Le ispirazioni dello Spirito Santo si fanno sentire dentro di noi in modo sottile ma chiaro: bisogna imparare a riconoscerle

Ascoltare "quella voce"


Una delle realtà che avvertono, già dai primi momenti, coloro che cominciano a vivere la spiritualità del Movimento dei focolari, è un rapporto nuovo con lo Spirito Santo. Un incontro che non può ridursi ad una relazione personale con lui, ma che si esprime in conseguenze molto concrete per la vita in tutti i suoi ambiti. Le esperienze qui riportate, pur puntuali nella loro quotidianità, risultano tipiche e significative.


Dentro di noi

Un frutto caratteristico del nostro rapporto con lo Spirito Santo è imparare a distinguere le sue ispirazioni.

Dal momento che siamo "templi" dello Spirito (1 Cor 3,16; 6,19) è ovvio che esso si manifesti in noi. Eppure non sempre riusciamo a cogliere la sua "voce". Spesso ci sentiamo come una radio non ben sintonizzata, dove i vari messaggi si sovrappongono. Perciò risulta fondamentale il mutuo amore fraterno, quell'unità dove si manifesta la presenza del Risorto (cf Mt 18,20), che – come è stato detto – ci fa da "altoparlante" di ciò che lo Spirito ci suggerisce dentro. Tutti possiamo sperimentarlo nel quotidiano.

Ricordo ad esempio quando uno di noi doveva decidere in quale Paese e con quale indirizzo avrebbe dovuto continuare i suoi studi. Sapendo che si trattava di un passo fondamentale per il suo futuro, aveva preso una decisione in una certa direzione, fondandola in diverse ragioni che, di fronte agli altri, avevano una logica inespugnabile. Eppure quella opzione, senza confessarlo nemmeno a se stesso, l'aveva scelta per dispetto, come reazione ad un torto che gli sembrava di aver subito. Difficilmente Dio può svelarsi in tali condizioni. Infatti è bastato che una persona molto più esperta nelle cose di Dio, gli domandasse con grande amore: "Sei sicuro che è questo ciò che devi fare?", perché immediatamente si accorgesse che stava sbagliando, che aveva preso quella decisione mosso non dallo Spirito ma dall'orgoglio ferito. La presenza e l'atteggiamento di quel fratello è bastata per fargli riconoscere ciò che nel fondo del cuore già sapeva, ma da solo non riusciva a prenderne coscienza ed a realizzarlo. Cambiò rotta, e gli anni seguenti mostrarono quanto ciò fosse stato importante per la sua vita e, come conseguenza, come sempre succede, per quella di tanti altri.

Un'altra cosa che si prova spesso è che soltanto se amiamo con la misura della croce riusciamo a capire cosa lo Spirito ci suggerisce. Ed è logico che sia così, perché quando siamo offuscati dal dolore, adirati, attaccati a qualcosa, non siamo né liberi né lucidi nel senso giusto. Non ci mettiamo nelle condizioni di poter cogliere la volontà di Dio: è come se ci mancasse "l'antenna" adeguata. Quell'inscindibile rapporto che mostrano gli attuali studi biblici, fra l'abbandono/morte di Cristo in croce e la sua consegna dello Spirito all'umanità, ce lo ritroviamo anche come legge della nostra esistenza: ci apriamo allo Spirito e gli permettiamo di esprimersi in noi, in proporzione di quanto dolore tramutato in amore c'è nella nostra vita.

Negli altri

Si sperimenta che questi dinamismi sono veri anche quando ascoltiamo gli altri.

C. Lubich ha detto più volte che santo è colui che sa discernere il disegno di Dio sulle persone e le aiuta a realizzarlo. Questa potrebbe essere anche una "definizione" di chi ha il compito di guidare una comunità cristiana: ascoltare profondamente, senza fretta, le persone, per cercare di capire la loro vocazione, cosa Dio chiede loro, permettendo così che trovino il proprio posto nella comunità. Molti considerano ciò una perdita di tempo, mentre è un investimento incalcolabile. Anche se un pastore non facesse altro, avrebbe già fatto tantissimo, giacché le persone diventano più felici trovando la loro realizzazione, e cresce sempre più il numero di coloro che assumono delle responsabilità nella comunità, secondo le proprie caratteristiche e i doni dello Spirito.

Un tale atteggiamento risulta anche decisivo di fronte ai problemi e alle sofferenze su cui le persone vengono a chiederci consiglio. Una sola esperienza fra tante. Si trovavano in una parrocchia per un incontro diversi seminaristi che condividevano la spiritualità dell'unità. Il parroco era assente. Suona il campanello ed era un religioso che cercava il parroco per consigliarsi su un grave problema. Vedendo che c'erano solo i seminaristi, ha chiesto se poteva raccontarlo a loro, perché doveva trovare urgentemente una soluzione. Si sono seduti ad ascoltarlo con profondo silenzio ed attenzione, lasciando da parte il loro programma. Vedendo che si trattava di un problema grosso e complesso che superava le loro conoscenze e la loro esperienza, in un primo momento hanno cominciato a preoccuparsi: "Come faremo noi, giovani, a dare una risposta soddisfacente a questa persona anziana, così sofferente di fronte alla situazione difficile che sta vivendo?". Però perdevano i propri pensieri per farsi uno con lui, cercando di capire il suo problema fino in fondo. Quando ha finito di parlare, pensavano che attendesse da loro una risposta. Invece prima che aprissero bocca, ha detto: "Ragazzi, non ho bisogno che mi rispondiate. Il vostro amore mi è stato di luce. Non soltanto ho capito cosa devo fare ma trovo anche le forze di farlo". Ha commentato cosa pensava di fare, ed anche ai seminaristi sembrava la cosa più opportuna. Doveva andare via subito per cui non hanno fatto altro che accompagnarlo fino alla porta facendogli festa, mentre partiva con il volto raggiante e riconoscente.

Nel ministero

Solo alcune persone hanno la grazia di assistere a quei doni dello Spirito narrati dal Nuovo Testamento e che oggi riacquistano attualità, come le guarigioni o la glossolalìa. Ma tutti, permanentemente, possiamo costatare l'opera potente dello Spirito all'interno delle persone. E non raramente ciò è motivo di vera contemplazione e ci fa, in certo modo, assaporare in anticipo il Paradiso.

Un luogo privilegiato al riguardo – lo sanno bene i sacerdoti – è il ministero della confessione. Si avverte l'Amore di Dio che, anche attraverso le difficoltà e gli eventuali sbagli, chiama le persone ad un amore più grande. Dopo le confessioni, se le si ascolta solo per amore evangelico, al sacerdote non rimane dentro qualcosa di negativo, ma un senso di ammirazione per ciò che Dio opera attraverso tutte le circostanze, anche quelle che sembrano più tragiche e storte. Intanto l'ascoltare profondamente e con tutta la carità possibile ciò che ci viene confidato, fa cogliere più facilmente cosa Dio sembra volere da quella persona. Poi, quando essa si è espressa fino in fondo e tocca al ministro parlare, e questo cerca di farlo non ripetendo delle frasi fatte o applicando delle "ricette" belle e pronte, ma va in fondo al proprio cuore e cerca di "pescare" quello che lo Spirito gli suggerisce, molto spesso vede che le sue parole danno nel segno. Normalmente la persona s’illumina perché, toccata da Dio, trova qualcosa per la sua vita. Alle volte bisognerebbe fare una fotografia prima e dopo la confessione o il colloquio, tanto diversi sono i volti delle persone quando arrivano e quando partono. Non si esagera dicendo che si assiste a veri "miracoli" dello Spirito.

Un'altra occasione per vivere questo tipo di cose lo si trova nei commenti alle letture bibliche delle Messe festive. Almeno se si cerca di non "fare la predica" (sintomatico che nel popolo questa frase sia diventata espressione di qualcosa di negativo), di non dare soltanto delle indicazioni teoriche (alibi sempre più facile a misura che si cresce in età e conoscenze), ma di offrire qualcosa della propria esperienza dell'ideale cristiano. Ci sono due indicatori per capire se si è riuscito a donare qualche goccia di quella sapienza che viene dallo Spirito Santo. In primo luogo costatare se ciò che abbiamo detto ha costruito qualcosa anche in noi. E inoltre vedere se ha lasciato nella gente degli elementi per la vita, per crescere in senso evangelico. Quando si crea quel silenzio, quell'unità che fa spazio allo Spirito, con frequenza vengono a dirti che senza saperlo hai detto "giusto, giusto" quello che serviva per rispondere ad una situazione o ad una tappa particolare che stanno vivendo. "Sembrava che tu sapessi cosa avevo dentro e parlassi apposta per me", dicono ad esempio. Oltre i normali meccanismi per cui ognuno applica e interpreta secondo ciò che ha dentro, si tratta senz'altro di un tipico fenomeno spirituale: lo stesso Spirito che agisce in noi, è quello che scruta, conosce e risponde nell'intimo degli altri.

Istituzione e carismi

Costantemente è possibile vivere episodi simili anche a livello comunitario. Si comprende come mai Chiara Lubich abbia detto che, quando si riunisce ad esempio il Consiglio pastorale di una parrocchia per progettare le attività e orientare i vari aspetti concreti della comunità, se ha a disposizione un'ora, non abbia scrupoli di usare – si fa per dire – 40 minuti per fare unità, per scambiarsi esperienze, per ascoltarsi, per creare un clima di famiglia. Su questa base, è facile che nei 20 minuti restanti la luce dello Spirito Santo ci permetta di programmare cose che incidono e diventano moltiplicatrici di vita nuova.

Si soffre parecchio e bisogna saper attendere che le persone maturino, quando ci si trova in posti dove non si è abituati a vivere, anche comunitariamente, in modo tale che "passi" lo Spirito Santo in ciò che si dice e si fa. Quante volte si partecipa a raduni dove qualcuno sottopone un problema e gli altri membri del gruppo lo sommergono di parole per dargli consigli e soluzioni. In genere non dicono cose in sé sbagliate, ma per mancanza di pratica non hanno saputo ascoltare con sufficiente amore, per cui non c'è abbastanza sapienza in ciò che dicono. E quindi non si risponde a ciò di cui quella persona o quella situazione hanno bisogno.

Lo stesso succede quando ci si trova fra persone appartenenti a gruppi diversi. È normale che ci siano non soltanto proposte ma anche punti di vista o convinzioni ideologiche differenti. Per evitare il caos e superare gli eventuali conflitti, ci vuole lo Spirito Santo, che può spaziare soltanto dove – oltre una sufficiente conoscenza della realtà analizzata e una preparazione sull'argomento di cui si parla – c'è un vero ascolto reciproco.

Qualcosa di simile vale nei riguardi di coloro che, istituzionalmente, dovrebbero costituire dei "canali" dello Spirito per la chiesa. Dei giovani una volta si chiedevano come mai un vescovo, pur avendo lo Spirito Santo, nel cercare di risolvere un determinato problema in un settore di cui era responsabile, avesse detto tante sciocchezze. Conversando con loro, alla fine si è convenuto che l'assistenza dello Spirito non è qualcosa di magico e scontato. Oltre alle disposizioni personali, è essenziale la cassa di risonanza della comunità, perché possa manifestarsi pienamente. Quando si verificano queste condizioni, si sente tante volte da parte di chi ha parlato: "Vi ringrazio del vostro ascolto, della vostra unità, perché ho capito e detto delle cose che prima non avevo pensato"... e normalmente si tratta di parole che gettano nuova luce sul tema trattato.

Un fenomeno analogo succede nei riguardi delle diverse istituzioni e organizzazioni. Alle volte succede che un vescovo – pur incoraggiando i suoi sacerdoti e seminaristi a vivere la spiritualità dell'unità, perché li aiuta a vivere meglio la propria vocazione diocesana –, chiedano allo stesso tempo che ciò non sia limitativo, cioè che non impedisca loro di essere aperti a tutti. In realtà, ciò che constata ripetutamente chi è impegnato in modo sano e maturo in una spiritualità ecclesiale adeguata ai tempi, è che costituisce un'illusione pretendere di essere "neutri" e di nessuno per poter essere di tutti. Al contrario, l'esperienza mostra che quanto più si approfondisce un autentico carisma dello Spirito, più ciò aiuta ad amare e comprendere gli altri carismi.

A riguardo ricordo l'episodio vissuto da un viceparroco, in una cattedrale con molta vita e istituzioni. Appena arrivato il parroco gli chiede due cose: "Primo: se hai qualcosa contro di me non parlare alle mie spalle, vieni a dirmelo personalmente; secondo: non mi "focolarinizzare" la parrocchia". Il giovane prete gli ha risposto, innanzitutto, che poteva stare tranquillo, perché la sua prima priorità era la comunione con lui, e che avrebbe cercato di seguire il motto "meglio il meno perfetto in unità che il più perfetto in disunità"; non avrebbe cioè portato avanti nessuna iniziativa in cui il parroco non fosse d'accordo. Riguardo alla seconda richiesta, ha potuto mostrargli che sulla scrivania aveva i regolamenti, gli statuti, i testi base di tutti i gruppi che funzionavano in parrocchia. Aveva approfittato di quei primi giorni per andare a trovarli e chiedere che glieli dessero. In un primo momento i responsabili dei gruppi reagivano con una certa diffidenza, tra l'altro perché il prete era appena tornato da Roma dove aveva concluso i suoi studi, e temevano che venisse con una "mentalità giuridica" o infatuato delle sue conoscenze, e quindi s'interessasse più delle strutture o delle idee astratte che della loro vita e delle loro esigenze profonde. Si tranquillizzavano quando spiegava loro che voleva soltanto capire il loro carisma per poterli amare meglio, cioè per cercare di non imporre la propria spiritualità ma rispettare e assecondare ciò che lo Spirito voleva operare in loro.

Quando ci si avvicina con questi atteggiamenti, spesso i membri delle varie associazioni e movimenti dicono: "Ci hai capito come mai ci era successo prima". O se si fa loro una conferenza su qualche tema che ci hanno chiesto: "Hai parlato come fossi uno di noi". Infatti, quando due carismi s'incontrano, se ci si muove secondo lo Spirito essi non si escludono né si soffocano, ma si emulano e si ravvivano a vicenda.

Pregare "secondo lo Spirito"

In una recente intervista di una rivista francese specializzata sulla preghiera, Chiara Lubich (coincidendo con tante altre grandi personalità cristiane esperte in questo campo), diceva che è diverso pregare il Padre, il Figlio o lo Spirito, e che è bene rivolgersi in modo distinto ad ognuna delle Persone della Trinità a seconda delle necessità o gli ambiti a cui ci si riferisce.

Un mio interrogativo esistenziale però, che avevo da sempre, era quello su cui tanti teologi oggi mettono in guardia: cercare di non cadere in un certo "triteismo" pratico, di fare cioè – senza volerlo ma di fatto – del Dio Trino ed Unico, tre Dei. Come evitare ciò ad esempio nella preghiera?

Finché ho capito che l'unità nella preghiera e in tutta la nostra vita ce la dà lo stesso Spirito, il quale facendoci diventare sempre di più Gesù, ci fa rapportare con il Padre come figli nel Figlio.

L'esprimeva così il vescovo Klaus Hemmerle nella sua bella guida alla preghiera intitolata Con l'anima in ascolto: "Pregare significa: abbandonarsi nel Figlio e farsi portare da Lui nello Spirito al Padre. Pregare significa: introdursi nel colloquio tra Figlio e Padre nello Spirito, assistere a questo colloquio, poter parlare nel Figlio al Padre, e, in Lui, imparare dallo Spirito come dev'essere il proprio cuore e la propria parola perché si aprano al Padre. Questo spazio della preghiera non è uno spazio particolare accanto alla vita bensì la vita stessa... la mia vita diventa l'inizio della preghiera... abito nella casa del Padre, tra Figlio e Padre nello Spirito".

Questo "abitare" la Trinità è quello, penso, che fa tanto attraente quella frase di P. Foresi in un suo noto tema sulla preghiera: "Pregare è tornare a casa".

Al di là delle istituzioni

Una delle grandi linee con cui il Vaticano II ha aggiornato la chiesa cattolica, è quella di riconoscere che lo Spirito di Dio è al lavoro in tutti tempi, in tutte le latitudini, in ogni persona di buona volontà. Gli stessi cristiani di tradizione protestante, più restii in questo senso a causa della loro tensione ad affermare la novità ed unicità di Cristo, oggi lo stanno scoprendo e affermando in modo nuovo: "lo Spirito soffia dove vuole" (Gv 3,8).

La cosa che risulta più difficile – anche per coloro che hanno acquisito dimestichezza nel riconoscere l'azione dello Spirito nelle persone di ogni estrazione religiosa e ideologica –, è discernere i segni dei tempi e l'azione di Dio nelle concrete e complesse realtà sociali, economiche, politiche, culturali.

Certamente lo Spirito non vuole fare di noi – per dirla con la nota espressione di Giovanni XXIII – "profeti di sventura", ma persone positive che sanno individuare e far crescere, anche nei momenti più difficili (ed ogni epoca lo è in qualche modo), quanto nella storia corrisponde al progetto di Dio sull'umanità. Qualcosa che mi è successo recentemente mi sembra emblematico.

Una frase che mi aveva colpito e che condividevo in pieno del libro-intervista del card. Ratzinger pubblicato sotto il titolo Rapporto sulla fede, era la seguente: bisogna sempre domandarsi "quale verità si nasconde nell'errore e come recuperarla pienamente". Un giorno leggo in una lettera inviata da un sacerdote ad una rivista, un'altra frase dello stesso libro: "un errore è tanto più pericoloso quanto maggiore è la proporzione del nucleo di verità recepita". Questa sembrava in parte offuscare il positivo della frase precedente, per cui mi sono domandato in quale contesto l'avrebbe detta il cardinale. Vado a guardare il libro... e le due frasi appartenevano allo stesso paragrafo! Con due sensibilità diverse, ognuno di noi aveva "letto" soltanto quella che gli era più consona. È un fatto che ho visto ripetersi un'infinità di volte. Fa parte della dinamica normale della conoscenza umana. Però per ciò che riguarda ancora lo Spirito Santo, è lui che ci permette di cogliere la verità che ognuna di quelle frasi racchiude: nella misura in cui si approfondisce il nostro rapporto, egli fa crescere in noi sia l'istinto e la capacità di discernere l'errore dalla verità, sia la sapienza di saper scoprire le esigenze legittime che si nascondono anche dietro presentazioni sbagliate o insufficienti

Enrique Cambón