comunione, rinnovato impulso alla catechesi ordinaria, nascita e sviluppo di vecchie e nuove associazioni e movimenti ecclesiali, nuova e più efficace organizzazione dell’azione caritativa verso gli ultimi, cammini formativi per coppie di fidanzati che hanno prodotto delle vere e proprie conversioni, sviluppo della dimensione missionaria e contatto concreto con alcune Missioni nel mondo, nascita di associazioni culturali d’ispirazione cattolica, rapporti di rinnovata collaborazione con gli enti pubblici amministrativi, soprattutto nell’ambito dell’azione sociale.

Così scrive l’assessore comunale ai servizi sociali: "Don Mauro ha camminato a fianco di chi, nella nostra città, si trova ad essere ultimo. In questo percorso l’ho incontrato ed è ancora vivo in me il ricordo della forza che aveva di agire nella carità. Rimane per tutti noi un modello ed un punto di riferimento".

Tutto ciò dunque, non conseguenza di un attivismo, ma frutto della testimonianza di comunione prioritariamente attuata con gli altri sacerdoti. Era questo l’aspetto che più incideva, e dal quale scaturiva in modo silenzioso ma potente uno stile nuovo di vivere la relazionalità: le persone venivano naturalmente coinvolte nella stessa esperienza. La presenza di Gesù in mezzo a loro trasformava il cuore e la vita della gente. Un componente della corale afferma: "Adesso che avevamo incominciato a capire cosa significa la comunione e cominciavamo a viverla, speriamo che il vescovo possa far venire qui un parroco che abbia a cuore prima di tutto questa dimensione".

Al suo funerale concelebrato da due vescovi e 120 sacerdoti davanti ad una assemblea numerosissima, era presente praticamente tutta la città rimasta profondamente scossa e coinvolta dalla sua morte. Tra i più increduli e turbati c’erano i cosiddetti "lontani", quelle persone che vivevano ai margini o comunque distanti dalla realtà parrocchiale. Con tanti di questi Mauro aveva creato in pochissimo tempo un rapporto personale che lo aveva portato a condividere le sofferenze di tante famiglie donando con intelligenza la luce che gli veniva da Dio.

Racconta un parrocchiano: "Abito nel palazzo verde di fronte alla chiesa. Al sabato mattina vedevo sempre una processione di persone che girava con don Mauro, uno alla volta, e mi chiedevo: ma cosa avranno da dirsi? Erano sempre persone diverse che si susseguivano fino alle prime ore del pomeriggio. Qualche tempo fa ho fatto anch’io quell’esperienza e non finirò mai di ringraziare Dio".

 

a cura di Giampiero Cinelli

 

Itinerario
del pensiero di Mauro

Chi scrive ha condiviso con don Mauro gli anni della formazione teologica e lo ha poi seguito, come professore, nella preparazione della Tesi di licenza e ultimamente nella stesura della Tesi di dottorato.

Come ben sapevano Platone e Aristotele, l’inizio del filosofare sta nello stupore. E chi è stupito trasmette stupore. Schelling, dal canto suo, affermava che il massimo dello stupore lo si prova nell’impatto, imprevisto e rischiarante, con l’evento generatore della fede cristiana: l’abbandono e la morte in Croce di Cristo, segno insuperato e definitivo dell’Amore che è in Dio.

Mauro è avvinto un giorno da questo stupore e lo è sempre di nuovo e sempre più in profondità, in tutto il breve ma intensissimo cammino della sua vita. Lo stupore abita il suo pensiero e il linguaggio, imprimendo in essi un’originalissima tonalità.

Mi riferisco, in particolare, a quelle che amerei definire le sue due "opere maggiori", sotto il profilo teoretico: la tesi di laurea in filosofia, discussa presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata, e la tesi di licenza in teologia dogmatica, discussa presso la facoltà di teologia dell’Università Lateranense di Roma. In esse, ciò che sorprende è la scelta del tema: rivelatrice, in entrambi i casi, della personalità intellettuale, poliedrica e flessibile, eppure decisamente profilata e unitaria, di Mauro.

"L’umanesimo wagneriano tra ideologia ed arte": è il titolo del suo primo lavoro scientifico (1982). Mauro è da sempre profondamente sensibile all’arte, è anzi un temperamento artistico: e il suo interpretare creativamente la realtà ne porta l’inimitabile impronta. Nella lettura che offre della parabola musicale wagneriana, egli intuisce raccolti i grandi esiti espressivi del travaglio moderno: il vitalismo biologico di Siegfried, la tentazione nichilistica di Tristan, l’esodo pasquale di Parsifal. L’interpretazione è ardita: perché ambisce leggere il senso interiore del ritmo musicale nel suo prender forma in queste figure e nel suo snodarsi – logico, eppure libero – dell’una verso l’altra. Senza dissolverle dialetticamente, ma proponendole quali possibilità che diventano reali là dove il dramma dell’esistenza si chiude o si schiude all’avvento di quell’Altro, che sin dall’inizio ha sollecitato l’avventura di ognuna.

Ci troviamo così di fronte all’intreccio dei diversi fili da cui Mauro tesse, con perizia e originalità, la trama della sua ricerca. La cultura moderna, con le sue tensioni, i suoi slanci e i suoi abissi, da un lato; l’arte, dall’altro, come luogo in cui s’annuncia, per trasfigurarla, l’alterità di cui vive e verso cui tende l’esistenza umana; e l’avvento di questa novità nella storia del mondo. "Il Nulla – scrive Mauro, – è il ’punto’, l’attimo in cui l’esistenza e l’Essere si toccano e in qualche modo si congiungono". Nel mentre sperimenta il suo finire, il finito può – per grazia – abbandonar-si per ricever-si così attraverso l’Altro-da-sé. L’arte wagneriana – e soprattutto la musica – si fa veicolo di questa "rivelazione", e cifra dell’anelito più vero del nostro tempo.

La seconda opera di Mauro, che vide la luce, nella sua forma definitiva, una quindicina d’anni dopo (precisamente nel ’97), corona non solo i suoi studi di teologia, ma anche un intenso cammino spirituale, sempre più limpidamente nutrito alla fonte del carisma dell’unità di Chiara Lubich. Un carisma che – per dirla con H. U. von Balthasar – è di quelli che dischiudono uno sguardo nuovo sul e dal centro della rivelazione cristiana. Tutto ciò, a dire il vero, era già presente nello studio sull’estetica di Wagner ma ora – sia per il tema squisitamente teologico che è scelto, sia per la frequentazione della Scrittura e della Tradizione e lo scavo di esse nella vita – viene in luce a tutto tondo. L’argomento è ambizioso, attuale e importante: "Il fondamento staurologico dell’analogia in: Dio mistero del mondo di E. Jüngel". Ciò che ha convinto Mauro a scegliere un’opera come quella di Jüngel, apparsa nel 1977 – e attorno alla quale già alcuni autori di tutto rispetto s’erano cimentati – sono l’inconsueto acume speculativo e insieme l’ampiezza d’orizzonte teoretico, nello spazio di confine tra l’approfondimento dogmatico fondamentale e la ricerca filosofica, che Jüngel impegna attorno a una questione oggi decisiva, come testimonia anche la recente enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio: la riformulazione dello statuto epistemologico del pensiero della fede. La domanda, in fin dei conti, è la stessa della prima opera, e anche la sensibilità con cui è affrontata e i fili di cui è intessuta la linea di risposta sono gli stessi. Ma con ben altra maturità.

Il linguaggio è davvero bello: ricco e persino denso, ma cristallino ed elegante. Lo svolgersi del pensiero luminoso e penetrante. Il vigore speculativo, poi, non è da meno delle pagine di Jüngel che vengono analiticamente esaminate e vagliate. La documentazione critica è di prim’ordine, e sicuro il destreggiarsi nel quasi ingovernabile patrimonio della filosofia e della teologia occidentali. Tanto che la commissione esaminatrice – di cui facevo parte insieme con i professori M. Bordoni e F. Marinelli – fu unanime nel valutare il lavoro di livello dottorale; con qualche aggiunta a carattere sistematico nell’ultima parte – si auspicò – ci si sarebbe potuti presentare entro breve tempo per il dottorato in teologia. E Mauro, infatti, subito dopo approntò un ampio e dettagliato schema in cui, riproducendo i temi dello studio concluso, li completava seguendo le linee prospettiche già individuate.

Ma veniamo al tema sviscerato prendendo spunto dall’opera di Jüngel. Si tratta dell’analogia come evento in cui Dio viene accolto e ridonato nel pensiero e nel linguaggio umano. Mauro ripropone la vicenda dell’analogia nel pensiero occidentale: dalla sua presenza nel platonismo e nell’aristotelismo, alla sua assunzione in ambito teologico nella scolastica medievale, soprattutto in san Tommaso, sino al suo tramonto, connesso alla crisi della metafisica e alla spinta della teologia della croce luterana. Né manca un’acuta rivisitazione della grande disputa che ha contrapposto nel nostro secolo, a partire dagli anni ’30, l’analogia fidei proposta da K. Barth all’analogia entis difesa da E. Przywara. Il nocciolo della difficoltà, che esplode – nella modernità – come quesito intorno alla possibilità stessa di pensare e dire di Dio, sta nell’articolare correttamente la Parola di Dio e le parole umane: senza che la prima renda del tutto vane le seconde, e senza che queste ultime catturino e snaturino la prima. Il grande merito di Jüngel – nel contesto di una vigorosa e generalizzata ripresa dell’analogia – è quello d’aver dato un decisivo contributo al recupero della centralità di essa per il discorso teologico – scrive Mauro – quale "pensiero che corrisponde (nella libertà dell’evento) a Dio, giungendo a superare l’infinita sproporzione tra l’infinito e il finito in una vicinanza/affinità che non dissolve ma libera la differenza concreta tra Dio e l’uomo". Tale corrispondenza si attua, sempre di nuovo e sempre in forme nuove, nell’evento pasquale del Crocifisso/Risorto in cui Dio viene a noi e noi andiamo a e in Dio. Questa l’intuizione di Jüngel, un’intuizione che Mauro non teme di sceverare dall’insieme dell’impostazione teoretica dell’Autore, indicandone con finezza e decisione anche i consistenti limiti.

A questo punto, in dialogo con Jüngel e con le istanze della filosofia e della cultura contemporanea, Mauro abbozza il suo proprio cammino, in sintonia e familiarità con le prospettive dell’analogia trinitaria. L’analogia dell’essere – sottolinea – sta a indicare l’essere l’uno nell’altro e l’uno fuori dell’altro dell’Essere e degli esseri, il cui significato ultimo si rivela – nell’evento pasquale – come l’essere-l’uno-per-l’altro del Padre e del Figlio, e di noi per Lui, nello Spirito.

Qui Mauro s’è fermato. Ma aveva toccato il centro. Ed è stato chiamato a oltrepassare la soglia, e a vivere di e in questa Realtà per sempre: in una novità in cui la sua capacità di stupirsi e di stupire, pur sazia, avrà ancora sempre di nuovo qualcosa d’imprevisto da incontrare.

Mi auguro che la sua opera, tutta o almeno in parte, sia pubblicata. E che qualcuno prosegua il cammino là dove lui è giunto. Mentre sono certo che – ora più di prima – posso pensare e amare con lui, in quell’amicizia che è luogo dove accade la verità.

Piero Coda