"Chiesa vuol dire mettere in comune ciò che si è, anche la propria inventiva"

 

Andare oltre la balaustra

di Giancarlo Moretti

 

Santarcangelo di Romagna, una paese medioevale che conta 14.000 abitanti: è di questo comune la frazione di S. Agata, una comunità di 1.200 persone, ormai completamente immersa nel vortice della città di Rimini. Tutta la zona è molto ricca grazie alla fertilità del terreno, alla caratteristica intraprendenza della gente che ha creato una rete straordinaria di piccole industrie, di imprese artigianali, oltre alla notissima industria alberghiera. È nota anche per le tradizioni anticlericali e per il ruolo attivo dei movimenti anarchici, anche se adesso si avverte un forte bisogno di recupero delle proprie origini culturali ed etiche. Come fermentare col vangelo un simile ambiente?

Quando decisi di entrare in seminario il mio papà mi raccomandò: "Tu, però, stai sempre al di qua della balaustra". Intendeva dire che dovevo rimanere vicino alla gente, vivere come chi soffre e chi spera; che dovevo accogliere i problemi, le angosce, le difficoltà di tutti i giorni per non diventare un distaccato, un "professionista del sacro".

L’ideale di vita evangelica che in seguito ho incontrato nel Movimento dei focolari, mi ha fatto riscoprire in una luce nuova la raccomandazione di mio padre: essere con la gente vuol dire che, prima di insegnare la dottrina cristiana, devo vivere la Parola come Maria, perché – come si usa ripetere nella nostra regione – "molto si dice con i fatti, poco con le parole".

Ho imparato a mie spese che non sono le attività, ma piuttosto i contatti, i rapporti che pian piano fanno sentire le persone più vicine, fino a condividere anche i sentimenti più profondi. E nel dialogo e nella stima reciproca passano sia il messaggio sia la persona stessa di Gesù.

Qualche piccola esperienza al riguardo.

"Costruiamo ponti"

A Rimini c’erano state manifestazioni promosse dal Movimento dei focolari che avevano favorito un certo avvicinamento con gli amministratori della città. Echi erano arrivati anche nella mia parrocchia ed alcune persone che avevano partecipato attivamente, ne avevano colto anche lo spirito.

In seguito, la parrocchia aveva collaborato attivamente alla "1a Giornata su Piero Pasolini e la cultura dell’unità" celebrata nel novembre 1992. Questo scienziato focolarino è nato a Borghi, un paesino vicinissimo a noi. Anche tale avvenimento aveva suscitato particolare interesse, facendoci fare uno scatto culturale.

Ma fu soprattutto nell’autunno del 1995, in occasione della mostra "Costruiamo Ponti" – un evento di arte e cultura, – che la parrocchia come animatore principale si sentì partecipe di un progetto ad ampio respiro culturale e religioso insieme.

Come scrisse la rivista Città Nuova: "A questo punto si può ben dire che di ponti se ne intrecciano in tutte le direzioni. Fra realtà d’ispirazione dichiaratamente cristiana come la parrocchia di S. Agata di Santarcangelo, e altre aperte alla dimensione interconfessionale, come Umanità Nuova e la Ginestra, con organismi decisamente laici come gli enti pubblici o soltanto economici come le aziende che hanno collaborato all’iniziativa".

Questi eventi – sostenuti da alcuni amici decisi a spendersi con radicalità per la verità, per il bello, per ogni forma di bene, o chiaramente per Gesù – hanno coagulato nell’unità aspirazioni e ideali di persone le più varie per cultura e impegno sociale, con momenti così intensi da poter dire, alla fine, da parte nostra: "Abbiamo sperimentato la presenza di Gesù fra noi..."; e da parte degli altri: "Non si è mai vissuto, in questa città, un evento culturale così alto e coinvolgente...".

Imprenditori, politici, artisti, uomini che a diverso titolo lavorano in ambito scientifico, tecnico culturale, hanno trovato le vie per lavorare insieme: hanno conosciuto l’ideale dell’unità. La parrocchia è divenuta il luogo d’aggregazione di forze, di esperienze e di competenze diverse.

Io, come parroco, ho imparato a rispettare i vari ambiti di competenza, a non servirmi delle persone per realizzare opere buone, e meno che mai per realizzare progetti personali; ma, stimolato a vivere tutto nell’unità, ho cominciato a mettermi al servizio dello Spirito, perché si compiano le opere che Egli suggerisce nella comunità. Tutto questo mi ha condotto ad aprirmi ad una progettualità che quasi mai può essere perfettamente definita fin dall’origine.

Dalla festa patronale al workshop

Altra occasione interessante è stata ed è la festa patronale. È naturalmente il momento in cui si fanno bilanci e progetti sul piano della carità, che esprime le finalità della parrocchia stessa:

– Carità sul piano delle opere, perché non vi sia alcuno cui manchi il necessario. Ciò per noi è intollerabile, soprattutto perché qui la ricchezza è tanto abbondante e diffusa;

– Carità sul piano culturale e formativo, perché vi sia sempre ricchezza di riferimenti di pensiero che diano libertà dall’invasione delle banalità quotidianamente propagandate;

– Carità sul piano spirituale perché ognuno dando il meglio di sé, si senta accolto, e scopra di essere fratello nel rispetto delle distinzioni di età, fasce culturali e diverse sensibilità...

Ci sembrava un’esigenza della carità verso ciascuno curare la festa in tutti i suoi aspetti: economico, formativo, folcloristico, artistico e culturale. Sentivamo anche l’esigenza di essere accoglienti verso ogni categoria di persone.

Nello spirito delle molte attività che si sarebbero potute fare per aumentare il senso della condivisone, ci siamo chiesti nel consiglio parrocchiale come rapportarci con gli imprenditori. Solitamente ci si rivolge loro considerandoli come sponsor, per avere denaro; essi vengono poi lasciati ai margini delle iniziative parrocchiali intraprese. C’è sembrato che la maggior ricchezza che essi ci potevano offrire non andava ricercata nel denaro che hanno e avrebbero potuto dare se generosi, ma nell’offerta del loro spirito imprenditoriale; nel loro modo di rapportarsi alle cose, nel loro coraggio e nella loro inventiva.

Insieme agli imprenditori sono venuti anche gli amministratori pubblici. Ci siamo trovati su di uno stesso piano, nella stima reciproca, come collaboratori inseriti in una medesima missione umana. Si è così costituita in parrocchia una commissione che ci aiuta a portare avanti il dialogo con loro.

La sua azione si svolge in due direzioni: all’interno della parrocchia per favorire la formazione dei suoi membri nello spirito dell’unità in dialogo coi valori che emergono dal mondo aziendale; all’esterno, curando i rapporti con le aziende presenti sul territorio parrocchiale e con i professionisti e gli amministratori.

Per alcuni anni c’è sembrato che un incontro conviviale – e si sa cosa significa la convivialità in Romagna – sia stato lo strumento migliore per favorire i rapporti tra le persone: quanto più ci si conosceva tanto più sono cresciute le occasioni per andare in profondità. Abbiamo scoperto che in Gesù, il fatto solo di conoscersi porta sempre a risultati di reciproca fiducia e quindi a possibili imprese comuni.

Gli imprenditori hanno avvertito che chiesa non vuol dire preti che chiedono per distribuire secondo il loro giusto criterio, ma significa mettere in comune ciò che si è, e quindi anche la propria inventiva.

Uno di questi diceva: "Don Giancarlo, io non prendo l’asma in chiesa per il fumo delle candele, ma se non partecipassi a questi momenti che voi organizzate come farei a resistere nella vita d’impresa?".

Da questa posizione al comprendere la cultura del dare il passo non è poi così grande. Anche gli imprenditori imparano che si può ricevere e che, proprio perché si riceve ricchezza umana, ci si fa carico dell’impegno finanziario per far sorgere nuove realtà di pace e di reciproca fiducia.

Un professionista, che avevo conosciuto molti anni fa a scuola, diceva soddisfatto: "Qui ho ritrovato gli ideali in cui credevo in gioventù e che poi avevo abbandonato perché ritenuti utopie...".

Tale maturazione avvenuta tra gli imprenditori ha portato i giovani a capire che questa parrocchia, ove si cerca di vivere la comunione, può diventare il luogo nel quale essi trovano comprensione e stima. Per questo l’hanno scelta come posto privilegiato dove apprendere a vivere la vita come responsabilità: " Veniamo qui, dicono, perché vogliamo imparare a diventare uomini".

Commissione per il dialogo

Molti hanno voluto associarsi alla commissione parrocchiale che cura i rapporti con le imprese. È nato così un folto gruppo che studia il senso della diversità dei ruoli delle persone nella comunità umana. Ci s’incontra mensilmente e si tiene un ritiro nei tempi forti.

In questo contesto l’economia di comunione è apparsa il punto d’arrivo del nostro cammino umano, e "rappresenta la via che dà spazio alla libertà e alla dignitosa situazione economica di tutti".

Questo gruppo ha preparato per il 29 marzo scorso un Workshop dove è stata offerta ad oltre 100 persone tra imprenditori, professionisti e giovani laureati, la possibilità dì sperimentare il senso e la ricchezza umana spirituale ed economica dell’Economia di comunione. Sono persone della parrocchia e amici, seguiti con assiduità dal gruppo promotore, quindi già un po’ sensibili all’idea di Economia di comunione.

Titolo del workshop: "Per un’economia compatibile: il ruolo dell’impresa tra profitto, etica e socialità". Cornice ai lavori un castello medievale, esistente in parrocchia, di proprietà di un amico di cultura laica offerto come segno di condivisione.

La riuscita è andata oltre le attese. Un consulente d’impresa che opera a livello intenzionale manifestava sorpresa ed entusiasmo, e diceva: "Che meraviglia che una parrocchia, una realtà sociale che fino ad ora per me sapeva solo di stantio e ammuffito riesca ad infondere tanto entusiasmo in moltissime persone, così diverse e tutte prese dalla stessa finalità".

A me è stato affidato il compito di dare i punti della spiritualità, nella conferenza introduttiva. Altri si sono poi agganciati per un approfondimento economico e per cogliere "elementi di compatibilità" fra economia, psicologia, arte e impresa. Ho cercato di essere il più possibile fedele al pensiero di Chiara e di non discostarmi dalla mia esperienza di vita; ho preso però lo spunto dal patrimonio del pensiero universale di Dante nel Paradiso della Divina Commedia, di Giacomo Leopardi e di altri artisti, sicché chiunque si è ritrovato in questo linguaggio, si è sentito interpretato ed ha scoperto le proprie convinzioni e aspirazioni più profonde.

Ma chi ha veramente parlato è stato Gesù presente fra di noi. Infatti, alla fine di ogni valutazione sui singoli interventi, era sottolineato il fatto che nessuno era apparso per se stesso, ma veniva in rilievo l’insieme della giornata e a tutti veniva riconosciuto il suo merito: a chi aveva preparato il pranzo come a chi aveva dato i temi, e ciascuno riceveva un grazie alla pari.

Come parroco non potevo limitarmi semplicemente ad accogliere gli altri, ma neanche ho avuto alcuna pretesa di dirigere i lavori. Sono entrato nel progetto per crescere con gli altri in un’esperienza tanto più ricca quanto più libera nella carità.

Oltre i temi e l’ambientazione ha parlato anche l’arte. Il pomeriggio, infatti, ha visto la ripresa dei lavori con un momento artistico. Sono intervenuti un flautista, un attore, una conduttrice radiofonica e la ballerina Liliana Così, etoile della Scala di Milano: l’unità fra gli artisti ha trasmesso unità nella sala, pur nella straordinaria diversità di pensiero dei convenuti. L’arte è il "pedagogo" che conduce l’economia a ritrovare se stessa, a scoprire la differenza fra i mezzi (il profitto soprattutto) e gli scopi visti nell’unità fra i componenti di un’azienda e le altre bisognose di aiuto per una ripresa.

A conclusione della giornata, l’amministratore delegato di una multinazionale affermava: "L’economia di comunione è il punto più alto dell’economia sociale e perciò dell’economia in sé!".

Una svolta nel dialogo

Mi pare opportuno ricordare qui un incontro che ebbi con l’amministratore di una prestigiosa clinica della zona. Mi ero recato da lui per invitarlo al workshop. Egli aveva compreso che l’impresa non può avere come finalità prioritaria il profitto economico. Ciò gli appariva tanto più chiaramente in quanto egli si occupa di una clinica in cui il primo obiettivo è quello di portare sollievo alla sofferenza. E, riconfermando la sua assenza di riferimenti religiosi con una di quelle espressioni colorite che si sentono ripetere spesso con tanta fantasia, ha aggiunto: "Solo tu mi puoi aiutare. Non ha senso che una clinica sia una società per azioni con il profitto come primo obiettivo. Vorrei scindere la società per azioni dall’amministrazione della clinica; vorrei che diventasse una società non profit. Solo tu puoi accompagnarmi in questo percorso".

Ho aggiornato gli altri componenti del nostro gruppo, che hanno gioito con me. Ci ha raggiunto la consapevolezza che se un non praticante si rivolge alla chiesa per compiere questo balzo in avanti nel suo rapporto con l’azienda, con tutto ciò che ne consegue in relazione agli operatori e agli ammalati che vi sono accolti, "noi non possiamo limitarci a dare generiche indicazioni morali o teologiche – diceva uno del gruppo – e non possiamo insegnare come si può raggiungere un ideale così alto. Dovremo entrare con questo medico in una ricerca che offre la parrocchia come luogo di accoglienza, libera dallo spirito di giudizio, in attesa che lo Spirito sopravvenendo, ci conduca alle scelte più opportune...". E tutti uniti abbiamo subito deciso di puntare ancora più in alto nella qualità di quella giornata che stavamo preparando per gli imprenditori.

In seguito altri due amministratori ci hanno chiesto una consulenza per adeguare la loro azienda alle esigenze dei tempi e di un’economia "più compatibile" con le attese dell’umanità.

In questo contesto ho visto molti giovani, che un tempo erano non solo addolorati, ma aspri nel criticare la chiesa e il loro prete, mutare d’animo ed esprimere sì la loro tristezza per le mie inadeguatezze, ma senza più risentimenti. I limiti ce li portiamo sempre con noi; ma il principio della correzione fraterna non è più a senso unico... ora è nella reciprocità: e questo è già in qualche modo "cieli nuovi e terre nuove".

Giancarlo Moretti