Per una visione integrale della persona umana nel campo della psicologia e nuovi possibili orientamenti pedagogici nel campo dell’educazione

Il carisma dell’unità e la psicologia

di Chiara Lubich

Riportiamo la lezione tenuta all’Università di Malta da Chiara Lubich il 26 febbraio di quest’anno in occasione del conferimento del dottorato "honoris causa" in scienze umanistiche con particolare riferimento alla psicologia. L’autrice, partendo dalla spiritualità dell’unità, pone in luce aspetti nuovi riguardanti le scienze psicologiche.

Un grazie veramente sentito a questa Università per aver pensato di attribuire questo dottorato in Scienze umanitarie alla mia persona ed in essa, al Movimento dei Focolari.

Quando venni a conoscenza del loro proposito, mi chiesi cosa poteva significare questo riconoscimento per me. Ed ebbi subito la risposta quando seppi che si voleva riconoscere un contributo significativo nel campo del pensiero umano, per aver tradotto in prassi e metodo di ricerca il nucleo del messaggio cristiano e per aver fondato un modello di vita spirituale caratterizzato dal rispetto dell’individualità della persona e la reciprocità dei rapporti interpersonali. Inoltre per la valutazione positiva del dolore.

In questo modo avrei aiutato a coltivare una visione integrale della persona umana nel campo della psicologia, per esempio, come in altri.

Sarà mio compito, allora, ragguagliare le Signorie vostre su questi argomenti.

Una spiritualità per l’unità

Dirò qualcosa anzitutto della spiritualità del Movimento, come modello di vita spirituale.

Essa si può comprendere più facilmente se si seguono, nella nostra piccola storia, i susseguenti interventi dello Spirito Santo che, attraverso un suo carisma, ce l’ha donata, ce l’ha chiarita, ce ne ha illuminato il suo svolgimento.

Siamo nel 1944. Ho conosciuto alcune compagne. La seconda guerra mondiale infuria anche a Trento, in alta Italia. Bombe, macerie, morti.

Con i bombardamenti scompaiono quelle cose o persone che formano un po’ lo scopo, gli ideali dei nostri giovani cuori. Una di noi, ad esempio, si preparava al matrimonio, ma il fidanzato non torna dal fronte. Un’altra amava portar a termine la propria casa: è stata sinistrata. Il mio ideale era lo studio: la guerra mi impedisce di frequentare l’Università.

Ogni avvenimento ci tocca profondamente. La lezione che Dio ci offre con le circostanze è chiara: tutto è vanità delle vanità, tutto passa (cf Qo 1, 2; 12, 8).

Un ideale che non muore: Dio!

Contemporaneamente Dio mette nel mio cuore per tutte una domanda: ma ci sarà un ideale che non muore, che nessuna bomba può far crollare, a cui dare tutte noi stesse?

Sì. C’è. È Dio. Dio che a noi si rivela potentemente, in mezzo alle stragi, frutto dell’odio, per quello che è: Amore.

Decidiamo di fare di Lui l’ideale della nostra vita.

I genitori sono sfollati nelle valli. Noi rimaniamo a Trento. Ci ospita un appartamento di poche stanze. Sarà il primo focolare. Abbiamo trovato l’ideale per cui vivere: Dio Amore. Ma come metterlo in pratica?

Credendo certamente al Suo Amore in ogni circostanza, che cambia totalmente la nostra vita. Poi cercando di amarlo pure noi.

Fare la sua volontà

Ma Gesù nel Vangelo insegna: "Non chiunque mi dice, Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7, 21).

Niente, dunque, pietismo o sentimentalismo. Fare la volontà di Dio: questo importa. E si fa, con impegno.

La nostra attenzione è localizzata soprattutto su quella volontà di Dio espressa nel comando che riassume tutta la Legge: l’amore verso ogni prossimo.

Lo si attua soprattutto con i colpiti dalla guerra: bisognosi d’ogni cosa, orfani, mutilati, ammalati...

Il comandamento nuovo

Siamo sempre di fronte alla morte. Il rifugio che ci accoglie non è sicuro. Ci assale allora un’altra domanda: ma ci sarà una volontà di Dio che piace particolarmente a Lui? Se morissimo, vorremmo aver messo in pratica quella, almeno negli ultimi istanti.

Il Vangelo risponde e parla di un comandamento ‘nuovo’: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 12-13).

Ci guardiamo in faccia. Ci dichiariamo decise: "io sono pronta a dare la vita per te"; "io per te"; "io per te". Tutte per ciascuna.

Da questa promessa solenne, profondamente sentita, le mille esigenze quotidiane dell’amore fraterno prendono il via. Non sempre ci è chiesto di morire l’una per l’altra. Intanto possiamo condividere ogni cosa: le preoccupazioni, le gioie, i dolori, i poveri beni, le piccole ricchezze spirituali...

Si avverte che, per questo reciproco amore messo in atto, la vita fa un balzo di qualità: il nostro cuore prova una nuova sicurezza, una gioia e una pace mai sperimentate, una pienezza di vita, conosce una luce inconfondibile.

Gesù in mezzo a noi

Come mai? Gesù, Fratello invisibile, silenziosamente si era introdotto nel nostro gruppo. Per il vicendevole amore, si realizzavano infatti fra noi le sue parole: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel mio amore), io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20). Non Lo si vuol perdere più.

Con le mie nuove compagne mi trovo un giorno, per ripararmi, in una cantina buia, con la candela accesa e il Vangelo in mano. Lo apro. Vi è la preghiera di Gesù prima di morire: "Padre... tutti siano una cosa sola" (cf Gv 17). Quelle parole ci mettono in cuore la convinzione che per quella pagina eravamo nate: per contribuire cioè all’unità degli uomini con Dio e fra loro.

Nati per l’unità

Gesù, nella sua preghiera finale sull’unità, aveva pregato anche così: "Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda..." (Gv 17, 21). Se c’è l’unità fra i fratelli, il mondo crede. E così è successo attorno a noi. Si sono moltiplicati i cambiamenti di vita, si è trovata la forza di seguire la chiamata di Dio o di mantenersi fedeli alla propria scelta.

Dopo pochi mesi, circa 500 persone di tutte le età, uomini e donne, di tutte le estrazioni sociali, condividono il nostro Ideale.

Tutto fra noi è in comune, come nelle primitive comunità cristiane.

Io ho già messo da tempo i miei libri in soffitta, perché il lavoro per il Movimento nascente mi impedisce di continuare lo studio; ma anche perché, avendo cercato la verità nella filosofia, allorché ho compreso che Gesù è la Verità incarnata, ho seguito Lui.

Il fascino del Vangelo che diventa vita

Le sue parole lette nel Vangelo ci appaiono uniche, affascinanti, scultoree, da potersi tradurre in vita; sono universali, luce per ogni uomo che viene in questo mondo.

Le viviamo ad una ad una e vediamo che cambia il nostro rapporto con Dio, con i prossimi, con i nemici.

Quelle parole danno il giusto posto a tutti i valori e fanno spostare ogni cosa, anche il padre, la madre, i fratelli, il proprio lavoro... per mettere Dio nel cuore al primo posto. Ma, di conseguenza, hanno promesse straordinarie. Gesù, infatti, agisce da Dio. Per poco che dai, ti stracarica di doni. Sei sola e ti trovi circondata da cento madri, cento padri, cento fratelli e sorelle, d’ogni ben di Dio... È un Vangelo che noi non conoscevamo prima. Non c’è situazione umana che non trovi la risposta esplicita o implicita in quel piccolo libro.

Le persone del Movimento ci si immergono, se ne nutrono, si rievangelizzano e sperimentano commosse e inebriate che quanto Gesù dice e promette, tutto si verifica.

"Date e vi sarà dato" (Lc 6, 38). È l’esperienza quotidiana. Danno, danno, danno e ricevono, ricevono, ricevono. "Chiedete e vi sarà dato" (Mt 7, 7). Chiedono ogni cosa per le molte necessità. E in piena guerra arriva di tutto, che viene distribuito ai poveri della città. Le nuove esaltanti esperienze evangeliche passano di bocca in bocca. Sono una piccola eco delle parole degli apostoli: "Cristo è risorto!". Qui si dice: "Cristo è vivo!".

Gesù nel vescovo

Una parola del Vangelo ci avverte: "Chi ascolta voi (gli apostoli) ascolta me" (Lc 10, 16). Per metterla in pratica ci presentiamo al nostro vescovo. Esponiamo quello che si sta muovendo. Siamo pronte a sciogliere tutto, se egli l’avesse voluto. Nel vescovo è Dio che parla. E Dio importa. Il nostro vescovo ascolta, sorride, dice: "Qui c’è il dito di Dio", e la sua approvazione e benedizione ci accompagneranno fino alla sua morte.

Felicità, scoperte, grazie, conquiste. Questo è Vangelo certamente. Ma sin dall’inizio si è capito che il tutto ha un’altra faccia, che l’albero ha le sue radici. Il Vangelo ti copre d’amore, ma esige tutto.

La scoperta di Gesù abbandonato

"Se il chicco di grano caduto in terra non muore – dice Gesù – rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). Morire, dunque. "Ogni tralcio che porta frutto – ancora Gesù – (il Padre) lo pota perché porti più frutto" (Gv 15, 2). Dolore, ancora. E il dolore sotto tante forme ha sperimentato quest’Opera, come conseguenza del Vangelo vissuto, come provvidenziale necessità per la purificazione dei membri.

Un ulteriore episodio dei primissimi giorni ci ha offerto una nuova comprensione di Gesù crocifisso. In una circostanza – prevista, pensiamo, da Dio – eravamo venute a conoscenza che Gesù aveva sofferto il massimo dolore quando in croce aveva sperimentato l’abbandono del Padre: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27, 46).

Siamo state toccate da questo fatto. E la giovane età, l’entusiasmo, soprattutto la grazia di Dio, spinsero noi, prime focolarine, a scegliere proprio Lui, nel suo abbandono, come via per la nostra vita.

Da allora, dappertutto, abbiamo scoperto il suo volto: nei dolori del nostro cuore, che ci sforzavamo di amare perché espressione di Lui, e in quelli dei prossimi specie se sofferenti.

Egli, che aveva sentito il Padre lontano da sé, che aveva sperimentato in sé la separazione degli uomini da Dio e fra loro, fu da noi ravvisato anche in tutte le divisioni del mondo, grandi o piccole: quelle nelle famiglie, fra le generazioni, fra poveri e ricchi, in seno alla Chiesa stessa fra le varie opere, e poi fra le varie Chiese; e ancora, fra le religioni e fra chi crede e chi non crede...

Ma – ciò è importante – tutte queste divisioni non ci hanno spaventato; anzi, per l’amore a Lui Abbandonato, ci hanno attratto. Egli, rimettendo il suo spirito nel Padre, dopo l’abbandono: "In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum" (Lc 23, 46), aveva insegnato a noi come superare ogni trauma, ogni spacco.

La diffusione nel mondo

Finisce la guerra. Gli aderenti al Movimento possono muoversi per studio, per lavoro o per esigenze di testimonianza: sono chiamati, infatti, in molte città e paesi a narrare quanto hanno vissuto e visto. Dal nord al sud d’Italia silenziosamente fioriscono comunità cristiane sul tipo di quella sorta a Trento.

La Chiesa di Roma, nella sua esperienza e sapienza di secoli, studia il nuovo Movimento e più tardi lo approva.

Il Movimento in questi anni, si è sviluppato secondo un preciso disegno di Dio da noi sempre ignorato, ma che si svela di tempo in tempo. Con una diffusione, che è stata autorevolmente definita un’esplosione, il Movimento varca, nel primi 15 anni, le frontiere di tutte le nazioni europee.

Dal ’58 in poi, arriva nei cinque continenti ed ora è presente in 182 nazioni del mondo, con 4 milioni e mezzo di membri.

I dialoghi

Il 1960 ha significato una tappa nuova: è iniziata la penetrazione dello spirito del Movimento tra fratelli di altre denominazioni cristiane. Sono di 300 Chiese i cristiani non cattolici aderenti al nostro Movimento.

Per tutto ciò che ci accomuna (battesimo, ecc.) e per la nostra spiritualità comunitaria, vissuta insieme, essi sono in certo modo già uno con noi, che ci sentiamo di formare con essi un solo popolo cristiano.

Ci sarebbero da citare anche i contatti avuti, e che si hanno, nel mondo con i fedeli delle più importanti religioni. Basti dire che ormai possiamo portare ai musulmani la nostra esperienza cristiana nelle moschee (in USA, ad esempio), e ai buddisti nei loro templi (come a Tokyo e in Tailandia). Così come a grandi gruppi di ebrei e altri.

Si concorre così, per quell’unione che è già possibile, alla fraternità universale.

Anche molte persone di convinzioni non religiose, al contatto con il Movimento, collaborano con noi a salvare, ad esempio, i valori e ai nostri progetti di solidarietà.

I frutti

E, quali gli effetti di questa spiritualità dell’unità personale e comunitaria insieme?

Partendo dal mondo dei più giovani, i ragazzi non sono più persone "incompiute" o "acerbe", come spesso si pensa degli adolescenti. Diventano "protagonisti". I giovani altrettanto. Essi mettono in opera microrealizzazioni, per venire incontro alle conseguenze di grosse calamità come catastrofi naturali, ad esempio. Le loro manifestazioni attirano l’interesse dei mass-media, fino a raggiungere anche 200 milioni di ascoltatori.

Un ambito nel quale la spiritualità dell’unità scende con la grazia di tutta la sua specificità, è quello della famiglia. Infatti rivitalizza l’amore, insito in ogni famiglia, rinnovando ogni rapporto al suo interno.

Coppie sull’orlo della separazione o divorzio, a contatto con questa proposta vitale, ritrovano la forza per un dialogo nuovo.

Il rapporto tra i genitori, vissuto in unità, è forte riferimento educativo per i figli. Anche la differenza tra generazioni viene trasformata in un positivo reciproco scambio di doni. La pienezza di vita che caratterizza queste famiglie attrae altre famiglie.

Una risposta alla società di oggi

Inoltre la spiritualità dell’unità, perché comunitaria, ha in sé il "codice" per trasformare il sociale.

Questi ultimi anni hanno visto cadere il più grande tentativo di collettivizzazione, fondato sulla estromissione di Dio dalla storia e sull’annullamento della libertà dell’uomo. Oggi, invece, la grande sfida, che mette in pericolo la convivenza umana, viene da un individualismo esasperato e da una massificazione totale, che distrugge la dignità della persona umana.

E come in quel mondo che è crollato, anche nelle società attuali, Dio viene spesso estromesso dalle leggi, dalle strutture, dall’economia, dalla politica, dai rapporti fra i popoli, ecc. L’ideale dell’unità è una risposta all’umanità di oggi. È un collettivo, questo, che non schiaccia l’uomo, ma è costruito dall’uomo che si dona, si offre per amore, liberamente. E, nell’amore, Dio fra noi incomincia a rispondere alle domande drammatiche della società.

Ecco, infatti, prime idee nuove, prime realizzazioni: l’Economia di Comunione, una nuova corrente economica che – se sviluppata – permetterebbe di pensare possibile, anche su vasta scala, l’emulazione dei primi cristiani, i quali, perché un cuor solo ed un’anima sola, non avevano indigenti fra loro.

Ecco l’inculturazione: il rapporto d’amore verso il singolo, il "farsi uno", che diventa rapporto d’amore fra popoli di culture diverse.

Ecco che le opere di carità individuali divengono opere o azioni sociali (ve ne sono più di 1000). Ecco ancora il patto d’amore scambievole fra insegnanti e alunni nelle scuole, fra medici e pazienti negli ospedali, ecc.

E nel campo politico il "Movimento dell’unità", che associa persone di partiti diversi nella salvaguardia dei valori. L’incarnarsi della spiritualità nel sociale fa sì che i rapporti, le strutture, le leggi, incomincino ad essere quelli della famiglia dei figli di Dio.

Questa un po’ la nostra Opera. Ho cercato di mostrarla loro dal punto di vista spirituale, accennando a quello ecumenico, interreligioso, sociale ed economico.

Il carisma dell’unità e suoi risvolti nella psicologia

Ma vi è dell’altro. Il nostro Movimento può essere visto anche sotto l’aspetto teologico, filosofico e, – perché no? – anche quello psicologico ed educativo. Per fare un accenno all’aspetto psicologico, occorre pensare ai principali punti della nostra spiritualità.

Dio Amore:
sicurezza e forza psicologica

In psicologia si sa per certo che il bisogno fondamentale di una persona è di essere riconosciuta nella sua propria identità unica e irripetibile, di non essere considerata un numero o un oggetto.

Normalmente in genere questa sicurezza viene dai genitori, dalla famiglia, dalle doti, dalla educazione ricevuta.... per cui si sente se stessa, distinta dagli altri; ma tutte queste cose possono venire relativizzate (gli altri non la riconoscono, non la capiscono, non la apprezzano, e perciò cade nel senso di insignificanza e nella depressione...).

Ora, la scoperta e il raggiungere la certezza che Dio l’ha voluta e l’ama (che non è abbandonata al caso o a un destino cieco), è la base perché abbia quella sicurezza psicologica che dà senso alla sua vita e uno scopo nel mondo. Solo la certezza che Dio è amore anche per lei, le dà la forza di continuare a uscire da sé, a vivere, ad amare e a creare comunione sociale.

Volontà di Dio:
liberazione dal narcisismo

Si sa che lo sviluppo psichico della persona (dell’Io) inizia dalla fase iniziale del "narcisismo" (essere concentrati unicamente su se stessi, sui propri bisogni e piaceri) per poi allargare progressivamente il campo delle relazioni (ai membri della famiglia, poi nella scuola e nella società); e – si dice – dovrebbe approdare a un Tu trascendente dopo aver superato l’ultimo ostacolo che impedisce la piena maturazione: il proprio Io (Igor Caruso).

In altre parole: la liberazione dell’Io da tutti i condizionamenti interiori e esteriori e, infine, il riconoscere la relatività stessa del proprio Io (smettere di difenderlo, tenendolo in opposizione con Dio o con gli altri) vuol dire accettarsi senza maschere per coordinare la propria volontà a una Volontà trascendente.

L’amore del prossimo:
autorealizzazione

Qui sta la perfezione anche umana, poiché, se la volontà di Dio è l’amare il prossimo, il "farsi uno" col prossimo, vuol dire proprio rinunciare a difendere l’Io per trascendersi nell’altro e in definitiva nell’Altro ("...l’avete fatto a Me"). È stato detto: "Le persone che si autorealizzano, in effetti, hanno relazioni interpersonali più profonde di ogni altro... Esse sono capaci di maggiore fusione, di maggiore amore, di identificazione più perfetta, di una maggiore riduzione delle barriere dell’ego di quanto lo ritengano possibile le altre persone"1.

La rivoluzione nei rapporti

Ora, che Dio sia Amore, e che la sua volontà coincida con l’amore, ossia con l’amare il prossimo, è confermato non solo dall’insegnamento di Gesù, ma anche dall’esperienza psicologica dei rapporti interpersonali: la sola relazione con l’altro che non sia di violenza o condizionamento, ma che riconosca e rispetti la sua "persona" come essere trascendente, è "amarlo come se stessi", poiché il mio amore non soltanto conferma lui nel suo essere distinto da me, uguale a me, trascendente come me, ma "fa essere" anche me. Solo l’amore rende conto della diversità (o distinzione) salvando l’eguaglianza e rendendo così possibile l’unità. La novità della cultura portata da Gesù sta nella rivoluzione dei rapporti interindividuali.

Se prima di Lui i rapporti reciproci erano regolati dal sangue, da affinità di classe, da interessi particolari o da finalità unicamente estrinseche, con Gesù tutte queste motivazioni perdono di valore, perché ogni uomo prende coscienza di essere un valore trascendente, al punto da rappresentare per gli altri Dio stesso: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di quest miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me" (Mt 25, 40).

La rilevanza psicologica di questo dinamismo è evidente: prendendo come esempio la misura massima di questo rapporto, io sono massimamente persona quando liberamente e coscientemente affermo l’altro anche a costo della mia vita: dinamismo che Gesù esprime con le parole: "Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita" per gli altri (Gv 15, 13).

In altri termini: nessuno è così Io, così persona, come colui che per salvare la trascendenza dell’altro trascende se stesso negandosi (esempi di Gesù, padre Kolbe, madre Teresa...). È questo il più autentico "umanesimo" che si possa concepire e raggiungere.

Il senso della sofferenza

La legge psicologica della maturazione personale viene definita anche dalla legge spirituale enunciata da Gesù: "Chi ama la propria vita la perderà; chi è pronto a perdere la propria vita... la conserva per la vita eterna" (Gv 12, 25).

Nel processo di maturazione, infatti, non si raggiunge un nuovo stadio senza il distacco e la rinuncia allo stadio acquisito precedentemente (lo svezzamento è per il bambino un passaggio che implica sofferenza, ma necessario per ritrovarsi più uomo; l’accettazione del fratellino implica il passaggio sofferente da una posizione di centralità – egoistica – a uno stadio di socializzazione, ossia di relativizzazione di sé per integrarsi negli altri e trascendersi).

E si sa che sovente una malattia psichica non nasce di fatto che dal rifiuto di accettare la sofferenza del passaggio (per restarsene comodi nella situazione già conosciuta nella quale ci si trova) per paura del "nuovo" o degli "altri", nei quali non si vedono che agenti nemici che possono limitarmi o anche spersonalizzarmi. Quando infatti si rifiuta la comunione per salvare il proprio Io (paura di venire oggettificati, sfruttati, cosificati, risucchiati, ingoiati, come usano dire gli psicologi, dagli altri), psicologicamente (e anche spiritualmente) si è già morti.

Per C. G. Jung, colui che ha espresso il più alto punto di personalizzazione cui l’uomo può arrivare è proprio Gesù, quando in croce grida: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" poiché proprio nel momento in cui Dio fa l’esperienza dell’uomo mortale, la sua natura umana raggiunge il divino...

Personalità semplice e libera

Altri cardini della spiritualità dell’unità sono: vivere la Parola – imitare Maria. In chi vive la Parola viene in evidenza che la persona autentica è semplice e, perché semplice, libera, poiché ogni forma di attaccamento a sé e alle cose, distrugge l’Io, lo sgretola, sia perché favorisce l’orgoglio e l’autocompiacenza, sia perché costruisce quel "falso Io" che gli psicologi chiamano ego.

Il problema dell’uomo, oggi, sta proprio nella necessità di ricostruirsi un Io integro, liberandolo dalle tendenze dell’ego, ossia da ogni sorta di avidità e di possesso, poiché l’Io integro lo possiede chi sa svuotarsi, spogliarsi, per arricchirsi nella comunione con gli altri. E tutto questo insegna il Vangelo.

Maria è l’icona di questo spogliamento, soprattutto nella sua desolazione ai piedi del Figlio crocifisso che perde. Ma in quel vuoto immenso entrano tutti i figli di Dio.

Gruppo psicologico o comunità?

E infine: l’unità. Psicologicamente, per un individuo non è possibile avere il "senso della propria identità" se non ci sono altri che lo riconoscono come soggetto. Psicologi di ogni tendenza affermano che gli uomini hanno bisogno di confermarsi l’un l’altro nel loro essere individuale mediante incontri e contatti genuini. Si ha infatti bisogno di sentirsi e di venire riconosciuti "diversi" per poter essere dono agli altri. Ma per essere dono personale è necessario entrare in comunione.

E qui sta la differenza tra quelli che vengono chiamati "gruppi psicologici" e la comunità cristiana come Gesù l’ha intesa. Un gruppo psicologico è composto da individui che si associano in vista di qualche finalità particolare (club sportivo, associazione civile, politica o religiosa, sindacati, collegi, seminari ...) e che perciò interagiscono limitatamente agli interessi comuni da perseguire, così che per tutto il resto ognuno rimane chiuso in se stesso.

La comunità cristiana non si forma invece per motivazioni estrinseche, ma per la natura dell’amore che crea comunione. E che questa sia possibile è un dato di esperienza. Che la motivazione per realizzarla venga dall’invito di Gesù – "Amatevi come io vi ho amati... Siate una cosa sola..." – e sia di natura religiosa è evidente, ma gli effetti psicologici sono straordinari: ciascuno essendo relazione d’amore agli altri, si realizza di fatto persona autentica.

Così, brevemente, la nostra spiritualità dell’unità da un punto di vista psicologico.

Oggi la nostra Opera viene premiata e dunque messa come luce, sul moggio. Che se ne tragga gloria a Dio e coraggio a noi per proseguire, mentre non può non salire ancora dal nostro cuore un profondo ringraziamento per coloro che sono stati autori di questo riconoscimento. (...)

Chiara Lubich

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1. MASLOW A.H., Motivazione e personalità, Roma 1973, pp. 271 - 272.