Quando il prof. Mark Borg, dellUniversità statale di Malta, ha detto nella Laudatio per il conferimento della laurea honoris causa in scienze umanistiche a Chiara Lubich che lo stile di vita da lei programmato per sé e per i suoi seguaci "sottolinea un tipo di relazione cui le prospettive contemporanee di diverse discipline convergono", ha voluto accennare alle nuove dottrine oggi comuni, incentrate appunto sulla categoria della relazione, come ad esempio al carattere sempre più trinitario dellantropologia teologica, alla centralità dei temi dellalterità, del "tu" e del "noi" in campo filosofico e delletica, e soprattutto agli sviluppi sempre più numerosi in questo senso proprio in campo psicologico, come alla teoria delle relazioni oggettuali, alla psicologia del self, alla logoterapia, eccetera.
Basterebbe ricordare quellamore reciproco che secondo il Vangelo rende viva la presenza di Cristo in mezzo ai suoi discepoli. Nel vivere questa realtà lattenzione è data al "rapporto", allincontro tra le persone; in esso si genera qualcosa di unico, foriero di potenzialità nuove, ogni volta che queste sincontrano motivate dallamore per "il tu". Si crea, infatti, una realtà nuova che trascende i singoli come tali ed apre ad una dimensione più grande, come una finestra spalancata sul mistero della persona, sul mistero della relazione.
Non solo, Chiara con la sua vita di fede ci afferma che si accede ad un Mistero radicale, a quel totalmente Altro, la cui presenza getta una luce del tutto nuova anche sulle persone che si amano a vicenda, chiarificandole nella loro identità unica e nella loro profondissima comunione; un Mistero in cui è superata lincompiutezza radicale cui è destinata ogni relazione che si chiuda in un rapporto solo "a due" e non sapra ad una dimensione "triangolare" o più precisamente "trinitaria" di apertura allaltro ed allAltro.
Gli psicologi oggi, sulla scia di Max Scheler, di Martin Buber, di Gabriel Marcel, di Emmanuel Mounier e di Viktor Frankl, arrivano a dire che il rapporto io-tu è la base di ogni conoscenza, che la relazione tra uomo e uomo è un fatto che non ha leguale nella natura, e che è la relazione che fa delluomo un uomo (Buber, Frankl), proprio come in teologia si dice che è la relazione che distingue in Dio le Persone. Buber parla della "sfera di inter-relazione" che oltrepassa lambito particolare tanto dellio quanto del tu; di una comprensione dialogica che non si ottiene partendo dallonticità delle due esistenze singole, ma da ciò che si costituisce tra loro e che trascende entrambe e che Frankl chiama "logos dialogico", che Calleri chiama "regno di Dio" e che Chiara chiama, ispirandosi a Matteo 18, 20, "Gesù in mezzo".
Così, quando Chiara nella sua lezione magistrale ha citato Jung a proposito di Gesù crocifisso e abbandonato, mi è tornata in mente una curiosità storica. Lei nel 1949, in uno scritto dove dice che "in Lui è tutto il paradiso con la Trinità e tutta la terra con lumanità", aveva parlato dellabbandono di Gesù come del punto culminante del suo amore per lumanità, considerandolo momento sintesi e quindi anche "simbolo" del creato e dellIncreato; tre anni dopo, nel 1952, Carl Gustav Jung pubblica a Zurigo Risposta a Giobbe dove scrive: "(nel) grido disperato (di Gesù) sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?... la sua natura umana raggiunge il divino (...) e questo attimo supremo è tanto divino quanto umano, tanto escatologico quanto psicologico. Qui, dove si può sentire totalmente luomo, Dio è presente con altrettanta imponenza".
Chi conosce san Paolo sa che "(in Cristo) nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, (Dio Padre) ha ricapitolato tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1, 7.10).
È lui lUomo. E le parole che ci ha lasciato nei Vangeli, se vissute, ci introducono nello "stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli..." (Ef 4, 13-14).
Ci voleva proprio questo coraggio di Chiara per accendere, come ha detto il prof. Mark Borg nellassorta Aula Magna dellUniversità di Malta, "la rivoluzione silenziosa che non esiterei a definire antropologica, viste le conseguenze personali e sociali che essa ha operato".
Silvano Cola