Una sintesi fatta per chi dispone di poco tempo per leggere questo documento, ma con la segreta speranza di invogliare così molti a meditare l’incantevole testo originale

 

Lettera apostolica "Dies Domini"

di Silvano Cola

Nell’introdurre questa Lettera, il Papa ne dà la motivazione dicendo che quando "la domenica perde il significato originario e si riduce a puro "fine-settimana", può capitare che l’uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere "il cielo". Allora, per quanto vestito a festa, diventa intimamente incapace di "far festa". Il cristiano non deve seguire la cultura dell’effimero, ma essere se stesso e "ricuperare le motivazioni dottrinali profonde che stanno alla base del precetto ecclesiale".

Premetto che quanto dirò non esaurisce assolutamente né il contenuto né la bellezza di questa Lettera, e che perciò sarebbe utile e persino piacevole per tutti leggersela senza fretta, come una delle attività culturali e distensive che caratterizzerebbero appunto il riposo e la santificazione della domenica.

Non parlo ad esempio di quello che riguarda il sacerdote celebrante: come deve "verificare in quale modo la Parola di Dio viene proclamata", "preparare con particolare cura il commento alla Parola del Signore, attualizzandola in rapporto agli interrogativi e alla vita degli uomini del nostro tempo", vedere se aiuta i fedeli a crescere nella conoscenza e nell’amore alla Sacra Scrittura. Esporrò quindi solo alcuni punti che possono essere più immediatamente utili a tutti, per vedere se eventualmente ci fossero alcune priorità da rispettare.

Rispondere con amore all’Amore

Se la Bibbia fa risalire la santificazione del sabato (ebraico) al principio del tempo, alla creazione del mondo e dell’uomo, è evidente che non si tratta soltanto di una norma giuridica (Dio non ha bisogno del nostro culto), ma di qualcosa che tocca l’essere umano nella sua stessa costituzione e perciò essenziale alla sua umanità: si tratta cioè del rapporto indissolubile Creatore-creatura, rapporto che si scoprirà essere tra Padre e figlio o anche rapporto sponsale. È l’invito a non dimenticare di rispondere con amore all’amore di Dio che ha voluto il cosmo e noi per legarci a Lui come la sposa su cui riversare il suo amore: "Ti farò mia sposa per sempre...ti fidanzerò con me nella fedeltà, e tu conoscerai il Signore" (Os 2, 20-22).

Nell’invito a santificare il settimo giorno c’è evidentemente anche il riposo dal lavoro che si deve fare per custodire il creato e proseguire, come collaboratori, l’opera di Dio fino al suo approdo nell’eternità; ma prima ancora che pausa lavorativa per rifarsi le forze, si tratta di pausa per "ricordare" che tutta la creazione appartiene a Dio e che noi stessi apparteniamo a Dio, e che se dimentichiamo questo originario e fondamentale rapporto con Dio, anche il rapporto con gli altri prossimi e con la creazione diventa violenza e distruzione.

Il primo significato del riposo settimanale è dunque di "tempo per ringraziare e lodare Dio" che per il suo amore ci ha pensati, voluti e creati fin dall’eternità, dandoci il cosmo come dimora.

Dio rende libera la sua Sposa

Questo rapporto d’amore tra Sposo e Sposa si rompe quando la sposa abbandona lo Sposo dimenticando il vincolo che la lega a Lui e diventa schiava in Egitto (schiava del mondo e del peccato); ma Dio, che ha giurato alla sposa la propria fedeltà, la libera dalla schiavitù facendola uscire dall’Egitto. Questo Esodo, che sarà simbolo della Pasqua, ossia della passione, morte e risurrezione di Gesù e dell’umanità con Lui, è il secondo significato del riposo sabbatico. Dice il Deuteronomio: "Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto, e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente... Perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato" per celebrare con gratitudine e gioia le meraviglie che ha operato per te.

Parole che san Paolo traduce: Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato ed è risorto; l’umanità e l’intera creazione che gemevano e soffrivano nelle doglie del parto hanno conosciuto il nuovo Esodo verso la libertà dei figli di Dio che permette loro nuovamente di gridare: "Abbà, Padre!".

Con la risurrezione di Gesù ha inizio infatti la "nuova creazione": quello che era chiamato il "dies Domini", il giorno di riposo del Signore, ora viene chiamato il "giorno del sole" ossia il "giorno di Cristo" che è la luce del mondo (Gv. 9,5). Giorno dunque di festa e di gioia per essere stati liberati dalla schiavitù, salvati e divinizzati.

Il mistero pasquale, il passaggio dalla morte alla vita significato dal battesimo che ci ha fatti morire e risorgere con Cristo, non soltanto si rinnova ad ogni celebrazione eucaristica, ma anche nel Credo che si recita la domenica, poiché i battezzati rinnovano con esso la propria adesione a Gesù e al Vangelo ravvivando la consapevolezza delle promesse battesimali: rinuncia al mondo e scelta di Dio, passaggio dalla morte alla vita amando ogni prossimo.

Il giorno dell’unità

Il cap. 3 della Lettera apostolica è – per chi vuol vivere la spiritualità dell’unità – molto attuale, perché ricorda che ogni battezzato non è stato salvato a titolo personale ma come membro del Corpo di Cristo e del Popolo di Dio; e che questo essere "uno in Cristo" si manifesta esteriormente quando i cristiani si riuniscono "assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nell’unione fraterna e nella frazione del Pane": è lì che possono rivivere l’esperienza della prima ecclesia fatta dagli Apostoli la sera stessa di Pasqua quando il Risorto si fece presente ad essi riuniti nel cenacolo (cf. Gv 20, 19).

Per questo, il dies Domini, che ore è il dies Christi, è anche il dies ecclesiae, ossia il giorno dell’unità. È l’assemblea domenicale "il luogo privilegiato di unità: vi si celebra infatti il sacramentum unitatis che caratterizza profondamente la Chiesa, popolo adunato dalla e nella unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".

È lì che "le famiglie cristiane vivono una delle espressioni più qualificate della loro identità e del loro ministero di "chiese domestiche", partecipando con i loro figli all’unica mensa della Parola e del Pane di vita".

È lì, nelle Messe domenicali della parrocchia, che "è normale che si ritrovino i vari gruppi, movimenti, associazioni, le stesse piccole comunità religiose in essa presenti. Questo consente loro di fare esperienza di ciò che è ad essi più profondamente comune, al di là delle specifiche vie spirituali che legittimamente li caratterizzano (...). È per questo... che di domenica, giorno dell’assemblea, le Messe dei piccoli gruppi non sono da incoraggiare..." e ogni eccezione, dev’essere sottoposta al giudizio dei pastori.

 

Parola ed Eucaristia

Lo stesso cap. 3 del Documento parla poi della liturgia della Parola e della liturgia eucaristica (che sono la prima e la seconda parte della messa), e dice che "sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto". La spiritualità focolarina ha il grosso merito di averci formati con insistenza non solo ad ascoltare la Parola, ma a viverla, a farne l’esperienza, a comunicarla, cioè a non lasciarla inattiva; così come ci ha pure messo in cuore un amore sviscerato all’eucarestia, tanto da fare a volte sacrifici notevoli per non privarsene, convinti come siamo che ci fa "corpo di Cristo", ossia uno con lui e fra noi; e in questo senso si può dire che almeno dal punto di vista della Parola siamo sulla linea di quanto richiede questa Lettera, anche perché la novità portata da Chiara è appunto la pratica di trasformarla in vita e di comunicarcene le esperienze.

Ora, nel contesto della celebrazione eucaristica il ruolo che dovrebbe avere la liturgia della Parola è ascoltare Gesù stesso che si fa presente all’assemblea come si fece presente ai discepoli di Emmaus per "guidarli alla comprensione della Parola" e, una volta liberata l’anima dalle incrostazioni accumulate, rivedere il disegno di Dio sull’umanità e farci uno con lui, come ci fa uno corporalmente con l’eucarestia.

Carattere comunitario e gioioso

La liturgia dice che dobbiamo nutrirci "alla mensa della Parola e del Pane di vita", ma in modo sempre comunitario. Ora, noi abbiamo l’esperienza di quanto sia fruttuoso e importante, ad esempio, celebrare l’eucarestia dopo aver ascoltato Chiara o un suo tema: ne siamo rimasti incantati e illuminati e fatti uno per aver creato in noi la disposizione a dare la vita l’uno per l’altro; quando poi condividiamo le nostre esperienze, ci sentiamo e siamo un solo corpo, che è il corpo di Cristo; per cui, quando riceviamo l’eucarestia – afferma Agostino – e il ministro dice "Corpo di Cristo", in realtà ci chiede: "Sei il Corpo di Cristo?", ossia: sei uno con Cristo e con i fratelli? E se noi possiamo rispondere: "Amen", allora possiamo cibarci del Corpo di Cristo.

Si capisce, dunque, perché la liturgia della Parola è importante come la liturgia eucaristica. Bisognerebbe allora evitare di "arrivare in ritardo" magari pensando che l’importante è fare la comunione... e anche testimoniare di essere "uno" col rispondere tutti alle parti dialogate e col non starsene in disparte come ragazzi fuori del coro...

La Lettera del Papa sottolinea molto, del resto, come l’assemblea eucaristica è "un evento di fraternità", a cui contribuiscono pure la preghiera dei fedeli attenta ai bisogni dell’intera comunità, e lo scambio della pace. Finita la messa, si parte per la "missione": siamo mandati a "testimoniare il Risorto con la nostra vita" nell’ambiente in cui viviamo.

Un particolare non secondario da attuare quando è possibile, è che "bisognerebbe assicurare alla celebrazione quel carattere festoso che si addice al giorno commemorativo della Risurrezione del Signore". Ossia, alla domenica dovrebbe esplodere la gioia del cuore, con canti e con fiori...

I paragrafi della Lettera dal 46 al 49 riguardano il precetto di non perdere la messa domenicale, inculcato ai cristiani fin dai primi secoli. La Didascalia degli Apostoli, del III secolo, dice ad esempio: "Nel giorno del Signore lasciate tutto e correte con diligenza alla vostra assemblea perché è la vostra lode verso Dio. Altrimenti quale scusa avranno presso Dio quelli che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la Parola di vita e nutrirsi dell’alimento divino che rimane eterno?" Ma su questo non è necessario soffermarci.

I consigli del Papa

È importante piuttosto vedere i consigli che il Papa offre per santificare tutta la giornata della domenica.

Per le famiglie – dice – sarebbe una opportunità di ritrovarsi con tranquillità per una reciproca comunicazione e comunione, imparando ad ascoltarsi.

Per tutti ci sono varie possibilità: fare un pellegrinaggio ad un santuario; riscoprire e gustare le "meraviglie della natura, lasciandosi coinvolgere in quella stupenda e misteriosa armonia che al dire di sant'Ambrogio unisce i diversi elementi del cosmo in un vincolo di unione e di pace"; "scegliere, tra i mezzi della cultura e i divertimenti che la società offre, quelli che si accordano meglio con una vita conforme al vangelo... ."

Fare in modo, cioè, che il riposo domenicale porti un arricchimento spirituale e culturale e faccia sperimentare quella più grande libertà che avremo nei "cieli nuovi e nella terra nuova", dove la liberazione dalla schiavitù dei bisogni sarà definitiva e totale. Il giorno del Signore può diventare così, nel modo più autentico, il giorno dell’uomo.

E quindi anche giorno per gli uomini, giorno in cui si può attuare la cultura del dare. I paragrafi dal 69 al 73 parlano appunto della solidarietà cristiana, perché la gioia del Risorto deve arrivare anche ai più poveri, come si è sempre fatto o inculcato fin dai tempi degli apostoli.

Per fare solo una citazione che rispecchia bene questa cultura della condivisione, la Lettera riporta tra le altre una frase del Crisostomo: "A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando lui (Cristo) muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l’altare."

Insomma, se la domenica è giorno di gioia – scrive il Papa – "occorre che il cristiano dica con i suoi concreti atteggiamenti che non si può essere felici da soli. Egli allora si guarda attorno per individuare le persone che possono avere bisogno della sua solidarietà. Può accadere che nel suo vicinato o nel suo raggio di conoscenze vi siano ammalati, anziani, bambini immigrati che proprio di domenica avvertono in modo ancora più cocente la loro solitudine, le loro necessità, le loro condizioni di sofferenza (...). Perché, allora, non dare al giorno del Signore un tono di condivisione, attivando tutta l’inventiva di cui è capace la carità cristiana? Invitare a tavola con sé qualche persona sola (o povera), far visita a degli ammalati, procurare da mangiare a qualche famiglia bisognosa... ."

Col cuore in festa come Maria

Verso la fine (n° 84) c’è come un riepilogo del significato della domenica per i cristiani.

"Sostegno della vita cristiana, la domenica acquista naturalmente anche un valore di testimonianza e di annuncio. Giorno di preghiera, di comunione, di gioia, essa si riverbera sulla società, irradiando energie di vita e motivi di speranza. Essa è l’annuncio che il tempo, abitato da Colui che è il Risorto e il Signore della storia (...), è la culla di un futuro sempre nuovo , l’opportunità che ci viene data per trasformare i momenti fugaci di questa vita in semi di eternità (...). E di domenica in domenica (la comunità cristiana) illuminata da Cristo cammina verso la domenica senza fine della Gerusalemme celeste, quando sarà compiuta in tutti i suoi lineamenti la mistica Città di Dio, che "non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina, e la sua lampada è l’Agnello" (Ap 21, 23)."

Il Papa termina con una novità mariana: dice che Maria, "senza nulla detrarre alla centralità di Cristo e del suo Spirito, è presente in ogni domenica della Chiesa. È lo stesso mistero di Cristo che lo esige. Come potrebbe infatti Lei, che è la Mater Domini e la Mater Ecclesiae, non essere presente a titolo speciale, nel giorno che è insieme dies Domini e dies Ecclesiae?"

Penso voglia dire che la domenica dovremmo avere il cuore in festa come può averlo avuto Maria il giorno della Risurrezione di Gesù.

Silvano Cola