Consigli e riflessioni di uno psicologo, utili anche per la pastorale

Come distinguere tra prove spirituali e patologie

Intervista a Pasquale Ionata

I pastori devono costantemente offrire dei consigli nei riguardi delle problematiche e sofferenze personali su cui sono consultati. L’intervistato, noto psicoterapeuta, conosciuto da molti dei nostri lettori attraverso le sue pubblicazioni, offre delle indicazioni preziose per saper discernere, ma allo stesso tempo armonizzare, i livelli spirituale e psicologico.

Prova e malattia

GEN’S: Quale differenza c’è fra nevrosi e peccato? Esiste un criterio per distinguere una persona malata psicologicamente da un’altra che sta passando prove spirituali?

C’è un criterio apparentemente molto semplice ma utile, che si potrebbe sintetizzare così: il nevrotico è una persona che assolutizza il relativo, attraverso scrupoli, ossessioni, fobie, mentre il peccato consiste nel relativizzare l’Assoluto, sostituendo Dio con degli idoli, come il denaro, il potere, il piacere, la propria affermazione e tornaconto ad ogni costo, e via dicendo.

È importante non identificare un nevrotico con un peccatore, non soltanto per non caricare le persone di sensi di colpa inutili e dannosi, ma anche per poterle aiutare meglio.

In genere i sacerdoti sono "tolleranti" riguardo a tanti atteggiamenti, come il "dire sempre di sì", l’autocompiacenza e l’egoismo morbosi, una notevole mancanza di volontà, la carenza d’autonomia decisionale, il voler apparire buoni a tutti i costi per avere un’immagine rassicurante di sé e per farsi voler bene dagli altri, ecc. Non si accorgono che si tratta di patologie psicologiche, e che quindi non si superano soltanto con inviti esortativi, ma investono profondamente il nostro immaginario. La "buona volontà" nella persona che soffre disturbi è utile alla cura psicologica, però non basta.

Naturalmente la distinzione fra le normali tappe di un processo spirituale e la malattia non è sempre netta e chiara. In noi le cose vengono sempre un po’ mescolate, ed un certo margine di squilibrio e di difficoltà è controllabile. Ma quando si arriva a certe misure di gravità e complessità c’è bisogno della cura, o almeno di una consulenza psicologica. Ci sono dei meccanismi che sfuggono alla nostra razionalità, e che per guarirli è necessario un professionista della psiche, come per i disturbi fisici si va dal medico. Per chi non essendo specialista non ha pratica in materia, una spia per capire se può trattarsi di malattia sono le ricadute psicosomatiche: insonnia, stanchezze croniche, emicranie, difficoltà ad alzarsi alla mattina… Come mostra la medicina psicosomatica – basata nel fatto che l’essere umano è un’unità inscindibile – le malattie non hanno soltanto origine chimico-fisica. Le disfunzioni psichiche hanno ripercussione anche a livello della salute corporale. C’è una costante interferenza fra le nostre emozioni e il funzionamento del nostro organismo. Psiche e corpo s’influenzano a vicenda.

Il nevrotico è un malato, non un peccatore, malgrado abbia alla base del suo male psichico un grave errore che lo rende egocentrico e magari gli fa commettere degli atti obiettivamente immorali che recano danno agli altri ed a se stessi. Il peccato invece è un fatto morale, non psichico; esso non produce la nevrosi anche se può favorirla in quanto errore vitale, smarrimento esistenziale, fuga dalle responsabilità della vita. La nevrosi è un serio ostacolo ad una vita religiosa sana e benefica, però può essere guarita attraverso la psicoterapia e restituire la persona alla "vera" religione oltre che alla salute psichica.

Così come non bisogna cedere alla moda della psicologia, pensando che tutto si riduca ad essa e possa essere risolto attraverso di essa, nemmeno si deve fare uno spauracchio delle malattie psichiche. Spesso dico ai miei clienti (preferisco chiamarli così, piuttosto che pazienti): "Lei non è un nevrotico, lei ha una nevrosi, che bisogna guarire". Quando capiscono questo, normalmente fanno un grande salto di qualità nel loro processo di guarigione.

La scienza è neutra?

GEN’S: Quando una persona, soprattutto se cristiana convinta, deve consultare uno psicoterapeuta, è importante che questi sia un credente?

Assolutamente sì, perché – presupposta la sua preparazione professionale – è fondamentale la sua visione dell’essere umano e della realtà. In primo luogo per poter capire meglio l’esperienza spirituale di chi si rivolge a lui, e inoltre perché le sue convinzioni influiranno decisivamente sulle indicazioni terapeutiche che offrirà e che toccano il più intimo della persona e il senso della sua vita.

Sempre, anche a livello inconscio, lo psicoterapeuta trasmette dei valori o almeno dei significati (perché possono essere anche dei disvalori). Quindi è nell’interesse di chi si sottopone ad un trattamento sapere qual è la visione del mondo del professionista a cui si rivolge, senza fidarsi soltanto di frasi tipo "è bravo", "è un amico", "mi sono trovato bene"...

Conflitto psicologia–religione

GEN’S: In passato la Chiesa cattolica ha diffidato della psicologia e avversato la psicanalisi. Mentre nella società secolarizzata si parla degli psicologi come "i nuovi confessori". C’è un qualche contrasto fra religione e scienza psicologica?

Per troppo tempo questa polemica è esistita, e in certi ambienti esiste ancora. Ciò è dovuto a vari motivi, il principale dei quali mi sembra l’ignoranza degli stessi "addetti ai lavori": la disinformazione reciproca degli psicologi sulla religione e delle guide spirituali sulla psicologia. Il miglior auspicio che si può formulare è che ci sia una collaborazione reciproca. Nessuno può sostituire l’altro o, per principio, è migliore dell’altro. Ognuno deve operare nel proprio ambito e confini, con lo spirito di dialogo e collaborazione, cercando il bene dell’essere umano sofferente.

La nevrosi è una prigionia, ed il peccato – secondo l’espressione di Rom 1, 21 – una schiavitù. Quando ci sono dei problemi seri la psicologia può liberare dalle prigioni psicologiche, e lo Spirito del Signore dona la libertà (2 Cor 3, 17; Gal 4, 31). La psicologia aiuta le guide spirituali e le persone di fede, tra l’altro, a non confondere la timidezza con l’umiltà, il sentimentalismo con la devozione, il piacere con il peccato, il ripudio della sessualità con la castità, la paura con la prudenza, la debolezza bonacciona con la carità, la comodità con il distacco dalle cose, l’inerzia con la mitezza, la mediocrità con la moderazione, ecc.

A me piace pensare la funzione della psicologia nei riguardi del Vangelo come quella di Giovanni Battista nei confronti di Gesù. Lo psicologo cura con mezzi psichici; nei confronti del nevrotico lo aiuta a vedere le vie storte nel rapportarsi con la realtà, a colmargli le valli della carenza affettiva, ad abbassargli i monti e i colli di abitudini malsane, a livellargli i passaggi scabrosi per poter incamminarsi con passo libero e responsabile ad incontrare gli altri e le loro esigenze. Ma una volta raggiunta la sanità psichica, "bisogna che io diminuisca e lui cresca", perché c’è ancora molto da fare: per raddrizzare le vie storte degli egoismi, per colmare con l’amore le valli delle incomprensioni fra gli esseri umani, per abbassare i monti della superbia e dell’orgoglio; aiutare in questo cammino è compito soprattutto delle guide spirituali.

Discernimento vocazionale

GEN’S: Diventa sempre più comune negli Istituti Religiosi utilizzare, per il discernimento vocazionale, la consulenza psicologica. È utile?

In linea di massima non sono contrario all’uso della psicologia in questo campo. Dato che i consacrati sono chiamati in genere a una vita comunitaria, è utile un minimo di conoscenza, di "scrematura", sulle caratteristiche personali che nei candidati possono ostacolare (a volte in forma seria) il cammino a cui si sentono chiamati.

Però non bisogna supporre che un disturbo psichico indichi automaticamente che una persona non è fatta per una condotta o stile di vita che essa sente proprio. Dio può chiamare anche un nevrotico (eventualmente avrà bisogno di cura).

Perciò, pur essendo favorevole all’utilizzo degli psicologi – come oggi si fa normalmente anche nelle industrie, negli uffici, ecc. –, penso che lo si deve considerare soltanto un servizio, come può essere quello di un medico, senza assolutizzarlo.

Questo lo capiscono bene coloro che studiano veramente la psicologia ed esercitano da psicoterapeuti, costatando permanentemente i limiti propri ed altrui. Ciò aiuta ad essere umili, senza deliri di onnipotenza. Io temo che, come in passato per l’opposizione, anche l’attuale interesse eccessivo da parte di tanti religiosi per la psicologia dipenda più che altro da ignoranza.

Va un po’ relativizzata la stessa psicologia: farne uso, sì, e in certi casi è imprescindibile, ma il problema vero non è la psicologia, sono gli psicologi. Nessuna psicoterapia è in se stessa infallibile, dipende da chi la fa, è legata sempre alle persone. Quindi anche gli ambienti religiosi che utilizzano la psicologia è bene che si rivolgano a persone qualificate scientificamente, però che siano valide il più possibile anche da un punto di vista morale, spirituale, teologico. Non nel senso di avere una laurea in questi campi, ma che ne abbiano un’esperienza adeguata. La psicologia ha a che fare con l’essere umano che è sempre creatura di Qualcuno. Ridurlo solo a psicologia sarebbe come analizzarlo soltanto da una prospettiva anatomo-patologica.

Amore e sessualità

GEN’S: I giovani d’oggi, sottoposti all’inflazione sessuale, cosa debbono sapere a livello psicologico affinché riscoprano la purezza come un valore da coltivare, anziché da subire o, peggio ancora, da ignorare?

Molto sinteticamente si potrebbe dire che sono tre gli atteggiamenti che l’essere umano può manifestare davanti alla persona amata. Il primo è l’atteggiamento di carattere sessuale che ha come scopo l’aspetto fisico del partner e resta, per così dire, imprigionato in questo aspetto. Il secondo è quello erotico, superiore al primo; si identifica nel fenomeno dell’innamoramento, ed è diretto all’aspetto psichico del partner. Ma anch’esso non permette di penetrare nel nucleo più intimo dell’altra persona. Ciò è possibile solo a chi assume il terzo atteggiamento, quello del vero amore, il più profondo, l’amore chiamato "integrale", e che prende anima e corpo dando la possibilità di entrare spiritualmente in contatto con un "tu".

Questo tipo di amore è tale che colui che ama in questo modo non è più soltanto eccitato nel proprio fisico o scosso dalla propria emotività, ma commosso nel profondo dello spirito. Mentre l’innamoramento puro e semplice "acceca", per così dire, chi ne è preso, il vero amore rende "veggenti", cioè dà modo di vedere e comprendere il profondo di un altro essere umano, in quanto a sé unito nella comunione d’amore; chi lo sperimenta non potrà più rinunciare a questa verità, giacché essa e l’amore sono un tutt’uno.

Solo quando si raggiunge questa dimensione il sesso acquista tutto il proprio significato "personalizzante". Perciò Viktor Frankl, fondatore della Logoterapia, poteva affermare: "Il criterio autentico per giudicare della maturità erotico-sessuale di un essere umano dev’essere ritenuto il seguente: la sua capacità di sostenersi in una relazione monogamica… relazione che si definisce matrimonio". Nell’attuale nichilismo sessuale in cui vive gran parte della nostra società, si cerca invece di compensare la mancanza di qualità con la quantità, e ciò produce effetti disastrosi o almeno insoddisfacenti, perché non bastano le tecniche e il piacere ad offrirci quella gioia e quella felicità a cui aspiriamo.

La vita sessuale umana comprende molto di più del rapporto sessuale. L’essere umano non è al mondo principalmente per godere narcisisticamente o – per dirla ancora con linguaggio logoterapico – per autoosservarsi, per rispecchiarsi nella sua immagine. Esiste e si realizza donandosi, guardando all’altro nell’oblio di sé, offrendosi in conoscenza ed amore. Amore di sé e ricerca del bene dell’altro sono inseparabili, non solo da un punto di vista evangelico, ma anche per una vita psichicamente realizzata e gratificante.

Celibato ed equilibrio psichico

GEN’S: Buona parte del mondo attuale difficilmente capisce la castità dei consacrati. Anzi, si pensa che non solo non è sana, ma che non sia nemmeno possibile viverla, dal momento che l’esercizio della sessualità genitale è un bisogno fisiologico come qualunque altro. Cosa si può dire da una prospettiva psicologica?

Il principio psicologico che spiega la donazione totale di un essere umano, il farsi da sé "eunuco" per il Regno di Dio (Mt 19, 12), è "l’amore assorbente di Dio", per cui tutti gli altri amori impallidiscono al suo confronto.

Esiste una convinzione abbastanza diffusa secondo la quale vi è un rapporto consequenziale fra astinenza sessuale e nevrosi. È stato scientificamente dimostrato invece che l’astinenza sessuale è assolutamente innocua a livello psicoigienico, sempre che la sessualità non venga contemporaneamente stimolata e repressa in modo ossessivo.

Cito a riguardo soltanto il pensiero di Jung: "Se l’astinenza sessuale non è una scappatoia davanti alle necessità ed alle responsabilità della vita e della sorte, allora non è affatto dannosa. Essa deve però essere liberamente voluta e riposare su convinzioni religiose: tutte le altre motivazioni sono troppo deboli e producono la mancanza di unità interiore e con ciò la nevrosi".

Una riprova di ciò la si trova nei tratti che caratterizzano ogni persona celibataria realizzata e quindi matura psicologicamente. Possiamo elencarne alcune a mo’ di esempio. Si trova spontaneamente a proprio agio in tutte le situazioni comuni che affronta. È insieme convintissima di quello che pensa e conscia della relatività di quello che pensa. È "giovane" qualunque possa essere la sua età. Non dà dei consigli precisi e autoritari ma dopo un colloquio con lui ognuno saprà meglio quello che deve fare. È sicuro di essere se stesso ma non sicuro di se stesso, nel senso che si prende così com’è, con molto humour e distacco da se stesso…

Se è vero che il celibato priva certamente di molte gioie, è anche vero che i consacrati conoscono gioie diverse che gli sposati non possono conoscere. Ho sentito definire il consacrato come "la persona dei rapporti profondi", sicché se egli vive la pienezza della sua dedizione, diviene un "maestro dell’amore", e a questi livelli non si può non essere maturi affettivamente. In ultima analisi non sono né il celibato né il matrimonio a dare senso e significato alla vita, ma solo la fede e l’amore che attuano l’autotrascendenza, nel dono di sé all’Altro ed all’altro. Psicologicamente il celibato religioso, nel senso più profondo, non è una via diversa da quella che porta al matrimonio; è sulla stessa strada ma con un significato più ampio.

Omosessualità

GEN’S: Oggi sembrano essere in aumento gli uomini e le donne omosessuali. E le comunità cristiane spesso costituiscono dei luoghi che, per più motivi, attraggono particolarmente queste persone. Potresti dirci un pensiero sul rapporto fra psicologia e omosessualità?

Dovendo limitarmi a qualche cenno nello spazio che ci consente questa intervista, dico soltanto che nessuno è responsabile delle tendenze che trova in sé, mentre ognuno è responsabile dell’uso che liberamente fa delle proprie tendenze. E aggiungo che "responsabile" non è l’equivalente di "colpevole". Accettare l’omosessualità (il che non vuol dire praticarla) dà meno luogo a nevrosi di quando non è riconosciuta.

Bisogna capire che la tendenza omosessuale non è un’abiezione, una cosa di cui vergognarsi, non è un vizio e nemmeno una malattia. È piuttosto una variante della funzione sessuale, in genere provocata da un certo arresto dello sviluppo normale della sessualità.

Freud per primo ha studiato e rilevato le cause psichiche di questo arresto, che secondo lui sono: legame con la madre, narcisismo, complesso di castrazione, rivalità fraterna. Lui stesso diceva che i risultati della cura psicoterapica rimangono sempre imprevedibili, però possono aiutare la persona, – se è infelice, nevrotica, distrutta da conflitti, inibita nella sua vita sociale, – a trovare armonia, pace dello spirito, piena attività. La psicoterapia, pur consapevole dei suoi limiti, può e deve offrire una collaborazione all’aiuto spirituale, senza sostituirlo.

Santità e nevrosi

GEN’S: Sono stati molti gli studi che cercano di mostrare sia i meccanismi psicologici che spiegano i fenomeni mistici vissuti da certi santi cristiani, sia le malattie psichiche che si riscontrano in tanti di loro, anche nei più grandi…

Colui che per la radicalità della sua vita evangelica chiamiamo santo, e il malato, sono entrambi "inquilini" di una stessa realtà: l’essere umano. Il santo può essere anche malato.

Si suol dire che san Francesco d’Assisi era nevrotico, che le sue stigmate avevano origine psicosomatica, che santa Teresa d’Avila era isterica, e così via. Queste diagnosi sono tutte da verificare. Io nella mia non breve esperienza clinica non ho mai trovato persone isteriche che abbiano realizzato ciò che ha fatto una santa Teresa.

Purtroppo c’è una psicologia, che va molto di moda (anche perché questa convinzione c’era nei pionieri della psicologia), che ha una visione squalificante del sacro, del trascendente, del religioso. Considerare solo gli aspetti ritenuti malati dei grandi santi, e credere che lì ci sia l’origine e la spiegazione di ciò che essi sono stati, è un riduzionismo culturale spaventoso. Sarebbe come credere che, perché sono persone del loro tempo, e quindi figli di una certa cultura, di particolari conoscenze scientifiche, di una determinata organizzazione sociale, solo queste cose spieghino la loro sapienza, la loro capacità di gesti simbolici e profetici, il grandissimo amore e l’umanità con cui hanno agito, ecc.

Visto da una visione di fede, bisognerebbe dire che lo Spirito di Dio non può manifestarsi se non attraverso le normali condizioni dell’esistenza umana; ma sarebbe errato fermarsi alle mediazioni; è necessario cogliere ciò che di positivo ed autentico Dio ha manifestato attraverso quelle persone eccezionali.

Malvagità umana

GEN’S: Alle volte si ha l’impressione che alcuni sacerdoti cattolici, dovendo ascoltare permanentemente le difficoltà delle persone dentro e fuori la confessione, siano un po’ negativi nei riguardi della natura umana. Spesso legittimano questo pessimismo teologicamente, attraverso il "peccato originale", il tema paolino "non faccio il bene che voglio ma il male che non voglio", ecc. Qual è la tua esperienza a riguardo?

Quello che dirò, a qualcuno potrà sembrare strano, ma io ne sono convintissimo. Attraverso la mia professione ho potuto costatare quanta poca vera cattiveria c’è nel mondo. Se si vanno a vedere le motivazioni profonde, le difficoltà in cui le persone crescono, certe infanzie vissute come veri e propri incubi… si capisce che la malvagità vera è realmente poca. La psicologia è finalizzata, appunto, a farci comprendere quali possono essere i percorsi, le difficoltà, gli intoppi, i blocchi, che motivano la condotta di una persona. Questo, senza deresponsabilizzare in modo superficiale, ci aiuta ad amare meglio il prossimo, ad essere più "tolleranti", misericordiosi e pazienti.

GEN’S: Un’altra domanda che ha qualche rapporto con quella precedente. Tante volte si trovano persone cristiane che sono – secondo l’espressione di Giovanni XXIII – "profeti di sventura". I motivi possono essere tanti: voler salvare certi valori, affermare la verità anche andando controcorrente, la preoccupazione di fronte ad un mondo che nega Dio e dove crescono tanti aspetti che appaiono negativi… Quale consiglio daresti?

Molto sinteticamente, io direi così. L’autostima è uno dei sentimenti più necessari alla sanità e allo sviluppo psichico. Le persone, per tanti motivi che qui non possiamo elencare, in genere sono molto bisognose di sicurezza, di conferme, d’incoraggiamento. Questo dovrebbe essere un compito tipico delle guide spirituali: coltivare la capacità d’individuare gli aspetti positivi delle persone, le esigenze giuste che si celano nelle situazioni negative, la parte di verità che contiene ogni errore che si sviluppa a livello personale o sociale.

Secondo me l’arte fondamentale dei leaders spirituali dovrebbe essere quella di evidenziare quegli aspetti positivi con obiettività e intelligenza e contribuire a farli crescere. Aiuta molto per poter fare bene questa parte, l’ascolto profondo e disinteressato – il "farsi uno" – con le persone e le situazioni, senza pregiudizi né fretta. Non spaventarsi mai del negativo. Come più volte ha reiterato con saggezza P. Foresi, quanto di negativo cresce nella storia è per i cristiani un richiamo a un’autentica vita evangelica ed a nuove sintesi più sapienti ed aggiornate ai tempi.

Altruismo e sanità psichica

GEN’S: Ho letto più volte e verificato con l’esperienza, che quando una persona affronta un periodo difficile nella sua vita, di depressione, di crisi, bisogna promuovere in lei due cose fondamentali: lavoro utile ed amore altruistico. Saresti d’accordo?

Si. La salute mentale dipende soprattutto da come una persona affronta tre grandi problemi della vita: l’occupazione (lavoro, professione, ecc.), l’amore (matrimonio, celibato, sessualità, ecc.), l’inserimento sociale (amici, rapporti, atteggiamento di servizio, ecc.).

Secondo il grande psicologo Alfred Adler, il senso della vita consiste nel "dare un contributo al benessere della comunità". Infatti l’essere umano, in forza di una necessità biologica, non è solo individuo, ma "persona", cioè un essere comunitario: accanto al sentimento di autoconservazione esiste in lui un senso innato di comunità. È la facoltà di non essere soltanto "per se stesso" ma di poter uscire da sé per donarsi agli altri.

Perciò sono d’accordo con Adler nell’affermare che chi si sente fallito nella propria vita è perché non ha sentimenti positivi verso i propri simili, dato che il suo interesse si ferma soltanto alla propria persona. Ogni essere umano lotta per diventare importante, ma sbaglia quando non capisce che tutta la sua importanza consiste nel contributo che dà alla vita degli altri.

Questa constatazione clinica contribuisce a verificare quanto sia vero da un punto di vista psicologico il Vangelo, mostrandoci l’amore fraterno come cuore della vita della famiglia umana. Il grande problema dello sviluppo umano, è quello di sapere se l’umanità saprà trasmettere alle future generazioni un sentimento sociale e di cooperazione elevato, al punto da farlo funzionare come la cosa più sana e necessaria, come lo sono la respirazione o la stazione eretta.

a cura di Enrique Cambón