"Questa comprensione reciproca così alta, che si realizza tra noi, è un segno del futuro"

 

A colloquio con alcune personalità musulmane

di Piero Coda

 

Il relatore, che è consultore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e coordinatore di una specializzazione in "scienze della religione" all’Università del Laterano, racconta l’esperienza di un suo viaggio in Iran.

Origine e tappe

Sono stato come gettato in questa "avventura" che sto per narrare. In essa ho cercato di lasciarmi guidare dalla Luce e dall’esperienza del carisma dell’unità, oltre che dalle mie non approfondite conoscenze dell’Islam.

Vorrei offrire prima il quadro generale di questo viaggio in Iran e poi leggervi alcune pagine di diario, in cui ho riportato più ampiamente il racconto di due degli incontri più profondi e promettenti che ho vissuto.

Dal 4 al 12 febbraio scorso, dunque, ho compiuto una visita culturale in Iran, su invito del Segretariato per il dialogo interreligioso del Ministero della Cultura.

Nell’estate scorsa la signora Shahrazad Hushmand, iraniana musulmuna trasferitasi in Italia con la famiglia per ragioni di lavoro, avendo già studiato teologia islamica a Qom (la "città santa" dell’Iran), ha voluto proseguire i suoi studi approfondendo la conoscenza della teologia cristiana nella nostra Facoltà. Si è intanto anche avvicinata alla spiritualità dell’unità.

In estate Shahrazad ha parlato di questa positiva esperienza a Teheran, e in novembre è giunto l’invito ufficiale accolto in accordo col Rettore della Lateranense, Mons. A. Scola, anche al fine di avviare uno scambio a livello accademico.

Numerosi gli incontri e le attività svolte, tutti con buon esito. Ne ricordo alcuni dei più significativi.

Un primo incontro è avvenuto con il signor S. A. M. Mirdamadi, segretario per il dialogo interreligioso, al Centro culturale "Imam Khomeini" di Teheran, con l’illustrazione delle iniziative di dialogo interreligioso realizzate dalle rispettive istituzioni; e successivamente con l’ayatollah Taskhiri, presidente del Centro, con cui si sono approfonditi i quattro elementi ritenuti fondamentali per un vero dialogo: la confidenza reciproca e la reciproca accoglienza; l’apertura di entrambi alla verità di Dio; lo scambio a livello di esperti; la collaborazione concreta su obiettivi comuni precisi.

Il 5 febbraio sono stato ricevuto, presso il Centro teologico che dirige alla periferia di Teheran, dall’ayatollah Emami Kashami, considerato uno dei maggiori teologi dell’Islam sciita. L’incontro è stato davvero speciale, come poi dirò.

Il 6 febbraio è stato dedicato a una visita del museo di archeologia e di storia e a quello della civiltà islamica di Teheran e alla partecipazione, nella cittadella universitaria, all’imponente preghiera del venerdì.

Il 7 febbraio, incontro con l’ayatollah Muhammad Khamenei, fratello di Alì Khamenei, il leader religioso dell’Iran succeduto all’Imam Khomeini, che dirige il Centro di Studi filosofici, impegnato nella diffusione del pensiero islamico. Si è parlato di Platone e Aristotele e dell’apporto del loro pensiero alle tradizioni religiose islamica e cristiana, dei fecondi contatti tra teologi e filosofi cristiani e musulmani nel Medioevo, di Mullah Sadra, filosofo mistico persiano di cui è in corso di pubblicazione l’opera omnia. Si è affrontato anche il tema della mistica e delle sue più cospicue espressioni contemporanee, e si sono delineate alcune possibilità di collaborazione a livello di ricerca scientifica.

Il pomeriggio, ho tenuto una conferenza pubblica, per circa 200 tra docenti e studenti, al Centro di Sapienza e Filosofia Islamica di Teheran. Il tema affrontato – Dio e la creazione – ha avuto ottima risonanza. Molte le domande di approfondimento e le richieste di corrispondenza. Il testo verrà pubblicato dalla rivista del Centro.

L’8 febbraio visita a Qom. Qui, dopo una sosta alla grande moschea dov’è venerato il corpo di Fatima (sorella dell’ottavo Imam, molto cara alla devozione degli sciiti), siamo stati accolti al Centro di studi teologici femminile. È la prima volta che un teologo cristiano è invitato a tenervi una lezione. Ha tradotto in simultanea la signora Shahrazad, che è stata allieva a Qom per 7 anni. L’eco è positiva nei professori e nelle oltre 400 studentesse (provenienti da più di 30 nazioni). Il direttore, prof. Tabatabaj, mi ha invitato a tornare per un periodo più lungo. Molto cordiale anche l’incontro, subito appresso, con l’ayatollah Mesbah Jasdi, rettore dell’Università. Ha incontrato il papa a Roma, di cui ha grande stima, e molti leaders religiosi nel mondo e ha deciso di impegnare la sua vita per l’incontro tra le religioni.

Il 9-10 febbraio, visita a Esfahan, l’antica e meravigliosa capitale dei Safavidi, con la famosa moschea fatta costruire dallo scià Abbas I.

L’11 febbraio, infine, incontro con una veneranda figura di maestro spirituale: l’ultranovantenne Hag Esmael, testimone vivo della tradizione mistica del sufismo islamico, e partecipazione a una seduta spirituale di una confraternita di dervisci.

Un canale di dialogo è stato così aperto. Aggiornato del viaggio, il card. F. Arinze, Presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, mi ha scritto: "Le mie felicitazioni per i contatti che ha avuto e per il modo come ha saputo promuovere il dialogo, suscitando una comunicazione ad alto livello spirituale. (...) Preghiamo perché i semi lanciati ora maturino e diano frutti abbondanti e duraturi per il dialogo islamo-cristiano in Iran".

Tra le prime iniziative per proseguirlo, si prevede per il prossimo anno accademico un invito da parte del Laterano all’ayatollah Emami Kashami, per alcune conferenze e una serie di incontri in Vaticano e col Movimento dei Focolari.

Dalle pagine del mio diario di viaggio stralcio alcune pagine riguardanti l’incontro e il dialogo con l’ayatollah Emami Kashami e il maestro Hag Esmael.

2. L’ayatollah Emami Kashami:
un incontro davvero speciale

Il 5 febbraio, l’ayatollah Emami Kashami ci attende alle 15, 30. La famiglia di Shahrazad è sorpresa di questo invito, data la posizione altolocata del personaggio. Egli, infatti, è membro del cosiddetto Consiglio di Conservazione della Fede, formato di sei membri, che – come una sorta di Corte Suprema o Costituzionale – ha il compito di vagliare la coerenza delle leggi approvate dal Parlamento e delle decisioni dei governanti con il Corano e la fede islamica. Si tratta di un’autorità altissima, e, in un regime politico-religioso come la Repubblica Islamica dell’Iran, di rilevanza non solo morale. L’ayatollah Emami, inoltre, è il "vicario" di Khamenei per la città di Teheran e rettore della Facoltà teologica della città.

L’ayatollah ci raggiunge, cordialissimo, sulla porta della sua modesta ma accogliente residenza, proprio nel mentre sto armeggiando nello sfilarmi le scarpe. Ha una lunga barba bianca, il turbante e il mantello color nocciola di prammatica per il suo rango. Ha 70/75 anni. Mi accoglie con queste parole: "Questa, da oggi, è la sua casa, l’Iran la sua seconda patria".

Ci sistemiamo in un’ampia stanza, su comode poltrone. Davanti a noi, su di un lungo tavolino – com’è tipica espressione dell’ospitalità persiana – tè, dolci, frutta. Alle pareti ampi scaffali, con libri e teche che raccolgono dossiers su vari argomenti.

Dopo i convenevoli, gli occhi dell’ayatollah Emami si fanno penetranti e ha inizio una conversazione che si protrarrà per ben quattro ore. È vero che il tempo "orientale" non è come quello occidentale, ma qui c’è qualcosa di più. Lo conferma – già durante l’incontro e poi alla fine – lo stupore del segretario dell’ayatollah, che è presente, e del sig. Mirdamadi, che ci accompagna. Anche quando, al calar del sole, qualcuno viene a chiamare Emami per dirigere nell’attigua moschea la preghiera della sera, egli invia un altro al posto suo, perché desidera continuare il dialogo.

L’ayatollah Emami fa registrare tutto il colloquio, lo farà trascrivere e me lo invierà affinché possa essere pubblicato – con le mie eventuali correzioni – in un libro sul "futuro delle religioni", a cui da tempo sta lavorando, anche dopo che ha avuto la grazia d’incontrare a Roma – come ama sottolineare – il papa, che stima moltissimo.

Ed è proprio dal tema del futuro delle religioni che inizia la nostra conversazione. Emami vede che, nei prossimi anni, per il bene dell’umanità, le religioni diventeranno tanto vicine, e forse addirittura convergeranno in una qualche forma di unità. E questo senza perdere le proprie radici e la propria identità interiore: così come avviene in un’unica grande nazione in cui possono convivere diverse culture. Infatti, se tutto proviene da Dio ed è orientato verso Dio che è Uno, tutto, anche le religioni in cui Egli si rivela, non possono non tendere all’unità.

So che l’ayatollah sta studiando da anni la questione dell’Imam occulto. L’ultimo Imam – secondo la tradizione islamica sciita – è stato rapito da Dio affinché non potesse più esser ucciso, com’era invece successo per tutti i suoi predecessori. Secondo un hadit (un detto del Profeta trasmesso oralmente) che è tenuto in gran conto dagli Sciiti, egli tornerà un giorno insieme a Gesù per instaurare il regno di Dio. Gli chiedo dove sono approdati i suoi studi di questi anni in proposito.

Emami risponde che cristianesimo e islam hanno un compito comune in rapporto al futuro dell’umanità, che è indirizzato alla verità e alla giustizia per tutta la famiglia umana, perché fondato sulla verità e la giustizia di Dio stesso.

Senza dimenticare – prosegue – che l’ultimo Imam, se ha per padre un musulmano, ha per madre, secondo l’espresso volere divino, una cristiana.

Ma, ecco il punto: "Che cosa pensa la teologia cristiana sul ritorno di Gesù?" – mi chiede. "Ho sentito – continua – pareri discordanti, su questo tema". Emami, infatti, ha incontrato, a Teheran e in Europa, molti teologi, oltre che i rappresentanti del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. In Francia ha dialogato con il filosofo Paul Ricoeur, ma è soprattutto con un altro filosofo, l’ormai quasi centenario Jean Guitton, che si è sentito in particolare sintonia, tanto che ora sono diventati amici. L’ultima volta che l’ha visitato, a Parigi, gli ha augurato vivamente di poter giungere – come egli desidera – ai 100 anni.

Mi espone, quindi, la sua visione, citando il discorso escatologico di Matteo e l’Apocalisse, sul ritorno di Gesù, che per lui non significa solo la fine del mondo, ma anche il regno di Dio sulla terra. E chiede che cosa ne penso.

Cito Mt 18,20: "Dove sono due o più riuniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo ad essi", spiegando come questo passo sia una chiave per interpretare la visione di Matteo su Gesù come l’Emmanuele, il Dio-con-noi, non solo nella parusia (l’avvento glorioso di Cristo alla fine dei tempi), ma già nella storia, come promette Gesù stesso nella chiusa del vangelo: "Sarò con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (28,19). Sottolineo inoltre come pure l’Apocalisse parli non solo della parusia ma anche della continua venuta di Gesù tra i suoi, che coincide con l’attuarsi progressivo, anche se drammatico, nella storia del regno di Dio.

Questa prospettiva suscita il suo più vivo interesse. Mi chiede da dove ho tratto quest’interpretazione del testo evangelico. Dall’esegesi più recente – rispondo – ed anche dalla visione di Chiara Lubich, una maestra spirituale del nostro tempo, che ha ricevuto da Dio un "carisma" particolare che la chiesa cattolica ha definito "carisma dell’unità", perché indirizzato alla realizzazione dell’ultima preghiera di Gesù: "Padre, che tutti siano uno come io e te siamo uno" (Gv 19, 21). Secondo questo carisma, la strada per accogliere quell’unità che è dono di Dio consiste nel vivere secondo il comandamento dell’amore reciproco che Gesù ci ha dato: là dove si vive così, Lui è presente. Emami commenta che sarebbe molto interessato a incontrare Chiara, che ancora non ha avuto modo di conoscere nei suoi viaggi in Europa e a Roma.

Prosegue poi dicendo che Dio invia i suoi profeti per guidarci alla perfezione: attraverso di essi, Egli esprime nella storia il suo pensiero e la sua potenza che salva. Il ritorno di Gesù e quello dell’Imam nascosto dipendono dalla misericordia di Dio e sono indirizzati a portare a compimento questo suo disegno di salvezza: sono Sua grazia.

Rifacendomi a quanto detto su Mt 18,20, sottolineo, da parte mia, che se è vero che il compimento del regno di Dio è nelle mani dell’Onnipotente, è anche vero che noi siamo chiamati a fare tutta la nostra parte per prepararci ad accogliere degnamente questo dono. Ad esempio, vivendo come fratelli l’amore reciproco tra cristiani e musulmani, noi possiamo già godere e prendere forza e ispirazione dalla presenza di Dio in mezzo a noi, come ha promesso Gesù. "È così! – esclama l’ayatollah. Che Dio avvicini questo giorno".

Secondo il suo pensiero chi crede in un futuro come questo è diverso dagli altri: vede il mondo e la storia in una prospettiva di speranza. È la mancanza di speranza che uccide. "Noi – continua – facendo questi discorsi, alimentiamo la speranza e avviciniamo il momento del dono di Dio".

"Sono proprio felice di questo incontro": con queste parole, Emami conclude la prima parte del dialogo. E m’invita con calore a tornare in Iran, per proseguire il colloquio, chiedendomi se altri, tra i pensatori cristiani, la pensano come me.

Poiché le prospettive che l’hanno particolarmente interessato sono quelle scaturite dal carisma dell’unità, gli parlo della Scuola Abbà, che si è formata attorno a Chiara Lubich a partire dal 1991, anche grazie all’apporto di mons. K. Hemmerle, vescovo di Aquisgrana e teologo, ora defunto. Gliene spiego l’obiettivo, il metodo e i temi. Mi chiede il nome e le competenze dei membri: gli parlo di Giuseppe Maria Zanghì (filosofo, conoscitore dell’Islam e del sufismo e direttore della rivista "Nuova Umanità"), di Marisa Cerini (teologa che si occupa in particolare di Maria), di Gérard Rossé (noto esegeta), di P. Jesús Castellano (esperto della mistica cristiana e preside del "Teresianum" di Roma)... Ripete che sarebbe molto interessato a un colloquio con un piccolo gruppo del genere: perché in tal modo si può andare a fondo in un dialogo che porta frutti, più di quanto normalmente avvenga nei grandi congressi.

Inizia così la seconda parte della conversazione, dopo che abbiamo sorseggiato un’ennesima tazzina di tè. Il clima è sempre più semplice e bello. Ritorno col pensiero al Medioevo, o addirittura all’antico mondo greco con l’esperienza descritta nel Convivio di Platone o nella sua famosa "lettera settima"... Emami mi chiede di dirgli pure, con tutta sincerità, i punti della sua visione che non mi paiono giusti. C’è ormai una grande confidenza reciproca.

Comincio col parlargli dell’Unità e della Trinità di Dio. Di come oggi la teologia cristiana si stia impegnando a evidenziare come sia l’Essere-Uno di Dio che Si esprime nella Trinità. Illustro agostinianamente la Trinità come l’Esser-Uno dell’Amante, dell’Amato e del loro reciproco Amore.

"È una bella notizia che i teologi cristiani pensino così – m’interrompe –. Sono d’accordo nel vedere in questa luce l’unità di Dio". Ricorda come un’analogia quanto scriveva il grande mistico Bayazid al-Bistami: "Ho veduto che l’Amato (Allah), l’amante (il mistico) e l’amore sono una sola cosa".

Mi spiega poi che le critiche del Corano al concetto della Trinità, riguardano evidentemente un’interpretazione non esatta della visione cristiana di Dio. Mi pare di vedere confermata la convinzione espressa, già nel 1971, dal noto studioso iraniano Sayyed Hussein Nasr (che ha anche collaborato con l’islamologo H. Corbin): "Riguardo alla questione della Trinità, il Corano non è contrario a una dottrina trinitaria, a patto che questa dottrina non introduca una qualche determinazione o relatività in seno all’Essenza divina o del Sé Assoluto. (...). Tutta la questione della Trinità potrebbe esser risolta fra Cristianesimo e Islam con una penetrazione veramente metafisica del significato della ‘polarizzazione’ fondamentale dell’Uno"1.

Parliamo poi di Maria e dello Spirito Santo. Mi spiega la narrazione coranica della concezione verginale di Maria operata dallo Spirito Santo. Noto i suoi occhi a tratti più luminosi, il suo equilibrio sapiente, la sua vasta cultura...

"Lo Spirito di santità è specchio perfetto di Dio, come lo è Gesù", afferma. "Egli – continua – dona la sapienza e l’immacolatezza agli uomini che seguono Dio". Mi chiede se anche per noi è così. Gli rispondo – ricordando la Gaudium et spes (n. 21) – che lo Spirito guida ogni essere umano.

"Anche i non credenti?" – domanda. "Sì! – spiego –: se sono aperti alla verità e mettono in atto le opere della giustizia". Ne conviene anche lui. Lo Spirito – concludiamo – è la Vita stessa di Dio che ci è partecipata per grazia.

Gli chiedo della venerazione, così radicata nel mondo sciita per Fatima, la sorella di Muhammad. Mi dice che lei è come Maria: nel giorno del giudizio entrambe brilleranno di Luce, saranno come un "giardino d’oro" per Dio.

Mi spiega poi chi è perfetto, secondo quella perfezione che veneriamo in Maria e Fatima. Sono due le realtà che lo caratterizzano: l’avvicinamento a Dio e la partecipazione alla Sua potenza. Quanto più uno si avvicina a Dio – perché è Dio che lo attira a Sé – tanto più Dio gli comunica la Sua potenza: così, "Dio confida tutto ciò che vuol fare per il nostro bene nelle mani dell’uomo perfetto". In tal modo, si spiegano, ad esempio, i miracoli fatti dai santi di Dio.

Emami è molto contento di come si è andata dipanando la conversazione, ed esprime di tanto in tanto, con un sorriso, la sua intima soddisfazione: "Dovremmo avere delle notti intere – come la notte più lunga dell’anno, il solstizio d’inverno – per continuare a dialogare su questi misteri. Questa comprensione reciproca così alta, che si realizza tra noi, è un segno del futuro".

L’ultimo tema che tocchiamo è quello della creazione. È una realtà che, in questo periodo, mi sta molto a cuore. Gli spiego in particolare la prospettiva di Chiara Lubich, rifacendomi all’articolo che ho scritto in proposito per la rivista "Nuova Umanità"2: la creazione come atto d’amore di Dio che è Amore.

"Sì, è proprio questa la prospettiva – incalza. Anch’io sto riflettendo su quel ‘piccolo punto’ che è il motivo per cui Dio, nella sua infinita grandezza e bellezza, ha creato". E mi cita un famoso hadit kodsj in cui Dio dice al Profeta: "Ero un tesoro nascosto, ho creato il mondo perché venissi conosciuto". La creazione è la manifestazione della bellezza di Dio.

Poi mi racconta, col sorriso negli occhi, un famoso aneddoto della tradizione mistica sufi. Un giovane innamorato, per contemplare la bellezza della sua amata passava ogni giorno davanti alla casa di lei, quand’ella – con segreta complicità – usciva sul balcone per stendervi un bellissimo tappeto. Anche un grande teologo passava ogni giorno per quella strada, tutto immerso nei suoi pensieri: da tempo, e senza alcun esito, meditava sull’hadit di cui sopra per coglierne il recondito significato che gli restava oscuro. Finché, dopo aver osservato quel ripetuto gioco d’amore, un giorno capì: la creazione è per Dio come il tappeto di quella fanciulla, la "scusa" per mostrare la Sua bellezza e per farci innamorare perdutamente di lui.

Il tempo è volato: ed è necessario, sia pure a malincuore, porre un termine al nostro colloquio. Ci ripromettiamo a vicenda di restare in contatto, continuando il dialogo attraverso una corrispondenza epistolare, e soprattutto di rivederci ancora. "Ci siamo nutriti l’uno dell’altro e ormai c’è tra noi un affetto sincero e profondo" – conclude l’ayatollah Emami. E con squisita gentilezza, dopo avermi abbracciato, mi accompagna alla porta.

Hag Esmael
un vero maestro spirituale

L’11 febbraio, alle 17,00 è previsto un appuntamento atteso e che mi coinvolge intimamente, quasi più di tutti gli altri sinora avuti. Hag Esmael è uno dei maestri spirituali più amati e ascoltati di Teheran, a cui si rivolgono persone anche molto altolocate. Ha 93 anni e da circa 12 è maestro spirituale anche di Shahrazad: per questo c’è la possibilità d’incontrarlo.

Non è un teologo, né ha studiato sistematicamente: è un uomo semplice, che si è sempre curato della terra avuta in eredità dai suoi avi (il lavoro dei campi o, meglio ancora, del giardino – dicono tutte le tradizioni mistiche – è quello più in armonia con la contemplazione), e sempre ha coltivato con intensità l’unione con Dio. Giungendo a dei vertici che, da come si può arguire dai frutti della sua guida spirituale e dalla venerazione di cui gode, non possono lasciare indifferenti.

In fondo, Esmael è un tipico rappresentante di quella straordinaria corrente mistica che caratterizza l’Islam sciita, persiano in particolare, e che ha nel cosiddetto "sufismo" una delle sue espressioni più conosciute, ma che in realtà è molto più variegata e getta le sue radici lontano lontano nella millenaria tradizione religiosa di questo Paese (dai "magi" a Zoroastro).

Siamo introdotti in un elegante salotto, ravvivato dallo schioppettio del fuoco in un ampio camino di pietra. Pochi minuti, ed ecco Hag Esmael. Ha la giacca all’orientale, ma sopra v’indossa un ampio mantello nero. In testa non ha il turbante (non è un mullah, ma – diremmo noi – un "laico"), ma quel tipico copricapo a bustina in uso sia in Medio Oriente che in India. Il passo è lento, ma sicuro. La figura è quella di un uomo robusto, di un bel vegliardo che non mostra la sua età, con occhi vivissimi e penetranti.

Saluta con affetto la sua "discepola" Shahrazad, che in questi giorni ha solo potuto sentire per telefono, e poi incomincia la conversazione – con grande calma e raccoglimento – ponendomi alcune domande.

Già mi conosce, da alcuni anni, attraverso Shahrazad che gli ha parlato di me dopo il nostro primo incontro al Convegno ecclesiale di Palermo, nel ’95.

La prima domanda riguarda la mia vita. Chiede – anche se già lo sa – se sono sposato. Gli dico di no, e ne arguisce che quindi non ho figli. Ma subito, guardandomi profondamente, mi dice: "Però tu hai dei figli spirituali!".

Poi mi chiede se sono davvero povero, se non possiedo niente: e allora gli spiego un po’ della vita nella comunità del focolare dove vivo, in cui mettiamo in comune i nostri beni. Con una nota di arguzia, mi chiede ancora se però non ho messo da parte qualche cosa per me.

E quando gli rispondo che no, non ho proprio messo da parte niente, allora con un bel sorriso esclama: "È molto bello questo, perché tu sei come un uccello del cielo che passeggia per il mondo, sei libero...".

Mi colpisce la profondità di questa sua affermazione, perché finora non avevo trovato nessuno che comprendesse così profondamente il significato tipicamente cristiano della povertà e del celibato.

Mi chiede poi di Chiara Lubich, di cui ha sentito parlare da Shahrazad. Gli dico qualche cosa di lei, mi soffermo sul carisma dell’unità e su alcuni degli ultimi avvenimenti. E lui, dopo un momento di riflessione, sentenzia: "Nel mondo c’è qualcuno che viene per farvi una danza, è come una comparsa sulla scena del tempo. Ma nel mondo c’è anche qualcuno che è mandato per mostrare Dio a tutti. Chiara è una di queste persone".

Il discorso prosegue sul rapporto tra Dio e la creazione, Dio e noi. Le affermazioni di Hag Esmael sono degli aforismi lampeggianti che ti accecano. Noto che la stessa Shahrazad ha qualche difficoltà a tradurli, perché il suo maestro parla con brevi parole che richiedono una forte attenzione per intuirne il contenuto profondo.

Ad esempio, Hag Esmael afferma che: "Dio è noi, ma noi non siamo Dio". E poi, parlando di Gesù, dice che egli "ha annientato Se stesso, il suo io, e così s’è fatto uno con tutti. Questa è la strada per realizzare Dio in noi".

Ad un certo punto, dopo circa mezz’ora di colloquio, mentre Shahrazad sta traducendo una sua parola, il maestro la ferma, mi guarda e dice che "non c’è più bisogno di tradurre, noi oramai ci capiamo, c’è un filo che ci lega, siamo uno".

Quando Shahrazad me lo dice in italiano, avevo già intuito che lui voleva dirmi qualcosa di profondo, e annuisco, colpito: perché è vero, oramai ci conosciamo.

Hag Esmael mi vuole spiegare perché ha fatto questa affermazione: "Tu sei venuto con la sincerità. La sincerità è una spada a doppio taglio, che penetra fino in fondo al cuore e alla mente; è la virtù più grande che ci sia nella vita spirituale e anche nella vita di tutti i giorni. Sei venuto con fiducia, con abbandono a Dio e senza pregiudizi nei miei confronti. Così noi siamo uno".

La conversazione si sta avviando alla conclusione, anche perché non intendo affaticare troppo Hag Esmael, reduce da una brutta influenza. Gli chiedo soltanto che cosa pensa dell’unità, del dialogo tra le religioni. Riflette un po’ e poi risponde: "L’unità se credi che arriva, arriva; se pensi invece che è molto lontana e che è difficile da raggiungere non arriva. La devi vedere l’unità, con gli occhi del cuore, ci devi credere nell’unità, e allora certamente viene".

Mi pare la conclusione più bella del colloquio, e allora faccio cenno a Shahrazad perché dica a Hag Esmael che lo ringrazio e che non voglio trattenerlo oltre. Lui mi guarda, e prima che Shahrazad apra bocca: "Ho capito!" – esclama. E si alza e mi abbraccia.

Desidererei fare una foto anche a lui, come l’ho fatta a tutti i personaggi che ho incontrato, per poterla mostrare anche agli amici in Italia. Un po’ intimorito chiedo a Shahrazad di domandare ad Hag Esmael se è contento che facciamo una foto. Lui dice: "Sì!". Ma subito prosegue: "Tu la mia foto ce l’hai già nel tuo cuore, e io la tua foto ce l’ho nel mio cuore e ci sarà sempre, perché oramai siamo uno... Non c’è più bisogno di una foto materiale per ricordarci".

Lascio la casa dove ho incontrato Hag Esmael con la sensazione d’aver colloquiato, in uno spazio interiore dilatato, con un uomo di Dio. Forse, una delle persone più ricche di spiritualità e più profonde che finora abbia mai avuto occasione d’incontrare sul mio cammino.

Piero Coda

 

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1. In C. Gasbarri, Cattolicesimo e Islam oggi, Città Nuova, Roma 1972, 175.

2. P. Coda, Dio e la creazione - 1, in "Nuova Umanità", XX (1998), n. 115, 67-88.