Nell’Europa, dove ha avuto origine gran parte della rottura dell’unità tra i cristiani, cosa si fa per ricomporla?

 

Prospettive ecumeniche dopo Graz

di Aldo Giordano

 

L’autore, segretario del CCEE (Consiglio delle conferenze epscopali europee) non ha la pretesa di descrivere in modo esauriente lo "stato di salute" dell’ecumenismo, ma desidera comunicare cosa egli ha imparato dall’esperienza di Graz e dagli innumerevoli incontri che il suo lavoro porta a realizzare. Questi spunti di riflessione sono offerti da una prospettiva europea e si collegano ad alcuni nodi dell’intervento di C. Lubich a Graz che egli ritiene densi di futuro.

Occorre un supplemento d’amore

Un partecipante, per commentare l’assemblea ecumenica di Graz, ha usato l’icona evangelica del granello di senapa, il più piccolo dei semi, che diventa un albero grande dove le varie specie di uccelli possono costruire il loro nido. Il piccolo seme dell’ecumenismo e della riconciliazione, a Graz, è improvvisamente già apparso un albero dove la più gran varietà di chiese, di esperienze, di cammini potevano trovare insieme casa.

L’Europa ed il mondo sono più grandi di quello che spesso pensiamo

A Graz è convenuto un piccolo popolo europeo ecumenico. Era la prima volta che tutte le chiese e tutte le nazioni d’Europa potevano essere insieme, anche grazie al crollo del muro. Ma proprio il fatto di essere molto vicini ci ha fatto scoprire quanto siamo "lontani", cioè diversi, a livello di cultura, di storia (o di interpretazione della storia), di appartenenza etnica...

Il cammino del movimento ecumenico che in questo secolo ha visto i suoi albori ed il suo sviluppo soprattutto nell’Europa centro-occidentale e nordica, deve ora dirigersi verso le altre sponde dell’Europa e del mondo e coinvolgere altre "diversità".

– Il cammino ecumenico guarda ad Est

Il dialogo tra Ovest ed Est è stato il punto più appariscente, più impegnativo e più delicato dell’assemblea: questo appare il kairòs attuale dell’Europa. Grande speranza ha suscitato la notevole partecipazione da parte dei Paesi dell’est (quasi la metà dei presenti: più di mille rumeni, 400 russi, 300 dell’Ucraina, 300 dell’Ungheria...). L’incontro non è stato né irenico, né meramente entusiastico e l’assemblea ha respirato realisticamente delle tensioni che oggi sono nell’aria. La non riuscita dell’incontro tra il vescovo di Roma ed il patriarca di Mosca e la rinuncia, all’ultimo momento, del patriarca Bartolomeo di venire a Graz, anche se non erano eventi direttamente legati all’assemblea, erano come nuvoloni neri all’orizzonte.

Ma i problemi e le polemiche presenti nei dibattiti, soprattutto in riferimento al proselitismo o al cosiddetto uniatismo (espressione poco felice) o al primato, in realtà, rimandano ad un malessere più profondo, cioé a quel disorientamento cruciale che esiste oggi in Europa, generato dall’incontro avvenuto in fretta in questi ultimi anni tra due storie e due culture diverse, dell’Est e dell’ovest, vissute fondamentalmente in parallelo. La questione di fondo è di tipo storico-culturale e consiste nella complessità del confronto delle chiese con la modernità e l’attuale società pluralista.

Il mondo dell’Est, specie dopo l’89, quasi improvvisamente è stato investito da questo confronto con la modernità, la democrazia, il pluralismo, importati insieme ai mercati. Ed ora sono soprattutto le chiese di queste terre, convalescenti dopo gli ultimi lunghi decenni totalitari, che s’interrogano, alle volte con disorientamento e paura, se quella cultura moderna e quella società laica e pluralista che sono cresciute in occidente siano qualcosa da accogliere come novità buona e promettente o se esse siano la madre di tutti i pericoli, davanti ai quali occorre resistere con ogni mezzo, forse anche con nuovi muri.

Cosa significa accogliere una cultura che ha sostenuto la centralità del soggetto, della ragione, della libertà e del pluralismo, se già in occidente si sperimenta la crisi proprio del valore del soggetto e troppo si vede una ragione che percorre inesorabilmente dei "sentieri interrotti", una libertà che spesso non sa a chi affidarsi e rischia di pendersi nel nulla ed un pluralismo che crea lo spaesamento?

Dietro a termini come ecumenismo, dialogo, si nascondono questi sospetti e queste paure. Mi sembra che sia questa la realtà sottesa all’espressione usata dal patriarca Alexij a Graz: "La nozione di ecumenismo nella coscienza della maggior parte dei nostri correligionari è arrivata a significare qualcosa di pericoloso e di assolutamente inacettabile".

Questa è stata la prima sorpresa ed anche "lezione" per i Paesi occidentali. Quanti erano venuti a Graz pensando che le questioni calde dell’assemblea sarebbero state il dibattito su delicate questioni etiche come quella dell’omosessualità o la discussione sul posto della donna nella società e nella chiesa o la questione del magistero nelle chiese, in realtà si sono trovati davanti ad una questione di fondo più globale e meno gestibile che rimandava al rapporto tra Est-Ovest, tra la propria identità e l’alterità, tra la dimensione nazionale e la realtà universale. Molti hanno preso coscienza che il proprio punto di vista sui problemi era un punto di vista che non si poteva assolutizzare, perché ne esistevano altri veramente diversi. Abituati ad una cultura animata dalla libertà e dallo spirito democratico, nell’occidente abbiamo maturato la coscienza del rispetto delle diversità, ma a Graz è diventata visibile e incontrabile una diversità che, in fondo, non era prevista. Anche questa diversità richiede un ascolto reciproco non frettoloso, per non farne un’altra occasione di scontro.

Almeno come accenno è importante notare che quando parliamo di apertura all’oriente, non dobbiamo dimenticare né il medio oriente e le radici ebraiche del cristianesimo, né il lontano oriente dove abitano circa i 2/3 della popolazione mondiale. Porci dal punto di vista dell’ebraismo ci fa scoprire che nell’inizio del cammino ecumenico è inscritto il rapporto con la fede degli ebrei e porci dal punto di vista dell’Asia ci dischiude la prospettiva più decisiva per il futuro dell’umanità e per l’annuncio del vangelo.

– Il cammino ecumenico guarda a Sud

A Graz abbiamo constatato che anche il sud dell’Europa sta diventando protagonista del cammino ecumenico... Penso ad un incontro realizzato a Bari dove erano presenti una quindicina di chiese dei vari Paesi che si affacciano sull’Adriatico e sul Mediterraneo, come ad altre centinaia di incontri che si sono realizzati in Italia o in Spagna, Portogallo, Francia... E quando citiamo il Sud è inevitabile che il pensiero vada anche al sud del mondo. Non si può parlare seriamente di ecumenismo senza metterci dal punto di vista del sud che vive sulla frontiera della fame.

Sono persuaso che questo ampliamento degli orizzonti sia una delle nuove prospettive che ci stanno davanti. Esso avrà conseguenze anche per la struttura degli organismi ecumenici. Il dibattito si va infatti diffondendo ed è vivo presso il Consiglio mondiale delle chiese di Ginevra, alla vigilia della propria assemblea generale che si terrà nel dicembre prossimo ad Harare nello Zimbabwe e ritorna sempre più in diverse chiese ortodosse, come il patriarcato di Mosca o di Serbia. La problematicità della situazione e l’esigenza di novità sono testimoniate, per esempio, dal fatto che il patriarcato della Georgia sia uscito di recente dagli organismi ecumenici.

La domanda dell’uomo è più profonda di quello che spesso appare

Se il confronto Est-Ovest è stata la questione più evidente a Graz, in realtà l’uomo europeo è venuto all’assemblea ecumenica portandosi dietro un bagaglio molto più grande di tensioni, divisioni, scacchi, tanto da far sorgere la tentazione del bloccarsi nella tristezza, persuaso dell’impossibilità della riconciliazione e quindi dell’inutilità del rimettersi in cammino.

Nel campo politico entrano spesso in conflitto due esigenze di fondo: quella della libertà e quella della socialità. Sistemi politico-culturali che affermano la libertà, ma sono incapaci di realizzare la socialità aprono alle anarchie ed alle guerre civili, mentre sistemi che per difendere il tutto, il sociale, il potere, non salvano le libertà, le differenze, cadono nel totalitarismo con sempre nuove forme di Lager o di Gualg. La recente e attuale tragica storia dei Paesi dei Balcani mostra che la questione sembra irrisolta.

Sistemi economici basati sul liberismo, sul libero mercato, sulla proprietà privata, sulla libera iniziativa, sulla capacità imprenditoriale, hanno creato dei "vincenti", ma anche dei "perdenti": le persone più deboli, gli inutili, gli emarginati ... Anche in campo economico sembra impossibile conciliare l’interesse personale e il bene comune.

Per quanto riguarda la cultura contemporanea, l’impasse, sembra permanere nella tensione tra libertà e verità. L’affermarsi della volontà di autodeterminazione – che è figlia del secolare cammino della modernità – ha cercato di scrollarsi di dosso ogni forma di tutela: dei e altari, tradizioni e leggi.... E alla fine nel processo è stata coinvolta la questione stessa della verità e di Dio. La morte di Dio, proclamata in questi due ultimi secoli, significa anche la dichiarazione della fine della verità. Se esiste una verità assoluta e forte, l’uomo non sembra più libero e autonomo. Questo è sentito specie nel campo della morale. La morale, basata su valori forti, appare nemica della libertà, della spontaneità della vita, del piacere dell’esistere.

Anche l’esperienza religiosa tende ad essere affidata alla sfera della libertà privata dove ognuno sceglie ciò in cui credere tra i vari insegnamenti delle chiese.

Ma una libertà che non incontra più la verità, si scopre presto senza casa. Ogni libertà in realtà cerca un bene a cui affidarsi, ogni vita cerca se esiste qualcosa o qualcuno di cui ci si possa fidare. Se questo bene o questo qualcuno non esistono rimane la delusione. La libertà sembra coincidere con lo spaesamento e l’assenza di una meta. Ecco perché oggi, insieme alla grande difesa della libertà, stiamo assistendo anche ad una enorme paura e fuga dalla libertà.

La situazione si complica ancora se cerchiamo di pensare a come possano stare insieme, riconciliati, da una parte la signoria di Dio sul mondo e dall’altra la devastazione del male che regna nella storia della terra. Sono riconciliabili il cielo e la terra, l’eterno e il tempo, l’assoluto ed il concreto? Questa è la situazione critica dell’epoca moderna.

L’esperienza dell’ineluttabilità del dolore e della morte sembrano manifestare il problema abissale e dire l’impossibilità di una riconciliazione. La tristezza delle donne e degli uomini d’Europa nasce dalla paura profonda che la riconciliazione sia impossibile e che tutto sia destinato allo scacco.

Quando si è scelto il tema della Riconciliazione per l’assemblea ecumenica, alcuni hanno avuto l’impressione che si trattasse di una caduta nell’intimismo, nello spiritualistico, nei problemi ad intra delle chiese, rispetto alla coscienza, propria dell’assemblea di Basilea dell’’89, della necessità di impegnarsi per le grandi questioni della storia come quelle delle giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Ma progressivamente ci si è accorti della portata rivoluzionaria e sfidante del tema della riconciliazione. Esso coinvolge le questioni umane ad ogni livello, da quelle radicali a quelle sociali, politiche, e l’aprire gli occhi sulle grandi questioni urgenti c’impedisce, come chiese, di sostare con troppa pignoleria e ritardo sulle nostre questioni interne.

La chiave per capire ogni disunità
e per ricomporre l’unità

Davanti alla complessità della situazione storica attuale e soprattutto nei confronti delle domande radicali dell’umanità s’impone la questione: dove andare? da dove ripartire?

Se questo è il teatro del cammino ecumenico attuale, dove sta il segreto per avanzare sulla strada dell’unità? Non si tratterà, anche per l’ecumenismo, di ripartire seriamente da queste domande radicali? Possiamo veramente credere alla possibilità della riconciliazione tra i cristiani od è una mera utopia?

Se fossimo soli, l’ultima parola sembrerebbe essere la delusione o la disperazione, ma la grande notizia del vangelo è che non siamo soli! Possiamo ripartire dal Dio che ci è venuto incontro fin dentro la profondità delle lacerazioni dell’uomo e della sua storia.

Penso che la più grande sfida per i cristiani sia ritornare ad imparare dall’unica cattedra che apre la possibilità della riconciliazione: il Cristo crocifisso fuori le mura che entra negli abissi delle divisioni della storia e all’interno della ferita vive un amore che è dono totale di sé, un amore che vince il dolore, le divisioni e la morte. Nel Cristo anche il dolore e la morte non sono più mera distruzione, ma passaggio. È il Cristo, crocifisso e risorto, il Dio che ha unito cielo e terra.

Sulle sue orme anche noi possiamo divenire protagonisti di riconciliazione, ripercorrendo i suoi stessi passi, contenuti tutti in sintesi ed in modo culminante nel momento dell’abbandono sulla croce.

Il primo passo è avere il coraggio di seguire Gesù là, fuori le mura, fino al suo grido di abbandono, dove anche il cielo e la terra appaiono separati. Non si può stare a guardare le ferite, le non riconciliazioni, dal di fuori, ma occorre entrare dentro le ferite e le divisioni, per soffrirle fino in fondo.

Il Cristo accoglie in sé la ferita, l’assorbe e così la blocca. Quando esplodono conflitti, normalmente, l’uno trasmette all’altro il conflitto e l’uno scarica sull’altro la responsabilità. Il Cristo in croce non ha cercato il colpevole, ma ha assunto su di sé la divisione. Il conflitto s’interrompe solo quando qualcuno non lo trasmette ad un altro, né cerca il colpevole, ma lo blocca in sé. Questo è il secondo passo per un cammino di riconciliazione.

Il Crocifisso che assume in sé la separazione e la ferita, diventa Lui uno spazio immenso, aperto, che è in grado di accogliere tutti, soprattutto chi porta nella vita la croce ed anche i lontani da Dio. Ogni persona umana, in quanto toccato dal dolore e dal frutto del male, appartiene già al Crocifisso. Anche coloro che, nella sequela del Cristo, prendono su di sé le fratture, diventano luogo di accoglienza senza riserve e senza frontiere. Le chiese sono chiamate a divenire questo spazio di accoglienza senza limiti.

Ancora un’altra dimensione della riconciliazione emerge nella pasqua di Gesù. La violenza, la divisione, non riescono alla fine a rubare la vita a Gesù, perché quella vita egli la dona per puro amore e non si può più rubare ciò che è già stato regalato. Il Cristo rivela che il senso della vita sta nel donarla. Il chicco di frumento è una realtà bella, ma se non muore rimane solo. Se muore (dà la vita per amore) porta frutto e nasce la compagnia.

E questo amore vince anche la morte. Il Crocifisso è il lato nascosto del volto splendido del Risorto. Una morte per amore non è morte, ma vita. Il perdere la bellezza e lo splendore per amore è la via per una bellezza eternizzata. Se tutti conoscono le lacrime, pochi sanno che nessuna lacrima andrà persa e che la morte è solo un passaggio. Questa notizia è stata affidata alla chiesa ed essa ha la responsabilità di dirla al mondo, innanzi tutto vivendo nella "propria casa" questa realtà della presenza del Risorto tra i suoi. Questo il senso ultimo dell’esistenza della chiesa e su questo si fonda la sua unità e cattolicità.

Se penso alla mia esperienza, si affacciano alla mente una serie di volti che mi hanno lasciato tralucere questo mistero di kenosi e di anastasi.

Penso al volto di Federica, una bambina di 10 anni, con cui sono amico. È nata cerebrolesa e per i medici non esistevano possibilità di camminare, di parlare, di avere autonomia, di pensare in modo adulto. I genitori hanno trovato una terapia che ha significato e significa migliaia di ore di ginnastica e di scuola, ma Federica ha cominciato a camminare ed a correre e circa due anni fa la grande sorpresa: con un metodo speciale ha iniziato a scrivere ed ha rivelato una ricchezza interiore straordinaria, oltre alla conoscenza di lingue ed un grande bagaglio culturale. Con me può discutere di filosofia! Abbiamo la speranza che un giorno inizi anche a parlare. Questa bambina per me è un mistero: una grande ricchezza in un vaso ferito.

Un altro volto è quello di Lele. Pochi anni dopo il suo matrimonio, padre di due bambine, si è ammalato di sclerosi multipla e per diciotto anni è vissuto con una malattia che lo ha progressivamente consumato. Negli ultimi anni pesava circa trenta chili, era immobilizzato e comunicava solo con gli occhi. Eppure in quella casa, qualcosa ci attirava in modo straordinario: era l’amore della moglie, delle figlie e probabilmente anche il suo che non potevamo più capire. Quando l’anno scorso ha lasciato questa terra, durante il funerale, abbiamo chiesto alla moglie se voleva dire qualcosa. Lei ha detto, davanti al corpo di suo marito: "Venticinque anni fa ti ho sposato e ti ho promesso fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, ma ora voglio dire a tutti che non esiste "cattiva sorte"".

Ancora un terzo incontro molto importante per la mia vita. Prima di trasferirmi in Svizzera, vivevo con un mio confratello sacerdote, pochi anni più di me, colpito da un male grave che gli rende difficili soprattutto i movimenti. Prima andavamo insieme a sciare, salivamo le montagne e poi la malattia gli ha progressivamente impedito tutte queste cose. Questo mio confratello, un giorno, mi dice: "Voglio fare una raccolta di gufi, gli uccelli della notte. Ho letto un testo di un padre della chiesa, che dice che i gufi hanno occhi talmente grandi, che riescono a vedere anche nella notte, cioé riescono a vedere che anche la notte ha le sue stelle". Adesso ha circa settecento gufi, prodotti di artigianato, provenienti da tutte le parti del mondo. Con questo confratello ancora una volta ho intravisto che anche la notte ha le sue stelle ed i suoi colori. La favola di Peter Pan racconta della casa delle fate. Esse sono diverse dalle altre case, perché le altre si vedono di giorno, mentre quelle delle fate si vedono di notte, perché anche la notte ha i suoi colori, e sono più vivi, perché hanno dietro una luce.

La cattedra del Crocifisso ci lascia intuire il significato dell’espressione sorprendente di Giovanni Paolo II: "Non potrebbe essere... che le divisioni siano state... una via che ha condotto e conduce la chiesa a scoprire le molteplici ricchezze contenute nel vangelo di Cristo e nella redenzione da Lui operata? Forse tali ricchezze non sarebbero potute venire alla luce diversamente". Nel Crocifisso veramente nulla va perso, neanche i nostri errori e le nostre righe storte.

"Il dialogo del popolo"

Il coraggio di aprire una "fiumana"
o almeno un "ruscello" d’amore

La Riconciliazione accaduta in Gesù è fonte di vita nuova ed apre una via di vita per il nostro oggi europeo. È la via dell’amore, la via del dia-logos.

L’ecumenismo è innanzi tutto una questione di vita, non di tattiche, nè di compromessi, nè di passi burocratici, nè di pura ufficialità o di mera tolleranza.

Quando mi sono trovato d’improvviso catapultato nella preparazione dell’assemblea ecumenica ho presto capito che i primi che dovevano mettersi in cammino eravamo proprio noi che avevamo la responsabilità dell’organizzazione. Anche come organismi, CCEE e KEK, non potevamo proporre al continente un incontro sul tema della riconciliazione se non cercavamo innanzi tutto fra noi un’esperienza di continua collaborazione profonda ed anche di perdono.

Potrei raccontare centinaia di aneddoti o piccole/grandi esperienze che hanno accompagnato la nostra collaborazione. Posso accennare, per esempio, a come siamo arrivati a decidere di innalzare a Graz la grande tenda che abbiamo usato soprattutto per le splendide celebrazioni liturgiche. Probabilmente per la mia esperienza cattolica, quando abbiamo iniziato ad organizzare la grande assemblea, ho subito pensato ad uno stadio o almeno ad un palazzo dello sport dove potessimo trovarci tutti insieme per pregare, ascoltare, raccontare, cantare, ma ben presto mi sono accorto che su questa idea non ero proprio compreso da tanti fratelli protestanti che invece pensavano a centinaia di sale dove le persone potessero incontrarsi, discutere, elaborare un documento... Alla fine, dopo tante discussioni, abbiamo scelto di innalzare una grande tenda che potesse permetterci dei momenti comuni ed insieme abbiamo trovato le centinaia di sale dove realizzare gli innumerevoli incontri, gruppi, hearings, workshops... Anche per queste decisioni entravano in gioco le diverse visioni ecclesiologiche!

Ricordo un dialogo che è stato particolarmente importante con un mio collaboratore. Eravamo al termine di un incontro tra CCEE e KEK che era risultato particolarmente difficile. Avevo l’impressione che avesse dominato la logica della rivalità e che i rappresentanti dei due organismi, forse inconsciamente, cercavano le vie per ottenere i massimi vantaggi "di parte" dall’assemblea e per vincere la gara. Ho detto al mio più stretto collaboratore e amico: "Tra di noi (CCEE e KEK), non devono esserci vincitori e vinti. Ma se dovrà esserci un perdente, vorrò essere io, dovrà essere la chiesa cattolica!". Si trattava di entrare in un’altra logica. Da quel momento abbiamo cercato di non voler essere i vincitori!

Vi racconto ancora un aneddoto. Quando abbiamo concluso l’assemblea ecumenica, la KEK, sempre a Graz, ha realizzato la sua assemblea generale, che si tiene ogni sette anni. Noi cattolici abbiamo liberato per il loro nuovo incontro anche gli uffici che avevamo usato. Prima di partire ci è venuto spontaneo lasciare nelle varie stanze dei fiori ed anche delle bottiglie di vino che qualcuno ci aveva regalato, insieme ad uno scritto: "Questo, per incoraggiare il vostro lavoro!". In seguito siamo andati a prendere le scatole del loro materiale ed abbiamo ordinato le loro cose. Circa due mesi dopo l’assemblea, i membri della KEK mi hanno scritto una lettera molto bella, firmata da tutti, in cui dicevano: "Non vi immaginate la gioia che abbiamo avuto e quale incoraggiamento ecumenico ci ha dato il vedere i vostri fiori e le vostre bottiglie di vino!". I grandi dialoghi, come quello tra la chiesa ortodossa e la chiesa cattolica, ma anche i piccoli dialoghi tra di noi o i gesti semplici sono il luogo dove il vangelo e la riconciliazione vanno avanti.

Ancora un piccolo gesto ecumenico che mi porto nel profondo del cuore. Due anni fa avevo partecipato al sinodo dei valdesi, a Torre Pellice, in Piemonte, insieme al mio collega, il segretario generale della KEK, Jean Fischer. Dopo l’incontro ho invitato Jean a venire a Cuneo, la mia città natale, promettendogli la bellezza delle montagne, il buon vino... In realtà è piovuto per due giorni, ma Jean ha potuto conoscere la mia città, i miei amici. Alla fine mi ha ringraziato per la possibilità di aver conosciuto la mia "grande famiglia". Insieme avevamo anche visitato mia mamma che si trovava nell’orto. Jean parlava francese e mia madre piemontese, ma sembrava si comprendessero. Lei aveva in mano una cesta di bellissimi pomodori e li ha regalati a Jean che li ha accolti con gioia. Qualche settimana dopo, nel Consiglio delle chiese a Ginevra, ho incontrato la moglie di Jean che mi ha detto: "Mio marito torna sempre a casa dai suoi incontri europei con del fogli di carta in più, questa volta è tornato con degli ottimi pomodori!". Si parlava di pomodori al Consiglio mondiale delle chiese ed ho pensato che forse mia mamma aveva compiuto, senza saperlo, un gesto ecumenico più importante di tanti miei incontri! Alla fine dell’anno passato mia madre, improvvisamente, ha lasciato questa terra. Una delle prime telefonate che mi hanno raggiunto è stata quella di Jean Fischer seguita poi da una lettera molto bella.

Accanto a queste piccole pagine in preparazione dell’assemblea, porto in cuore numerosissime altre storie, altri volti, altre esperienze accadute durante l’incontro e dopo.

Durante l’assemblea diversi incontri sono apparsi dei piccoli/grandi miracoli. I membri delle delegazioni della chiesa serbo-ortodossa e delle Conferenze Episcopali della Croazia, della Bosnia e della Slovenia si sono trovati per discutere sulle possibilità di un aiuto reciproco ed hanno dichiarato la loro gioia per l’atmosfera serena ed aperta dell’incontro. Così si sono incontrati i cattolici ed i protestanti dell’Irlanda del Nord. Per gli ortodossi ed i greco cattolici della Romania è stata l’occasione per una significativa conoscenza e confronto sulle difficoltà. Gli ortodossi hanno anche espresso gioiosa sorpresa per l’accoglienza ricevuta dalle famiglie cattoliche di Graz.

Circa 100 rappresentanti delle chiese della Russia hanno discusso insieme sulla realtà della libertà di religione nel proprio paese e come contributo per l’assemblea hanno trasmesso alcuni dubbi su certe tendenze del cammino ecumenico in questi ultimi tempi. Ma anzitutto hanno espresso la gioia del ritrovarsi insieme e la certezza che il cammino ecumenico deve continuare.

La via del dialogo

Un commento generale dei partecipanti all’assemblea è stato: "Si è respirato una buona atmosfera!". Quest’atmosfera in realtà, non è una realtà di superficie, ma è qualcosa di misterioso, da pensare. Senza averne forse piena coscienza, si è percepito la realtà di una Presenza trascendente. Il vero dia-logos si compie là dove accade la presenza dello Spirito del Risorto (Logos), perché ci sono due persone (diverse/dia) che sono disposte a donarsi le loro diversità. Se siamo soli non accade nessuna vera novità, ma se il Cristo è presente in mezzo ai suoi, diventa lui il protagonista dell’ecumenismo. Non si tratta più di tentare di rivendicare gli uni gli altri la verità della propria posizione, ma di convertirci tutti alla sequela dell’unica Verità, dell’unico Signore che cammina con noi. L’atmosfera si è creata perché tanti partecipanti all’assemblea hanno già intrapreso questo cammino. Sono stati i protagonisti più creativi dell’incontro, anche se nascosti.

Se come chiese riusciamo a vedere le nostre diversità come dei doni da scambiarci reciprocamente, ci meriteremo la presenza del Cristo risorto fra noi ed a lui l’ecumenismo è possibile, nonostante tutti i nostri limiti. Per arrivare a cogliere le nostre diversità come dei doni che contribuiscono alla creazione di una nuova unità, occorre, come premessa, un lungo ed umile cammino di ascolto reciproco, abbandonando la paura e la violenza dell’imporre troppo velocemente i propri passi all’altro. L’altro va riconosciuto come interlocutore credibile.

Se il dialogo è pensato a questa profondità, è chiaro che esso attinge la questione veritativa e non potrà più essere visto come un rischio per la verità o per l’identità. Forse si tratta allora di ripensare seriamente ai nostri concetti di verità, di identità, di dialogo, di unità, di ecumenismo, per lasciarli ancora una volta convertire dalla novità del vangelo.

Il popolo ecumenico va crescendo

Nel suo intervento Chiara Lubich ha parlato in particolare del dialogo del popolo ed ha affermato: è un "dialogo più che urgente se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo ... Attendiamo di vedere questo popolo, che già qua e là sta apparendo". A Graz abbiamo intravisto che il popolo ecumenico esiste e sta crescendo nella varietà dei suoi doni e carismi.

Alla fine di gennaio di quest’anno ci siamo incontrati a Praga con gli incaricati dell’ecumenismo presso le 34 Conferenze episcopali d’Europa per cercare di fare il punto del cammino ecumenico dal punto di vista cattolico e nel mese di marzo, nel Galles, abbiamo fatto una simile verifica con i segretari dei Consigli nazionali ecumenici delle chiese. Durante questi incontri si è visto come lo Spirito Santo agisca oltre tutti i nostri limiti e i nostri peccati. Il clima ecumenico di diversi Paesi sembra del tutto cambiato, perché si è avuto la possibilità di incontrarsi e di conoscersi e così superare sospetti, alle volte secolari.

Nel mese di febbraio abbiamo realizzato a Roma, in Vaticano, l’incontro del comitato comune CCEE e KEK. Era il primo dopo Graz ed il CCEE era l’invitante. Qualcuno mi aveva sconsigliato di invitare i responsabili delle altre chiese a Roma, perché questo non sarebbe stato capito da loro. Non ho voluto credere che i pregiudizi fossero ancora così serpeggianti, e l’incontro si è realizzato non solo a Roma, ma in Vaticano, con un’udienza con il vescovo di Roma, Giovanni Paolo II. I fratelli delle altre chiese ci hanno ringraziati. In qualche modo hanno percepito che le bellezze del Vaticano come la Cappella Sistina, o certe testimonianze storiche come la necropoli e la tomba di Pietro, ma anche il papa stesso non erano doni appartenenti ad una chiesa, ma appartenevano a tutti. Abbiamo incontrato un papa "debole", anziano, che ci ha accolti con grande delicatezza. Mi è sembrato di cogliere che l’unità, come nostalgia, è radicata nel cuore di tutti e che dovrà accadere presto qualcosa che ci farà comprendere che anche ciò che attualmente appare un ostacolo all’unità, come il servizio di Pietro, invece è un dono per tutti ed una risposta ad una profonda nostalgia del cuore.

Sempre in questa occasione si sono incontrati un importante metropolita ortodosso ed un vescovo greco cattolico del medesimo paese, membri ambedue di questo comitato comune. Hanno parlato delle grosse difficoltà che nel loro paese ci sono fra le due chiese. Il vescovo ortodosso ha ribadito che i greci cattolici sono per gli ortodossi degli scismatici. Nonostante questo i due vescovi sono stati insieme ed insieme hanno visitato il seminario greco cattolico di quel paese a Roma. Rimangono le questioni, ma la vita va più veloce delle questioni!

Percepisco l’importanza di diffondere ad ogni livello un’onda di fiducia che faccia superare la paura dell’incontro, del dialogo, dell’ecumenismo e le "pietrificazioni" delle chiese. Sempre più lo Spirito ci farà scoprire, come Chiara ha sottolineato, che nell’unità nessuna chiesa perde qualcosa o muore, ma tutte guadagnano e ognuna "rinasce nuova".

Conclusione

Una bellissima ed esemplare storia di riconciliazione è quella biblica tra Giacobbe ed Esaù. Quando i due fratelli finalmente si ritrovano, Giacobbe dice ad Esaù: "Ho visto il tuo volto benevolo ed era come vedere il volto di Dio" (Gn 33,10). Il Cielo prende dimora tra due fratelli riconciliati. Molti uomini del pianeta terra potranno vedere il volto di Dio tra le chiese che avranno ritrovato l’unità.

Un altro testo biblico mi incoraggia molto, anche nel mio servizio, quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Da parte nostra si tratta di mettere in gioco i nostri pochi e poveri pani e pesci e poi di credere ai miracoli, restituendo ogni cosa nelle mani del Padre. Al Padre tutto è possibile e quindi rimane la fiducia, nonostante tutto.

Aldo Giordano